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Visualizzazione dei post da 2020

Il veglione

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  Fischia, loro, lo so vanno al veglione. Io se mi dessero da scegliere andrei a letto e se mi dessero da scegliere una seconda volta andrei ancora a letto. Io sono vent’anni che faccio la notte tra la polvere del “Fabricco” altro che pugnette.   E VIGLIÒUN Mò fis-cia lòu, al sò i va e vigliòun. Mè s ‘i m dèss da capè andrebb a lètt e s ‘ i m dèss da capè una sgònda vólta andrébb a lètt d’arnòv. Mè l’è vint’ann ch’a fazz la nòta tla pòrbia de “Fabrécch” èlt che pugnèti.   Nino Pedretti

La chioccia

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  Un canto lungo d’amore, a perdifiato, cantava alla finestra. Ed era una voglia di maschio venuta chi lo sa da sotto terra su per le gambe, agli occhi al fiore della pancia. Cantava per amore ed era una giornata corta. Ora ha l’aria d’una chioccia pulisce i bambini e sta in silenzio.   LA CIOZA La cantéva d’amour ma la finestra la cantéva longh, a goula vérta e l’era una voia ad mas-ci avnéuda chi lo sa, da sota tèra so par al gambi, t’i occ te fiour dla pènza. La cantéva d’amour: una zurnèda chéurta. Adèss l’è cmè una cioza la puléss i burdéll e la sta zétta. Nino Pedretti , da "Al vousi” (nell’immagine, “Morning Sun” di Edward Hopper)

Promemoria VentiVentuno

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  Liberati. Smetti di vivere negli angoli. O in quella specie di pantano che ti ostini a chiamare “comfort zone”. Esci. Respira. E’ inutile chiedere tempo, rispettare il tempo che non rispetta te. Il tempo non è eterno. Anzi, potrebbe fermarsi domani. Tra un minuto. Tra un respiro. E poi, lo sai: nei sottoscala della vita è buio. Ci fa troppo freddo. Ci si incurva, ci si ingrigisce. Non è roba che meriti. Cercavi un porto, ecco cosa hai trovato: una stanza umida, senza riscaldamento. E piove sempre. Fai così: domani apri la finestra e vola via. Semplice. Liberati. Smetti di vivere negli angoli.

Strada sdrucciolevole

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  Quanti giorni mi sto strappando di dosso? Quanti mesi, anni? Pensare che mentre mi portavano dentro quella sala illuminata al neon, avevo paura anche del buio, della solitudine, di addormentarmi senza uno straccio di sogno con quel freddo che mi pungeva il cervello Quanta vita sto buttando, adesso? Sembrano passati decenni, sembra che la lezione sia stata inutile, ed ecco la solita sfida da stupido immortale, anche se certi cigolii dovrebbero mettermi in guardia, che ogni giorno che brucia è una fitta improvvisa che ieri non c’era, senza contare quelle del cuore, già, gli sbalzi inattesi del cuore Quanta oscurità ho davanti? Maledetta insonnia che una volta invocavo, quando le notti erano diverse, erano vive, da passare tra vino e poeti e visioni colorate, e la presunzione di avere qualcosa da scolpire nel vento, e invece adesso queste albe da aspettare sono soltanto angoscia del buio, sono sconfitte quotidiane Quanta storia ho alle spalle? A cosa può ser

Cartolina di Natale da una prostituta di Minneapolis

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  Hey Charley, sono incinta e vivo sulla Nona Strada. proprio sopra una libreria polverosa su Euclid Avenue. E ho smesso di prendere droghe e ho smesso anche con il whisky, il mio uomo suona il trombone e lavora alla ferrovia. E lui dice di amarmi anche se il bambino non è suo, dice che lo alleverà come se fosse figlio suo. Mi ha dato un anello che portava sua madre e mi porta fuori a ballare ogni sabato sera. Hey, Charley, ti penso ogni volta che passo davanti a un distributore di benzina, forse è per via di tutta la brillantina che mettevi nei capelli. E ho ancora quel disco di Little Anthony & the Imperials, ma qualcuno mi ha rubano il giradischi. e adesso che ci faccio? Hey Charley, sono quasi impazzita dopo che Mario è stato beccato, così sono tornata a Omaha per vivere con la mia gente. Ma tutti quelli che conoscevo erano morti o erano in prigione, così sono tornata a Minneapolis. questa volta penso che rimarrò qui. Hey Charley, penso di es

