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Lo spirito del Barone

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di Marco Tarozzi E' paradossale che tutto questo succeda adesso. Che una festa (non una qualunque: quella del mito assoluto, del campione che ha dato vita allo “spirito dell’Aquila”) sia andata in scena di questi tempi, di musi lunghi e di incertezza sul futuro. Eppure succede, ed è giusto così. In casa Fortitudo, da tempo, si guarda una partita pensando a tutto quello che le gira intorno, e restare concentrati è un’impresa (per questo, Finelli e la sua truppa meritano una standing ovation a prescindere, per come stanno cercando di isolarsi dal "tutto intorno" che incombe). Ma stavolta, dopo la sirena, è arrivato il tempo degli applausi. Per il “Barone”, per il leggendario Gary Schull , la cui canotta numero 13 è diventata “intoccabile”, davanti agli occhi della moglie Debbie e del figlio Garrett Walter, che hanno attraversato apposta l'oceano per esserci. E a quelli di tanti che ne hanno condiviso i giorni magici di un altro basket. Lino Bruni , che tanto si è speso ...

Vitto, l'uomo che sussurra alle moto

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Riparte la stagione del Mondiale MotoGP. Vigilia di previsioni, supposizioni, celebrazioni. Mi piace l'idea di annotarmi l'appuntamento raccontando di qualcuno che, dietro le quinte, ha fatto un cambiamento epocale. Da collaudatore a team manager. Mica in un team satellite. Alla Ducati. Dove ci sono attese, speranze, anche pressioni. Praticamente, tirato giù dalla moto. Se ce la faranno, con uno come Vittoriano Guareschi . Lui va dritto per la sua strada, si porta anche dietro scarpe da running e bici sui circuiti, "perché non hanno un metro in piano, sai che allenamento..." Uno sincero, genuino. Uno che sorride sempre. Spero che inizi una stagione felice anche per lui. Ecco quel che mi ha raccontato qualche giorno fa, quando l'ho intervistato per il quotidiano in cui lavoro. L'UOMO CHE SUSSURRA ALLE MOTO di Marco Tarozzi Vittoriano Guareschi, da collaudatore di punta a team manager Ducati in MotoGP. Un bel cambio di prospettive. "L’ho presa con molta se...

Il talento cancellato 2 - Mickey "da Cat" Dora

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"Vivere sulla spiaggia non è la risposta. La gente che vive sulla spiaggia si annacqua il cervello. Io vengo qui soltanto per le onde e nient'altro" Mickey Da Cat Dora, 1934-2002 "Dora lives". La scritta che periodicamente appare (per essere cancellata da solerti imprese di pulizia, e ancora riapparire) sul muro di fronte allo spot di Malibu Beach. Dora, al secolo Miklos Sandor Dora , per tutti Mickey e "da Cat" per il popolo dei surfers, in effetti non vive più dal 3 gennaio 2002, quando un male incurabile se l’è portato via a Santa Barbara, a sessantotto anni. Non una morte giovane, ma comunque leggenda. Anche perché dalle scene "da Cat" era sparito da una vita. Più o meno dal 1967, quando all’apice della gloria surfistica aveva affrontato la semifinale del Malibu Invitational Contest, uno degli eventi più importanti del circuito professionale degli States, calandosi i boxer e mostrando il posteriore alla giuria. Scendendo poi dalla tavo...

Il talento cancellato - 1. Filippo Paita

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Il talento smarrito. Svanito nel nulla, bruciato, o semplicemente abbandonato. Altre storie di sport, di uomini che avrebbero potuto farsi campioni e non ci sono riusciti, o semplicemente non hanno voluto farlo. Hanno voltato pagina, hanno girato la schiena. Spesso bruscamente. Talvolta senza un motivo apparente. Sono i coni d'ombra che esistono tra le luci sfavillanti che illuminano racconti di gloria, di conquista, di successi. Sono storie perdenti, a volte. Più spesso di disincanto, di rinuncia. Coltivi il tuo talento passo dopo passo, poi all'improvviso arrivi a un bivio e infili un'altra strada. Coscientemente o no. Non sei più un campione, o non lo sarai mai. E avresti potuto esserlo. Senza cercare di dare o darmi spiegazioni, sono storie che ogni tanto mi piace rileggere. Dentro c'è una fiamma che arde, anche se non ha portato nella direzione che si immaginava. Dentro c'è molta umanità. La prima la prendo a prestito. L'ha raccontata Giorgio Specchia su u...

