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Visualizzazione dei post da ottobre, 2008

Irish aspetta sempre la sua bici

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SIGNORE, GUARDAMI, IO SONO IRISH (Riccardo Mannerini) Signore, sono qui, io sono Irish quello che non ha la bicicletta. Tu lo sai che lavoro dai Lancaster e che, a sera, le mie reni non cantano. Mi hai date tante cose belle e il mio cuore le ha viste volentieri: i boschi, le rose, la fratta, i piccoli stagni dei cieli e la notte le labbra di Ester i suoi seni quei suoi impossibili occhi il sonno, il risveglio, il rumore del fiume, l’odore dei legni duri O mio Signore, purtroppo c’è qualcosa che non va! Io che lavoro dai Lancaster dormo e mangio a trenta miglia dalla chiesa di padre Enrico Come posso, o Signore, santificare il tuo giorno? I camion sono fermi, le auto non passano ed io nel tuo giorno sono stanco, Signore. Trenta miglia più trenta sono troppe a piedi ed Irish, tu ricordi Signore, non ha la bicicletta. I passeri, gli scoiattoli, le lepri gioiscono nel tuo giorno, io no Non so più se io sono tuo figlio: in quel giorno non vengo alla tua casa, io non ti onoro; come posso fa

Ho bisogno delle mie scarpe volanti...

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Days full of rain Skys comin' down again I get so tired Of these same old blues Same old song Baby, it won't be long 'fore I be tyin' on My flyin' shoes Flyin' shoes Till I be tyin' on My flyin' shoes Spring only sighed Summer had to be satisfied Fall is a feelin' that I just can't lose. I'd like to stay Maybe watch a winter day Turn the green water To white and blue Flyin' shoes Flyin' shoes Till I be tyin' on My flyin' shoes The mountain moon Forever sets too soon Bein' alone is all the hills can do Alone and then Her silver sails again And they will follow In their flyin' shoes Flyin' shoes They will follow in their Flyin' shoes Days full of rain Skys comin' down again I get so tired Of the same old blues Same old song Baby, it won't be long Till I be tyin' on My flyin' shoes Flyin' shoes Till I be tyin' on My flyin' shoes (Townes Van Zandt)

Kammerlander, il mito tranquillo

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Ultimamente, mi è capitato per mestiere (le poche cose belle rimaste del mestiere) di avere a che fare con uomini un po' fuori del comune. Parliamo di sport, naturale, ma lungo il cammino si finisce sempre con lo spostare l'angolo visuale. Meglio: allargare. E' successo con Hans Kammerlander , incontrato per un guizzo (ancora, raramente, mi succede) a Campo Tures. In vacanza, mi è sembrato potesse uscirne un buon pezzo sul suo rapporto con la corsa, da proporre a Runner's World. Contatto, appuntamento, intervista. Andata. Ma è rimasto qualcosa dentro, come succede quando ti trovi di fronte un tipo tranquillo che con semplicità ti racconta la sua filosofia di vita. Uno che ha scalato tredici dei quattordici Ottomila della terra, rinunciando all'ultimo per una questione etica. La corsa è il pretesto. Ma si parla anche di paura, di fatica della conquista, di senso della perdita. Di cime himalaiane, alzando gli occhi sulle cime incantate che avvolgono la Val di Tures e

Ricordando Malinowski

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Avanti così, allora, se il mio amico Abu Seba mi colpisce dritto al cuore commentando la foto del Pre italiano, con Fava e Dixon, e dandomi l'assist con la citazione di Malinowski. Altra storia finita drammaticamente, purtroppo, e con un epilogo simile a quello di Steve Prefontaine. Bronislaw Malinowski era uno di quelli che amavo, prima di tutto perché quando correvo avevo un fisico molto simile al suo. Cioè, costituzione notevole e gambe che erano il doppo di quelle di un keniano. No, non come adesso: ero magro (67 chili, accidenti...), ma di muscolatura robusta. E per questo mi appassionavo di mezzofondisti così, come Malinowski e De Castella. Che davano un'impressione di potenza. Polacco di Nowe, classe 1951 proprio come Pre, specialista dei 3000 siepi. A Monaco '72 stupì il mondo con un quarto posto in quella gara: altra straordinaria coincidenza, anche Prefontaine fu quarto nei 5000 metri. Quattro anni più tardi, a Montreal (Pre non c'era più, purtroppo) andò a p

Aspettare l'alba dalla parte sbagliata...