Natale e poi

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  Mi arrivano messaggi su messaggi e foto di famiglie sorridenti e dicono che okay, lo sappiamo che anno di merda abbiamo passato ma tutto sarà migliore e usano quella parola. “resilienza”, che vorrei tapparmi in casa ogni volta che la sento, ma mi insegue, mi raggiungerebbe anche lì E sono tutti felici e contenti azzannano panettoni e sputano i canditi attenti a non farsi notare, hanno vite monotone e ne parlano per ore e ore, con orgoglio e si arrampicano su mille specchi per dimostrare tutto il senso di quel vuoto, mentre a me basterebbe qualche frase, un sorriso, basterebbe la semplicità dei gesti, un silenzio da riempire, un porto nascosto, il mare sempre a portata di sguardo, per regalarmi la festa che va oltre ogni Natale (mt)

Perché vivo

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  Perché vivo, Perché vivo. Per la gamba ambrata di una donna bionda appoggiata al muro in pieno sole, per la vela gonfia di un battello del porto, per l’ombra delle tende, il caffè ghiacciato che si beve con la cannuccia, per toccare la sabbia, vedere il fondo dell’acqua che diventa così azzurro, che scende tanto in basso, con i pesci, i pesci tranquilli che pascolano sul fondo, che si librano sopra i capelli delle alghe come uccelli lenti, come uccelli azzurri. Perché vivo. Perché è bello Boris Vian

Sguardo laterale

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  E’ tutto logorato. Sarà il passare degli anni, sarà il vento che può agitare un’onda, ma anche farle cambiare direzione, perché non lo sappiamo come ragiona un’onda, se un approdo all’improvviso diventa una galera, se una volta libera nel mare valuta l’idea di tornare a rinchiudersi, o se magari, sai mai, si spegne e rinuncia ad essere qualcosa di forte e maestoso, torna dov’era, torna acqua ferma in uno stagno soffocante. E’ tutto faticoso, ed è la vita. Correre sempre avanti, dritti sul binario con la solita paura di deragliare, guardare avanti lasciando tutto indietro, e non avere tempo per vedere quello che scorre intorno, il che almeno evita nostalgie future. E’ tutto uno sguardo laterale, perché dire le cose negli occhi è un dolore insopportabile, perché il coraggio si paga con la solitudine, e bisogna non farsi capire per essere capiti, un giorno. Magari anche domani stesso, oppure chissà. (mt)

Troppo

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  Troppo clamore e troppi battimani ai funerali, troppi culi e tutti in bel vedere, troppe bandiere, troppi vestiti, scarpe e batterie di tegami che non useremo mai, troppe auto che ormai coprono il mondo, troppe carte troppe code, troppa arroganza di troppi che non sanno che dovranno morire. Paolo Bertolani

Confidenziale

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  E’ che stasera non   ci riesco Ho la pagina bianca sul pc, e almeno altre cinque lavori da consegnare entro e non oltre, ma è come se dovessi partire dal campo base giù in fondo e per la cima non sono attrezzato, mi sembra tutto insuperabile, poco meno alto di dove abiti tu. Perché ti sto aspettando, sai per spararti addosso un caricatore di domande intelligenti tipo come faccio a credere che ti importi qualcosa di noi, come faccio a cantare di te se ti mostri soltanto quando c’è da stravolgere, da uccidere, da lasciare gente dal destino sbagliato in balìa delle onde, del vento, da falciare vite come fosse un gioco, da rovesciare montagne e capovolgere fiumi. Eppure vedi, sono qui a bere, a nominarti invano che più invano non si può, a gridare il tuo nome, non importa se incazzato o impaurito - non dovrebbe importarti, sei tu il salvatore della situazione - Sono qui a dirti fa qualcosa se sei davvero un   tipo speciale, perché noi qui, non ci guardiam

La cucina

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  Nella mia cucina ci sono come delle ombre che non vedo ormai più, non vengono più fuori. A volte parrebbe che si facessero vive come per dirmi che, dopotutto, non è nulla se sono passati cinquant'anni. Sono ombre che stanno nei cartocci, nelle scatole d'ottone per i ditali, nelle ceste piene di cipolle. No, non c'è nulla da fare, anche se mi volto di scatto non le prendo mai. Solo se spengo la luce le vedo tutte assieme dentro i miei occhi. Nino Pedretti

Cuore di Pablito

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  Ma dove ve ne andate, tutti quanti? Non lasciatemi solo.  