Gigi, il numero sette

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Era il numero sette . Lo portavo sulla schiena, nel campo di via Cellini, tra la tangenziale ancora nuova e il “grattacielo”, perché l'avevo visto addosso a lui. Perché ne avevo sette, di anni, quando la notizia della sua fine mi piombò addosso dalla tv, e mi scosse perché i bambini credono sempre che gli eroi siano immortali. Era il numero sette , e su quel campetto non l'ho onorato perché il fiato era lungo ma i piedi così così. Lui sì, li aveva i piedi buoni. E l'animo di un poeta. Uno diverso dal gruppo, diverso nel raccontarsi e nell'esprimersi, diverso nel talento e nella creatività. Era il numero sette . Gigi Meroni. Il Best italiano, lo definirono. Ma lui non ebbe mai bisogno di fiumi di alcol per esprimere la sua non convenzionalità. Anzi, da questo punto di vista la sua fu una vita normale. Solo troppo breve. Una vita da bravo ragazzo. Però geniale. Dentro e fuori dal campo. Capelli lunghi, stile beat (e Nicolò Carosio che commentava “tagliali, Gigi, o non ved...

Tutti in piedi, questo Bologna è nella storia

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Marco Tarozzi “Il Bologna è una fede”. Suonano perfette, in questo caso, le parole del cuore. Sì, il Bologna è una fede e anche molto altro. È cento anni di vita di un’intera città, della sua gente, un piccolo grande mondo che ha saputo aprirsi al mondo. È una lunga strada fatta di gioie infinite, momenti di gloria, anni bui, drammi che hanno lasciato il segno. È un elenco di sette scudetti, tre fiammate sull'Europa, più di settant'anni vissuti tra le grandi d'Italia, senza mai cadere in basso. E poi una storia faticosa di retrocessioni, rinascite, fallimenti, attimi sempre più rari di felicità. È una lista di nomi da brivido, campioni che, per cento lunghi anni, hanno acceso quel rosso e quel blu, e la fantasia della gente. È un pezzo di questa città, è una parte di noi che ha attraversato i cent’anni più veloci e più vorticosi della storia dell’umanità, restando sempre fedele a sé stessa. È un’icona, un simbolo, un punto fermo della nostra vita. Quei nomi, e un volto die...

Podestà, una strada per ripartire

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Marco Tarozzi Vittorio Podestà non ha mai preteso di cambiare il destino, nemmeno quando il destino gli ha cambiato la vita da un giorno all'altro. Ha deciso, molto semplicemente, di affrontarlo dal verso giusto. Reagendo con forza, costruendo nuovi traguardi da raggiungere, nello sport come nella vita. Genovese, laureato in Ingegneria Civile, Vittorio ha appena compiuto trentasei anni. Ne aveva ventinove quando un incidente stradale gli provocò la rottura delle vertebre dorsali, e una lesione al midollo che lo costringe tuttora a vivere sulla sedia a rotelle. “Nessuno è preparato a svolte così drastiche nella propria vita. Non lo ero nemmeno io, ma decisi di non lasciarmi prendere dallo sconforto, di ripartire immediatamente. Prima dell'incidente ero uno sportivo praticante, convinto che l'attività motoria fosse fonte di benessere per corpo e mente. Da quel giorno di marzo del 2002 mi sono dedicato allo sport con sempre maggior determinazione”. Aveva i cromosomi del campi...

Quello che impariamo da Alì

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Alì soffre, Alì fatica a muoversi, ad esprimersi, a sorridere. Un contrappasso crudele, a pensarci. Era il più grande, il più sfacciatamente spavaldo, il più "leggero" dei massimi. Farfalla e ape, certo. Un gigante di muscoli con gambe da ballerino, veloce e imprevedibile. Sicuro di sé, capace di scelte impopolari per tenere accesa la scintilla di un ideale. I vietcong, disse, non lo avevano mai chiamato "negro", e per questo non poteva odiarli. Lo disse in anni difficili, e si trovò contro tutta l’America. La stessa America che oggi ne ha fatto un’icona, una bandiera, che lo ha santificato in vita. Alì ha vinto, alla fine. Le sue idee sono passate, il suo coraggio è stato più forte di tutto, degli errori altrui e dell’opportunismo di chi stava sul suo carro perché lui era il più forte, il più bello, il più grande. Alì non ha paura di questa sua nuova dimensione. Anche se chi lo ha amato, nella notte di Kinshasha, e prima e dopo, fa una fatica dannata a vederlo così...

