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Visualizzazione dei post da agosto, 2008

Rarità di un poeta

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Paolo Bertolani , poeta. Ha vissuto con semplice profondità, come i poeti veri sanno fare. Alla Serra di Lèrici, arrampicato in un entroterra dove non si cresce marinai, ma ad ascoltarlo bene si sente il rumore del mare. Di questa terra coltivata a fatica ha raccontato angoli, colori, piccole grandi meraviglie. Ha scritto cose splendide in italiano, e a un certo punto ha scelto di esprimersi in quel suo dialetto della Serra, così schivo e musicale. Era nato nel 1931, come mio padre. Se ne è andato nel 2007. L'ho sfiorato più volte, e per riserbo l'ho lasciato camminare sui suoi viottoli. Lui faceva la stessa cosa con Attilio Bertolucci, che fu suo faro e poi amico vero, quando lo incrociava a Lerici. Poi, un giorno, trovò il coraggio. Ricordava: “lo fermai in mezzo alla strada. Lei è Bertolucci? Che ho fatto, mi rispose intimorito”. Forse bastava fare semplicemente così. Non mi resta che leggerlo, rileggerlo, amare le sfumature della sua voce su carta. I VIEI I n'han pu nom

"Acido Lattico", un noir sull'atletica

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Saverio Fattori è uno dei più interessanti scrittori italiani della nuova generazione. Ha un seguito notevole, su internet, nelle raccolte di narrativa e in libreria, dove ha fin qui pubblicato tre opere che hanno lasciato il segno. Dopo "Alienazioni padane" e "Chi ha ucciso i Talk Talk", ecco la terza fatica (se la si può chiamare così, parlando di uno che ha la scrittura nel sangue) letteraria. Saverio ci ha messo dentro la sua passione sportiva. L’atletica, il mezzofondo. Ne è nato "Acido Lattico", un noir sul mondo dello sport che un po' ti lascia spiazzato. Nel senso che non ti fa capire fino a che punto l'amore per questa disciplina rischia, nello stesso autore, di trasformarsi in odio. Ho provato a chiederglielo, una decina di giorni fa. Riuscendo nell’impresa di aprire uno squarcio di cultura sulle pagine sportive di un quotidiano locale. Non è stato difficile, in realtà: Saverio vive a Molinella, e alla corsa dedica ancora uno spazio quoti

La dieta di Phelps, i baffi di Spitz

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Michael Phelps è nella storia. Devo abituarmici. Perché, lo ammetto, da innamorato del nuoto (uno di quelli che si arrabbiano quando qualcuno dice "ma che noia mortale quell’avanti-indietro in corsia" , perché dentro quell’avanti-indietro c’è una filosofia di vita, la serenità di ascoltare soltanto il rumore-silenzio dell’acqua, e il tuo corpo che ci scivola dentro, e i pensieri che come per incanto fioriscono…) dovrei essere felice di quello che ho visto in questi giorni al Watercube di Pechino. Invece, niente. Fatico ad appassionarmi alla storia di questo ragazzone tutto casamammasognoamericano , che dice "Cosa ho fatto in questi anni? Ho nuotato, dormito, mangiato" . Già, mangiato. Come un’oca, a sentire di quella dieta da dodicimila calorie che mescola uova strapazzate a bibite gassate, cipolle fritte a donuts. Però se lo merita, niente da dire. E’ uno che ha iniziato a inseguire il suo sogno da ragazzino. Che ha esordito a quindici anni alle Olimpiadi, e ha gi

Andrea Minguzzi, l'oro del dio minore

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Andrea Minguzzi vent'anni dopo Vincenzo Maenza. Lottatori sublimi. Gente di Romagna che ha nel cuore uno sport fatto di sacrifici, sudore, salite dure. E attimi di gloria che arrivano ogni quattro anni e durano un attimo. Bisogna essere bravi a raccoglierli al volo. Chi ci riesce, si cambia la vita. E scrive la storia. Andrea ha ventisei anni e mi piace l'idea che abbia scelto una disciplina dura, che non concede scorciatoie. Per essere il migliore, nella greco-romana, devi spendere ore in palestra, lontano dai riflettori che (apparentemente) ti sistemano la vita in un istante. Un ragazzo che abita quel fantastico pianeta degli sport cosiddetti minori, quello che amo e che si accende (e ci regala medaglie) a intermittenza, sempre insieme alla fiaccola di Olimpia. Beppe Ramina, il mio direttore, mi ha chiesto di celebrarlo sul "Domani", giornale per cui lavoro. Oggi, giorno di Ferragosto, l'ho fatto così... HA VINTO IL DIO MINORE Marco Tarozzi Centottanta centimet

On Dirait Nino

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Nino Ferrer meriterebbe di essere ricordato anche solo per un paio di "pezzi" apparentemente facili, ma più rivoluzionari di quanto non si immagini, per l’epoca: "Vorrei la pelle nera", parole contro il razzismo e splendida voce R&B, e "Il re d’Inghilterra" , parole contro la guerra nel solco (francese) tracciato anni prima da Boris Vian. E infatti ancora oggi è in Francia che lo ricordano come merita. Nino se ne è andato, oggi sono dieci anni esatti, suicida pochi giorni dopo la morte della madre, nella sua tenuta di Quercy, nei pressi di Montcuq, nel cuore della sua amata campagna francese. In realtà era italianissimo, si chiamava Agostino Arturo Maria Ferrari ed era nato a Genova nel ’34. Mamma francese e papà italiano, ingegnere che per lavoro si trasferì in Nuova Caledonia quando il figlio aveva appena sei mesi. Una vita così, tra Oceania, Francia, Italia. Cittadino del mondo. E una rara vena creativa. Magari la maggior parte di quelli che lo r