Non vorrei

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Non vorrei bere così forte, giuro, non vorrei che venisse la notte, una volta era mia amica, adesso mi fa paura, ma del resto tanti amici li ho persi così, uno anche poco tempo fa - ma questa è un’altra storia – Non vorrei nemmeno muovermi per non far male a nessuno, ma quel nessuno che è chiunque non pensa al male che mi fa, dunque cammino, avanti e indietro, e stai attenta anima bella a non metterti di traverso ai pensieri, che ti cammino sopra Non vorrei buttarmi via ma sai, dicono che io sia vecchio e allora a che serve convincerli del contrario, fare salti mortali, boccacce, lucidare le pistole se ormai sono ferri arrugginiti? Non vorrei nemmeno dirti una volta di più, com’ero bello com’ero bravo e indistruttibile, perché divento pesante, lo so, e poi vedi, adesso mi è chiaro questo disegno feroce, e ti direi prenditi tutto il tempo che puoi, respiralo, fottitene di tutte le catene, perché non so nemmeno che razza di esseri viventi, volenti o nolenti

Stella stellina...

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  Quando ero ragazzo, si svoltava con un "tredici", oppure toccava aspettare "Canzonissima". Il sogno resta quello: aggrappare le nostre vite malriuscite a una macchinetta nella stanza sul retro di un bar-tabacchi, e aspettare che arrivi il bingo risolutore. Ci salverà una lotteria.  

Non dimenticare

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  C’è sempre qualcuno o qualcosa che ti aspetta, qualcosa di più forte, più intelligente, più malefico, più resistente, più dolce, più grasso, più grande, più piccolo, e qualcosa con occhi di tigre e fauci di squalo, qualcosa di più pazzo della pazzia, di più furbo della furbizia, c’è sempre qualcuno o qualcosa che ti aspetta, mentre metti le scarpe o dormi o vuoti il bidone dell’immondizia o carezzi il gatto o lavi i denti o festeggi c’è sempre qualcuno o qualcosa che ti aspetta. Tienilo bene a mente cosicché quando succede sarai pronta, il più possibile. Nel frattempo, buona giornata a te se ci sei ancora. Io penso di esserci, mi sono appena bruciato le dita con l’ennesima sigaretta. Charles Bukowski (ph. MTar, 2001)

Commiato

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  "Si sa che la gente dà buoni consigli, se non può più dare cattivo esempio" Qualunque cosa possano dire, eccepire, confutare, giudicare, quelli che non sanno contemplare il bello in silenzio, adesso riposati davvero. A chiunque di noi servirebbero tre vite, per raccontare la tua. Sghemba e accartocciata su sé stessa, come tutte quelle degli artisti veri.  

Forestiero

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  E così adesso si è messo a lanciare piccoli segnali intermittenti – una poesia, una cover stonata, un frammento dall’ennesimo romanzo della vita – Un richiamo, come se all’improvviso sentisse i passi del tempo farsi più pesanti, decisi, come se ci fosse tutto da sistemare, e mille libri ancora da leggere, e i fiori del male da far sparire in fretta, e i piccoli inutili segreti da seppellire. Arriva e si appoggia sulla porta con la solita faccia, appena un poco più sgualcita, segnata da questi piccoli e immensi timori. Di lasciare troppe cose a mezz’aria, di non sentire più l’eco dei suoi stessi insensati discorsi. Guarda dentro, sorride, ma lo sguardo è rimasto appiccicato ad una notte senza sonno né gloria. Chi glielo dice che così spaventa i bambini? Prova ancora a gridare, ma niente. Non esce che quella sciocca cantilena, “non piangete, aspettate che il vento vi racconti le storie dell’oceano, e non portatevi dietro nulla di voi, nemmeno l’ombrello,