I pugni dell'Indipendenza

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“Io sono Jack Johnson. Campione del mondo dei massimi. Sono nero e non mi hanno mai permesso di dimenticarlo. In ogni caso, sono nero! E non permetterò mai che lo dimentichino” 4 luglio 1910. Giorno dell'Indipendenza. Di un'altra indipendenza. Il campione nero aveva già battuto il detentore dei massimi, un piccoletto di nome Tommy Burns. Ma perché l'America lo riconoscesse per quello che era, il Migliore, doveva battere il grande Jim Jeffries. Jim si era ritirato da tempo, e quando era in attività lo aveva sempre evitato. Ma stavolta lo avevano convinto. Borsa stratosferica, promesse di nuova gloria. Ma Jim Jeffries, il gigantesco cowboy, era il passato. Il campione nero era il domani. Si chiamava Jack Johnson . Figlio di schiavi. Nato a Galveston, Texas, nel 1878. Cinque fratelli, vita misera. Ma un talento buono per farlo uscire da quella feccia. Texano, e di colore. Sapevano tutti che era il numero uno. Ma doveva dimostrarlo contro il cowboy. Lo fece, il 4 luglio 1910. I...

Peter Norman, il terzo uomo

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Nella foto, quella foto storica che ha fatto il giro del mondo e in qualche modo ha cambiato il mondo, è il primo da sinistra. Guarda dritto davanti a sé, come se non si rendesse conto di quello che sta accadendo alle sue spalle. Invece lo sa benissimo. Quell’azione, quella protesta simbolica e di devastante impatto, lui l’ha capita, accettata, condivisa. Il primo a sinistra, l’"altro" sul podio, il terzo uomo di quel momento indimenticabile si chiamava Peter Norman . Australiano, di Melbourne. Velocista di talento. Un campione. Quel giorno del 1968, a Città del Messico, nella finale dei 200 metri era uno dei più forti, ma nessuno pensava fosse più forte di Tommie Smith e John Carlos. Invece, riuscì a infilarsi tra i due. Vinse l’argento olimpico e si preparò a salire sul podio. Ben consapevole di quanto stava per accadere. Di più: partecipe. Smith e Carlos gli avevano spiegato quello che intendevano fare per tenere alta l’attenzione sull’ "Olympic Project for Human Righ...

Un bolognese a Stamford Bridge

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Non sappiamo ancora e non possiamo dire dove arriverà Fabio Borini, nè che traccia lascerà sul mondo del calcio. Ma da alcune certezze possiamo partire. Le radici, prima di tutto. Una famiglia che respira sport da una vita, papà Roberto che frequentava i campi dell’atletica nei primi anni ‘80 e non ha ancora abbandonato quelli di calcetto, mamma Cinzia che ancora oggi è una delle più note maratonete bolognesi. Loro hanno acceso in Fabio e nella sorella Gloria, talento emergente dell’atletica, la luce della passione sportiva, ma hanno saputo gestirla con armonia e senza esaltazione. Con loro Marco De Marchi, che ha visto nel ragazzo le qualità del potenziale campione e da tempo lo rappresenta. Con onestà, chiarezza, competenza. Qualità che il Dema ha sempre mostrato, fin dai tempi in cui in campo scendeva lui. Marco Tarozzi Da Sala Bolognese allo Stamford Bridge. Viaggio lungo, se lo affronti a sedici anni, con la prospettiva di fare della passione un mestiere. È una storia di coraggio...

Sulla corda con Kurt

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A due passi da Calderino abita una leggenda vivente. Si chiama Kurt Diemberger , è nato in Carinzia ma da più di vent’anni ha deciso di metter radici su queste colline che sono un semplice accenno di alta quota, niente a confronto delle cime che lui ha conosciuto e conquistato. Diemberger è uno dei grandi dell’alpinismo, ha alle spalle due "prime" assolute oltre quota 8000 (Broad Peak e Dhaulagiri), ha vissuto l'alta quota fianco a fianco con Hermann Buhl , il conquistatore solitario del Nanga Parbat che viveva l’alpinismo in anticipo sui tempi e sui contemporanei. Ha anche un’altra grande capacità, il mitico Kurt: queste sue storie uniche e irripetibili sa raccontrale come pochi, coinvolgendo chi le legge e facendolo sentire, quasi, parte dell’impresa. "Danzare sulla corda" è l’ultima opera, in ordine di tempo, che Kurt Diemberger ha dato alle stampe. Chi non ha vissuto storie così intense, vola sulle ali dei ricordi del grande vecchio di Carinzia. L’ho conosc...