Ekecheiria

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Il concetto di Tregua Olimpica o "Ekecheiria" nasce nella Grecia del IX secolo a.C. quando, per permettere lo svolgimento dei Giochi, veniva garantita l'inviolabilità di Olimpia e l'incolumità di coloro che vi si recavano per assistere o partecipare alle gare. L'ekecheiria era una specie di tregua generale che veniva accordata in tutta la Grecia a chiunque partecipasse alle grandi feste e ai giochi nazionali; in questo tempo cessavano tutte le inimicizie pubbliche e private. In realtà la tregua riuscì soltanto ad interrompere le guerre contro gli Elleni, organizzatori dei giochi olimpici (da Wikipedia) Tutto stride. Nemmeno in quei tempi antichi era semplice controllare i confini della Grecia, o l'animo degli uomini. Meno che mai è possibile oggi, in questo mondo globalizzato a parole e consumi, eppure sempre più pieno di confini, di nazionalismi, di integralismi religiosi o politici. Forse non diamo più valore alla vita perché abbiamo smesso di emozionarci da

Gesti olimpici, parole d'oro

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"Oggi non è più in primo piano l'orgoglio nero, ma l'orgoglio umano. Anche in Cina: ci sono le Olimpiadi, è un bel modo per accendere i riflettori lì. Oggi ognuno ha a disposizione un discorso dopo la medaglia, hanno davanti il mondo e possono comunicare. Non è più tempo per i gesti. Stiamo ad ascoltare" Tommie Smith Non c’è molto altro da dire, mentre scorrono i titoli di coda sulla cerimonia inaugurale dei Giochi di Pechino e Li Ning vola appeso a un filo sul National Stadium. Meglio ascoltare quello che ha (ancora) da dirci Tommie Smith , uno che le sue scelte le ha fatte e le ha pagate: buttato fuori dal villaggio olimpico di Città del Messico, lui e la sua medaglia d’oro, e il suo amico John Carlos , giusto quarant’anni fa; e poi deriso e offeso in patria, costretto a lavori marginali rispetto a quello che valeva. Poi, certo, i riconoscimenti quando il tempo ha annacquato i ricordi, o forse quando le rivoluzioni di pensiero hanno smesso di far paura: nella Hall o

La bandiera di Lopez Lomong

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Quando eravamo in Africa, non sapevamo quale sarebbe stato il futuro per noi ragazzi, correvamo e basta. Dio stava pianificando il mio futuro e io non lo sapevo. Ora sto usando la corsa per tirar fuori le parole e raccontare quante cose orribili ho visto in Sudan durante la guerra. Non sempre queste cose si trovano sulla CNN, e io spero che le mie parole servano a informare la gente. Proprio ora cose altrettanto terribili accadono in Darfur. La gente scappa dal Darfur, e io mi metto nelle loro scarpe e corro con loro. (Lopez Lomong) Questa, finalmente, è una storia di sport come vorremmo sempre sentirne, e raccontarne. Quella di Lopez Lomong , che correrà i 1500 alle Olimpiadi sotto la bandiera degli Stati Uniti. Ai primi di luglio è arrivato terzo ai Trials di Eugene, sulla mitica pista dell’Hayward Field dove nacque la leggenda di Steve Prefontaine. Lopez Lomong è nato in Sudan nel 1985. A sei anni, nel ’91, fu rapito dalle milizie filogovernative dal villaggio di Kimotong, insieme a

Fourty-eight (still runnin')

Altro traguardo. Ho quarantotto anni da pochi minuti. Non entro nella parte. Penso ancora poco diversamente da quando ne avevo la metà. Vecchio allora, giovane adesso? Sarà perché ho ancora tutti i capelli castani. Tutti o quasi. Sarà perché Matteo avrà due mesi tra quattro giorni. Non giovane, per carità. Anzi, a volte piuttosto stanco. Troppo ipocondriaco. Troppi controlli. E un po' meno atletico. Infatti: mi manca la corsa lunga dentro i sentieri di collina, mi manca il silenzio dei chilometri e chilometri nell'acqua. Devo ripartire, un po' alla volta. E accidenti, non preparerò la maratona di New York per i miei cinquant'anni. O forse sì, chi può dirlo? Ma non "per esserci". Ormai tutti mi spiegano la maratona. Io l'ho archiviata ventisette anni fa. Ne avevo ventuno ed ero un pazzo, per davvero. Ammettiamo che succeda, un giorno. Ascolterò solo i miei passi di corsa. Fosse anche in mezzo a un mare di gente, sentirò solo quella musica. Non mi interessa

Ricordando Danilo

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Danilo Cecconi era mio amico. Ci conoscemmo grazie alla passione per il triathlon, insieme "pionieri" del Pasta Granarolo dei primi anni Novanta. Scoprimmo di essere "quasi gemelli": lui nato il 19 luglio 1960, io il 5 agosto. Scoprimmo, una sera d’autunno, una passione comune per cantautori americani ormai quasi sconosciuti alle nuove generazioni, come Donovan e Townes Van Zandt. Abbiamo vissuto un’amicizia fatta di silenzi, scendendo sulle piste da slittino delle sue montagne, al passo Palade. Abbiamo diviso allenamenti in pausa-pranzo, gare semisconosciute in paesini dell’Austria, serate ad alta gradazione enogastronomica nei rifugi della sua Val di Non. In tempi in cui si abusa della parola "campione", penso che Danilo fosse davvero un campione. Di triathlon estremo, di sfide durissime per misurare sé stesso, mai in competizione con gli altri ma solo coi propri limiti, di passione. Se ne è andato troppo presto. Quando ho scoperto che Dario , suo frate