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Dovevo nascere cent'anni fa, nel 1848. Le barricate a Lipsia, a ventidue anni avevo già fatto la comune di Parigi. Adesso, impiegato parastatale. Con tutti i colleghi che passano tutte le ferie a seguire tutti i festival dell’Unità con i balletti della Moldavia e le ciocie importate dall’Ungheria. Gino Paoli, Pinocchio, Mike Bongiorno, Marylin Monroe, Altafini, Gianni Morandi, Gianni Rivera hanno avuto una funzione negli anni 60. Ma che stiamo facendo? Ma che sta succedendo? Ma quando vedremo il sole? Sto male. C’ho pure freddo. (Ecce Bombo)

Acido Lattico a Melbooks

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Domani a Bologna sbarca "Acido Lattico". Ore 18, libreria Melbook di via Rizzoli. Pubblicità non per me stesso (vero, sono in pista con Saverio Fattori , l'autore, e Mario Lega, ma non è motivo di interesse), quanto per il romanzo di Saverio, e per la sua vena intensa e innovativa. E' un "noir" sull'atletica, e dunque chi vive, ama, in qualche modo sfiora le cose d'atletica dovrebbe esserci. Ma sarebbe riduttivo "fare casta": è una storia avvincente (vincente), scritta da uno che le storie le sa tenere per mano. Da leggere tutti, anche chi sta alla larga da piste e pedane.

God save Drugo

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Volevo farlo, prima o poi. Senza particolari motivi. Allora, un giorno vale l'altro. Lunga vita al vecchio Drugo , ovunque sia... Nel lontano ovest conoscevo un tipo, un tipo di cui voglio parlarvi. Si chiamava Jeffrey Lebowski, o almeno cosi l'avevano chiamato gli amorevoli genitori, ma lui non se ne serviva più di tanto. Jeffrey Lebowski si faceva chiamare "il Drugo". Già, Drugo! Dalle mie parti nessuno si farebbe chiamare cosi. Del resto, con Drugo, erano parecchie le cose che non mi quadravano, e lo stesso vale per la città in cui viveva... Però forse è proprio per questo che trovavo tanto interessante quel posto. La chiamavano "Los Angeles", la città degli angeli. A me non sembrava che il nome le si addicesse molto, anche se devo ammettere che c'era parecchia gente simpatica. Certo, non ho mai visto Londra, e non sono mai stato in Francia, e non ho neanche mai visto la regina in mutande, come dicono alcuni, però posso dirvi una cosa: dopo aver visto

Hold on, Jackson!

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Non è che mi fossi scordato, ma non c'è stato il tempo. Però è successo. Il 9 ottobre, Jackson Browne ne ha fatti sessanta. Festeggerà passando anche per Bologna, e ci sarò perché mi ha dato delle emozioni. E' uno che non molla. Entra tra i vecchiacci durascorza come Neil Young, come Van Morrison. Per dire, scrive ancora cose così (che dalle sue parti non piacciono a chi guida la baracca...) Lives In The Balance I've been waiting for something to happen For a week or a month or a year With the blood in the ink of the headlines And the sound of the crowd in my ear You might ask what it takes to remember When you know that you've seen it before Where a government lies to a people And a country is drifting to war And there's a shadow on the faces Of the men who send the guns To the wars that are fought in places Where their business interest runs On the radio talk shows and the T.V. You hear one thing again and again How the U.S.A. stands for freedom And we come to th

Happy Days (?)