Caduta e rinascita del saltatore ebbro

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Dovrei essere più tecnico, lo so. E naturalmente sono contento per i successi azzurri agli Euroindoor di Torino, in particolare per Elisa Cusma , per la sua tenacia premiata, per la sua storia che poteva diventare quella di tanti piccoli campioni dell’atletica, talenti sbocciati e smarriti. E invece lei ha saputo raddrizzarsi il destino, tornare dopo due anni e diventare ancora più forte. Una mezzofondista che odia gli 800 (parole sue) ma li interpreta ormai come poche altre al mondo. Tanti spunti hanno dato questi Europei consumati nel salotto buono dell’Oval, ma non c’è niente da fare: nella testa ho lo sguardo sorridente e al tempo stesso raggomitolato in sé stesso di Ivan Ukhov . Il ragazzo che ha saltato più in alto di tutti, e che avrebbe potuto fare di più, ma ancora una volta ha preferito stupire. Entrato a quote minime, a 2.17, il russo ha rispettato ogni turno fino alle quote più alte. Ma nei salti di finale, quando ha visto che nessun altro aveva superato 2.32, ha rifatto a...

Ciao e grazie, onorevole Giacomino

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Sarà un centenario più povero e più vuoto, quello del Bologna. Il destino si è portato via, proprio a pochi mesi dall’appuntamento, l’ultima bandiera. Di questa società, dei suoi anni d’oro, di un calcio che non esiste più e di cui sentiamo la mancanza. Si è preso l’onorevole Giacomino, portandolo lassù dove deve pur esserci, da qualche parte, un campo in cui far giocare i campioni che hanno arricchito le nostre giovinezze e i nostri sogni. Giacomo Bulgarelli. Arrivò al Bologna da Portonovo di Medicina, un ragazzino dai modi gentili che studiava al San Luigi e avrebbe anche continuato gli studi avviati a Giurisprudenza, se il mondo del calcio non lo avesse rapito come sempre fa con i talenti purissimi. Era magro, apparentemente gracile, ma tra i giovani rossoblù si faceva subito notare perché aveva una marcia in più. A diciott'anni frequentava già la prima squadra, e Alfredo Foni lo fece debuttare il 19 aprile del ‘59, non ancora diciannovenne. Nel ‘60 era nella Nazionale Olimpica ...

Cassin, splendido centenario

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Arrivo in ritardo (il giorno del compleanno era il 2 gennaio), ma ogni tanto succede che il mondo giri per il verso giusto, e vale la pena ricordarlo. Ha fatto il suo dovere facendo arrivare al traguardo dei cent'anni Riccardo Cassin , e permettendogli di scollinare questa montagna di vita ed esperienza guardando ancora avanti. Perché Cassin è un uomo vero, che ha insegnato e continua a insegnare. Un ragazzo nell'anima, che ha instradato centinaia di ragazzi innamorati della montagna, della natura, della vita, e migliaia e migliaia che anche senza salire verso l'alto hanno imparato tanto dal suo modo di vivere e rapportarsi al prossimo. Maestro, padre, guida insostituibile. Di quelli che non ti fanno pesare il loro ruolo, che ti proteggono quasi nascondendoti il loro valore immenso e assoluto. Riccardo Cassin è stato un signore della montagna. Negli anni Trenta rivoluzionò il mondo dell'alpinismo con le sue grandi “prime”. Il “traverso” della Nord della Cima di Lavaredo...

Vi racconto i miei campioni

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Quest'anno ho esagerato. Tre uscite. A maggio “Semplicemente Magnifico”, biografia di Walter Magnifico. Era nel cassetto da anni, un tributo a un amico vero che andava solo rispolverato un po'. Poi, l'instant book sulla promozione del Bologna, assemblato in due giorni e uscito in sette. Un record, e per di più direi un bel libro: merito degli scatti dei fotografi bolognesi (Rebeschini, Sgamelotti, Schicchi, Giuliani, Puggioli) e del lavoro dei colleghi che mi hanno messo a disposizione i loro testi. Ora, finalmente, i miei campioni. Lunghe interviste nate sulle pagine del quotidiano per cui lavoro, a cui ho aggiunto quelle raccolte in questi mesi, con un'idea che il mio editore ha subito raccolto e condiviso. Ringraziamenti: a Giorgio "Matitaccia" Serra per lo splendido disegno di copertina, a Civ per la prefazione alla sua maniera, a Renato Rizzoli per le parole d'amicizia, alla passione che guida la comunità di Minerva. Così, diventa il quinto libro. Il...