Domani

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  Il fumo della sigaretta aleggia nel salotto. Le luci della nave laggiù al largo s’affievoliscono. Le stelle, buchi bruciati nel cielo, s’inceneriscono, sì. Ma va bene, è quello che devono fare. Quelle luci che chiamiamo stelle. Bruciare per un po’ e poi morire. Io ho una fretta del diavolo. Vorrei fosse già domani. Ricordo che mia madre, Dio la benedica, diceva: Non desiderare il domani. Così sprechi la vita in desideri. Eppure, lo desidero tanto questo domani. Con tutti i suoi fronzoli. Voglio che il sonno venga e se ne vada, tranquillo. Come passare da una portiera di una macchina a un’altra. E poi svegliarmi! E trovarmi domani nella stanza. Ora sono più stanco di quanto riesca a dire. La mia scodella è vuota. Ma è la mia, capite? E io l’adoro. Ray Carver

Marionette

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  Adesso ho tolto l’audio. Semplice. Sfilano come prima, ma sembra il Muppet Show. Bocca larga, sguardo torvo. Ma niente più anatemi, teoremi, stilemi. Marionette che si agitano in silenzio. Crisanti Capua Galli Zangrillo Burioni Bassetti Ricciardi Palù… Così imparo, a lamentarmi degli chef. Sai che faccio? Quello che mi ha insegnato mio padre. Mi comporto eticamente, come uno che, felice o incazzato, prova a vivere dentro una comunità. Non posso fare diversamente. Io non ho la verità in tasca. Non l’hai tu. E guarda un po’, sorpresa: non l’ha nessuno. Nemmeno quello che ha già capito tutto della vita. Io non ho la verità in tasca, la differenza è che lo so. Allora dai, faccio così. Rispetto gli altri e parlo meno possibile di cose che non conosco. E dopo, aspetto. Senza la presunzione di essere immortale. Comunque vada, io sono di passaggio. L’immortalità mi fa paura. Tanto quanto a te fa paura l’idea di scomparire.  

Stai benone, Civ!

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  Oggi ho scritto di te, e devo dire grazie a chi me lo ha proposto. Perché non mi sembra vero che sia passato già un anno, mi sembra di sentire ancora quei borbottii da caffettiera indistruttibile, quei giudizi che spaccavano in due la platea. Condiviso o discusso, sempre uno spirito libero. Non ti ho mai chiamato “maestro”, perché anche se ti faceva piacere essere riconosciuto, quello era un termine che consideravi da “fine corsa”, per vecchi campioni parcheggiati in qualche angolo della vita. Non faceva per te, anche se in tanti ti dobbiamo parecchio, chi lo riconosce e chi vola già troppo alto per capirlo. Parlavi con voce e gesti da teatrante scafato, ma sapevi anche ascoltare. Non hai selezionato le compagnie, sapevi stare in mezzo ai vecchi compagni di avventura come tra i giovani, e se c’era qualche trucco del mestiere da condividere, beh, era di tutti e per tutti. Nessun segreto, nessuno spirito di corpo da rivendicare, nessuna invidia, nessuna rabbia da spendere. Ho amato

Solfanaio dell'arte

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  "Mo soppa, st'i brèv. Sei proprio un solfanaio dell'arte..." Solfanaio – Rigattiere, robivecchi. Il termine deriva dalla “solfa”, la cantilena ripetitiva con la quale il rigattiere annunciava la sua presenza per le strade, del tipo “donne, è arrivato l’arrotino!” (Dizionario bolognese) Centinaia di articoli scritti e perduti, qualcuno imprigionato dentro scatole di cartone che altri, un giorno, si preoccuperanno di gettare via, perché io proprio non ci riesco. Libri scritti, almeno una dozzina, ma niente di epocale. Balzi improvvisi tra tutte le pieghe del mestiere, e in diverse epoche: redazioni di giornali, studi televisivi e radiofonici, tipografie, case editrici, uffici stampa anche prestigiosi. E di notte, ma solo di notte, le poesie, la scoperta delle parole per il cinema, i racconti. Sessant’anni vissuti così, più o meno intensamente. Finché da un amico non arriva il complimento più bello che potessi ricevere. Solfanaio, sì. Uno che “tiene da conto” l

