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Visualizzazione dei post da agosto, 2009

Una bevuta con pa

Oggi mio padre, Giuliano , avrebbe 78 anni. Sono andato a dargli un saluto nel nostro luogo di ritrovo. Una volta a settimana, pranzo veloce prima di andare al lavoro all’Arci Resistenza, a San Lazzaro. Ci piaceva, quel rito. Ritrovarci in mezzo al popolo dei circoli di periferia, tra partite a carte ristorante bocciofila e sala danze, al piano di sopra. Solo che da un anno a questa parte arrivo sempre per primo. Non capitava mai, quando lui c’era. Riuscivo a sentirmi in colpa anche se arrivavo puntuale, perché sapevo che era già lì da almeno dieci minuti. Seduto su quel gradino, vicino al parco dei giochi per bimbi che adesso conosco così bene, perché Matteo mi ha insegnato a frequentarlo. A mio padre e a mia madre penso spesso in questo periodo, in cui ho a che fare con persone che hanno del mio lavoro (che dovrebbe anche essere il loro) un concetto molto provvisorio. Progetti? Non se ne parla. Idee? Ma per favore. Qualità? Risate. Approfondimenti? E a chi interessano? Penso a quel c

Quello che impariamo da Alì

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Alì soffre, Alì fatica a muoversi, ad esprimersi, a sorridere. Un contrappasso crudele, a pensarci. Era il più grande, il più sfacciatamente spavaldo, il più "leggero" dei massimi. Farfalla e ape, certo. Un gigante di muscoli con gambe da ballerino, veloce e imprevedibile. Sicuro di sé, capace di scelte impopolari per tenere accesa la scintilla di un ideale. I vietcong, disse, non lo avevano mai chiamato "negro", e per questo non poteva odiarli. Lo disse in anni difficili, e si trovò contro tutta l’America. La stessa America che oggi ne ha fatto un’icona, una bandiera, che lo ha santificato in vita. Alì ha vinto, alla fine. Le sue idee sono passate, il suo coraggio è stato più forte di tutto, degli errori altrui e dell’opportunismo di chi stava sul suo carro perché lui era il più forte, il più bello, il più grande. Alì non ha paura di questa sua nuova dimensione. Anche se chi lo ha amato, nella notte di Kinshasha, e prima e dopo, fa una fatica dannata a vederlo così

La strada che ha fatto l'America - 1

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ROUTE 66, ISTANTANEE DA UN PAESE IN MOVIMENTO di Marco Tarozzi ANGEL, IL GUARDIANO DELLA STRADA Seligman, Arizona, 2001 Angel il barbiere non si è mai spostato da questa piccola città nel cuore dell’America. Seligman, Arizona. Non ha avuto bisogno di partire per andare a conoscere il suo paese. Perché il suo paese è passato di qui, davanti a casa sua, mille e mille volte. Divorando la strada, sognando California prima per necessità e poi per senso di avventura. La Route 66, strada madre d’America, fu inaugurata nel 1926. Angel, il barbiere di Seligman, ci nacque sopra un anno dopo, nel 1927. Aveva un anno quando gli passarono davanti quei pazzi che avevano accettato la sfida inaugurale, quella di correre a piedi da Los Angeles a Chicago e poi, finita la strada, allungare il viaggio fino al Madison di New York. Si chiamava "C.C. Pyle International Foot Race" , ma la ribattezzarono "Bunion Derby" . Un’immensa carovana di podisti e presunti tecnici al seguito, insieme