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Sunday, Monday, Happy Days. Tuesday, Wednesday, Happy Days. Thursday, Friday, Happy Days. The weekend comes, my cycle hums, ready to race to you. These days are ours. Happy and free. (Oh Happy Days). These days are ours. Share them with me. (Oh Baby). Goodbye gray skies, Hello Blue 'cause nothing can hold me when I hold you. Feels so right, it can't be wrong. Rockin' and rollin' all week long.

L'Italia di Prefontaine

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Ed ecco, come promesso, la “chicca” sul Prefontaine italiano, E' un regalo personale di Franco Fava , grande collega e prima ancora grande “pioniere” del mezzofondo e della maratona azzurra. Uno di quei “moschettieri” baffuti e dai lunghi capelli di cui parla Saverio Fattori nel suo post, e che sono l'icona del nostro mezzofondo negli anni Settanta. Immagini a cui si sono ispirati i ragazzi dell'atletica della mia generazione. Dunque, la foto. Doveva finire sul libro “La leggenda del re corridore”, che poi è diventato pura biografia, senza iconografia a parte la copertina. E' rimasta nel mio archivio, ed è una splendida testimonianza del viaggio di Pre in Italia, l'anno prima della tragica fine. Milano, meeting internazionale all'Arena, 2 luglio 1974. Nella foto, da sinistra, ecco Steve Prefontaine con la canotta “Norditalia”, regalatagli dai ragazzi della mitica Pro Patria di Beppe Mastropasqua. Al centro, canotta Phila, c'è proprio Franco Fava. Sulla de

"Acido Lattico" incontra Steve Prefontaine

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Grazie (in ritardo) a Saverio Fattori , talento di scrittore che neppure le brume della Bassa bolognese riescono a nascondere. Ci ha regalato tre gemme preziose ("Alienazioni Padane" , "Chi ha ucciso i Talk Talk" e il recente "Acido Lattico" ), grazie anche al coraggio e alla lungimiranza della sua casa editrice, Gaffi Editore. Ammiro quello che scrive, e dunque mi fa felice sapere che ha apprezzato "La leggenda del re corridore" , la mia biografia su Steve Prefontaine . Di più: mi dà gioia l’idea di aver conquistato un nuovo adepto alla causa del Pre. Quando ho scritto quel libro, l’ho fatto per coronare un lungo sogno personale. Non immaginavo neppure che il "popolo di Pre" fosse così numeroso anche in Italia. Prima o poi, dovremmo fondare un club intitolato a quel ragazzo, e al suo modo sempre coerente e mai arrendevole di vivere. Con Marco Marchei , direttore di "Runner's World Italia" e carissimo amico, ne parliamo

Ma dove è finito Thom Jones?

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Mi manca Thom Jones . Vorrei chiedere a Minimum Fax, suo editore italiano, che fine ha fatto lo scrittore che nel ’93, a quarantotto anni, realizzò il suo personalissimo sogno americano, e il sogno di chiunque abbia racconti o storie nel cassetto. In tre ore, nello stesso giorno, la sua agente lo avvertì che aveva venduto altrettanti racconti. Non a clienti qualsiasi. Uno al "New Yorker", uno ad "Harper’s" e uno a "Esquire". E lui, per rispondere al telefono una, due, tre volte, finì con l’arrivare tardi sul posto di lavoro. Thom Jones faceva il bidello, e ha continuato a farlo. "Candida Donadio, che era la mia agente, ha scelto un mio racconto che le piaceva e l’ha mandato al "New Yorker". Una settimana dopo stavo per andare al lavoro – facevo il turno di pomeriggio, stavo pranzando – quando ha squillato il telefono. Era Candida. Aveva una voce splendida, Candida: bassa e profonda. Mi ha detto che "Harper’s" aveva comprato "