Canto per Zatopek

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Un corridore deve correre con i sogni nel cuore, non con i soldi nel portafogli Emil Zatopek Zatopek. Quella corsa senza grazia, di fatica. Perché la corsa è fatica, è struggimento, è il dolore della soglia da superare. E chi dice che si diverte e basta, mente. Zatopek. Lavorava in fabbrica, da ragazzo. Mai stato interessato alla corsa. Lo iscrissero a una gara sociale. Si interessò. A modo suo. Con la cultura del lavoro, che è l'unica che paga nell'atletica. Perché nell'atletica non si incanta: lo dicono i numeri, i tempi, se hai le gambe buone. A meno che, certo, uno non scelga scorciatoie. Lui no. Sceglieva i chilometri. Tanti, tutti i giorni. Zatopek. Uscì alla ribalta internazionale nel 1948, ai Giochi Olimpici di Londra. Primo nei 10.000, secondo nei 5.000 dietro a Gaston Reiff. Quattro anni dopo, a Helsinki, il capolavoro. Oro nei 5.000, oro nei 10.000. E oro, qualche giorno dopo, nella maratona. La sua prima maratona. Aveva deciso di correrla all'ultimo momento...

Angelo, che ci ha insegnato a volare

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Bisognerebbe evitare che la polvere del tempo coprisse la memoria di uomini come Angelo D’Arrigo . Uno della mia generazione, che era riuscito a trasformare in realtà il grande sogno della mia generazione. Volare. Non per sentirsi libero: per esserlo. Proprio così, se devo pensare a un uomo veramente libero, penso ad Angelo. Alle sue avventure, ai suoi record che non erano mai vittorie contro gli altri, ma per gli altri. Sfide personali che diventavano patrimonio di tutti. E penso a chi ha avuto la fortuna di conoscerlo davvero, al grande vuoto e insieme alla grande ricchezza che ha lasciato. Volatore, sognatore. Atleta, scienziato, viaggiatore, navigatore dei cieli, poeta. Laureato all’Università dello Sport di Parigi, istruttore di volo libero, deltaplano e parapendio, maestro di sci e guida alpina, scelse di vivere delle sue passioni. Una vita in movimento, a cielo aperto, a contatto con la natura. Intorno ai trent’anni era già stato campione del mondo di volo libero, ma i trionf...

Gli ottant'anni del "prete-alpinista"

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Don Arturo Bergamaschi è un personaggio unico. Occhi di un azzurro intenso, da ragazzino curioso della vita. E lo è, un ragazzino, perché le ottanta primavere che si carica ogni giorno sulle spalle sembrano leggerissime, portate da lui. Attraversa Bologna in bicicletta pianificando il prossimo viaggio, la prossima avventura che lo porterà una volta di più verso Oriente, verso mondi e popoli che restano lontani, anche in tempi di comunità cosiddetta globale, verso le sue montagne. L'8 novembre don Arturo ha festeggiato il traguardo degli "ottanta" tra gli amici con una storia in più da raccontare. Il viaggio dello scorso ottobre, 32 giorni tra Cina, Tibet e Nepal. Il mio regalo di compleanno è stato questo articolo sul "Domani". Poca cosa, buona appena per ringraziarlo dell'esempio che dà a chi gli sta intorno. OTTANT'ANNI AD ALTA QUOTA di Marco Tarozzi Guarda sempre verso l’alto, verso le sue montagne infinite, don Arturo Bergamaschi . Anche adesso che ...

Kammerlander, il mito tranquillo

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Ultimamente, mi è capitato per mestiere (le poche cose belle rimaste del mestiere) di avere a che fare con uomini un po' fuori del comune. Parliamo di sport, naturale, ma lungo il cammino si finisce sempre con lo spostare l'angolo visuale. Meglio: allargare. E' successo con Hans Kammerlander , incontrato per un guizzo (ancora, raramente, mi succede) a Campo Tures. In vacanza, mi è sembrato potesse uscirne un buon pezzo sul suo rapporto con la corsa, da proporre a Runner's World. Contatto, appuntamento, intervista. Andata. Ma è rimasto qualcosa dentro, come succede quando ti trovi di fronte un tipo tranquillo che con semplicità ti racconta la sua filosofia di vita. Uno che ha scalato tredici dei quattordici Ottomila della terra, rinunciando all'ultimo per una questione etica. La corsa è il pretesto. Ma si parla anche di paura, di fatica della conquista, di senso della perdita. Di cime himalaiane, alzando gli occhi sulle cime incantate che avvolgono la Val di Tures e ...