Il presente

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  …E tutti, sai, ti san dire come fare, quali leggi rispettare, quali regole osservare, qual è il vero vero... E poi, e poi, tutti chiusi in tante celle fanno a chi parla più forte per non dir che stelle e morte fan paura... E poi, e poi, che quel vizio che ti ucciderà non sarà fumare o bere, ma il qualcosa che ti porti dentro, cioè vivere… Francesco Guccini, “Canzone della bambina portoghese”

Cent'anni dopo

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  E poi, non so... magari oggi anche a te conterebbero i "like" per decidere se sei un vero influencer, o uno che parla nel vento. Sai, questo è un mondo di schiavi che si credono liberi.   È difficile fare le cose difficili: parlare al sordo mostrare la rosa al cieco. Bambini, imparate a fare le cose difficili: dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi. Gianni Rodari  

Fuori posto

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  Brucia all’inferno questa parte di me che non si trova bene in nessun posto mentre le altre persone trovano cose da fare nel tempo che hanno posti dove andare insieme cose da dirsi. Io sto bruciando all’inferno da qualche parte nel nord del Messico. Qui i fiori non crescono. Non sono come gli altri gli altri sono come gli altri. Si assomigliano tutti: si riuniscono si ritrovano si accalcano sono allegri e soddisfatti e io sto bruciando all’inferno. Il mio cuore ha mille anni. Non sono come gli altri. Morirei nei loro prati da picnic soffocato dalle loro bandiere indebolito dalle loro canzoni non amato dai loro soldati trafitto dal loro umorismo assassinato dalle loro preoccupazioni. Non sono come gli altri. Io sto bruciando all’inferno. L’inferno di me stesso. Charles Bukowski   ( Inis Mór , Irlanda, 2015)

Ultimo frammento

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E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, nonostante tutto? Sì. E che cos’è che volevi? Potermi dire amato, sentirmi amato sulla terra.   (Ray Carver)    

La gente...

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Il mondo era infelice. La gente camminava nell'oscurità. La gente era terrorizzata e delusa. La gente era presa in trappola. La gente era frenetica, e sempre sulla difensiva. Tutti si sentivano come se stessero sprecando la propria vita. Ed era vero. (Uncle Buck)  

Sprecare il tempo

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  Sono sceso in strada e ci ho trovato l’autunno. Che non me ne ero mica accorto quanto abbiamo camminato nel sole, da quando hanno ridato una mano di colore alle nostre vite. Ero distratto, tutto preso a lamentarmi del sole a picco, a piangere la miseria delle parole, a collezionare cuori inariditi. Non me ne ero accorto del tempo, di come vola via spedito senza guardarti in faccia, chi c’è c’è, e devi star pronto col tuo biglietto in mano e i gomiti larghi, nel caso. Eppure mi avevano messo in guardia, prendi l’occasione, dicevano, che il prossimo istante potrebbe essere già dopo. Così ho passato tutta l’estate a sentirmi libero di niente, a risparmiare sui gesti d’amore, a far rotolare i pensieri rimandando a domani, poi a domani ancora, e ancora, il tramonto sul mare che volevo fissare nella mente. E insomma, adesso è autunno, c’è una punta di freddo che scava nelle ossa, e bisognerà convincersi, bisognerà pur credere che arriverà un’altra estate. (

Sul porto di Livorno

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  Era la dolce figlia di un uomo solitario, tra il loro amore il mare, lui era un pescatore. Prima un bacio, poi un altro, ogni sera un addio, lei gli porgeva il cestino e sorrideva al destino. Io non ho lasciato il mio cuore a San Francisco. Io ho lasciato il mio cuore sul porto di Livorno. Le luci si accendevano sul mare, era un giorno strano, mi rifiutai di credere che fossero lampare. Al ritorno ero amaro anche se sorridevo, era tutto cambiato, mi sentivo un estraneo. Me ne andai verso il mare a cercare un ricordo, a trovare un passato, di quando era tempo d'amare. Io non ho lasciato il mio cuore a San Francisco. Io ho lasciato il mio cuore Sul porto di Livorno. Piero Ciampi