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Visualizzazione dei post da dicembre, 2023

Lunga percorrenza

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  Alla fine c’è sempre una stazione che ti allontana da tutto. Fantasmi, cadute, buchi neri del vivere li vedi alle spalle, farsi piccoli fino a svanire. Allora ti convinci che è stata una commedia, un’inquietudine scritta con parole complicate. Ti siedi comodo, immergi i pensieri in un libro scritto male, recuperi un po’ di quel sonno perduto, perdi il filo dei discorsi sul tempo, sulle stagioni, sul mondo che non ti assomiglia più. Questione di ore, magari di giorni, di buio che avvolge. Ma ogni volta riapri gli occhi scoprendo che il punto di arrivo è lo stesso da cui sei partito. Solite case intorno, solito murale sulla massicciata, i tuoi errori in fila come traversine di quell’unico binario. Hai viaggiato senza mai andare via. Niente è cambiato, di diverso ci sei soltanto tu. Ma è tardi per riflettere, il sonno ti ha intontito, non saprai mai se da domani sarai migliore o peggiore. Avresti dovuto ascoltarla, quella voce quando ti avvertiva di s

Conto alla rovescia

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  Ogni vigilia, Ogni dannata vigilia. mi ritrovo sulla solita panchina mentre la notte fa il suo mestiere ad ascoltare l'anima che come al solito tira gli ultimi e farebbe pena, non fosse che è tutta farina del mio sacco e almeno di questi tempi bisogna essere generosi con sé stessi. Mai una volta che riesca a pensare alle facce belle. Passano solo quelle che mi hanno ferito, lasciato appassire, accoltellato alle spalle. E ancora le vedo ridere, o peggio ancora distogliere lo sguardo distrattamente Ma stavolta la notte è tiepida, tira libeccio, una faccenda strana, e si può anche dormire in un parco aspettando il Natale, immaginare che domani sarà la solita festa, sorrisi e pacche sulle spalle e la speranza di un'altra vita. Dove ho ancora vent'anni, per dire, e il futuro è arrogante certezza, poeti da scoprire, pisciate senza domani contro i muri e una stupida idea di rivoluzione senza armi. Insomma, la storia si ripete. Stanotte non

Mattinata

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  C’è sempre qualcosa, in chi non regge lo sguardo. Un’ombra. Vergogna, anche. Ma non per le azioni. Per quelle c’è sempre una giustificazione pronta. E’ proprio vergogna di sé. Del poco che è stato costruito. Di una passione che brucia e figli da vedere ad orari prefissati. Concepiti per salvare sentimenti naufragati. Di tutte le menzogne, di una faccia che invecchia male. Di una città da attraversare sempre di corsa in cerca di qualcosa che non c’è. In cerca di quello che non si è capaci di essere. C’è sempre qualcosa, in chi non regge lo sguardo. Quella sottile vigliaccheria del vivere.

Le luci della fiera

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Nonno Mario mi portava alla Fiera di Santa Lucia. Ci trovavo i moretti, e ci sono ancora. Impazzivo per quella spuma bianca che a pensarci oggi, boh, chissà dove la producono e come. Doveva essere l’anno 52, o 53, prima dell’Era dei Taglieri. Ero un bambino solitario, anche quando stavo in mezzo agli altri. E ridevo, e partecipavo, e tutti pensavano fossi tutta un’altra roba. E a me andava bene farglielo pensare. Ero un bambino vecchio. Sono un vecchio bambino. In fondo, cosa cambia? Ci torno ogni anno. Per ritrovare Mario, che alla fine era il padre che non incrociavo quasi mai. Anche se poi alla fine l’ho trovato e capito, ma è stato altro. Siamo stati ragazzi insieme. Forse bambini insieme, che altro non potevamo essere e ci andava bene così. Invece, Mario: le sue canzoni fischiate, la sua Parilla che avrei voluto rimettere in viaggio, l’odore del suo giaccone di pelle, il vino comprato a damigiane dal contadino di Castello, ogni anno sempre peggio anche se lui si metteva a

Notte di pioggia a Soho

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Ti ho amata per tanto tempo per tutti gli anni, per tutti i giorni, e ho pianto per ogni tuo problema, sorriso per i tuoi modi buffi. Insieme abbiamo visto crescere i nostri amici e li abbiamo visti mentre cadevano. Alcuni sono finiti in paradiso, alcuni sono caduti all’inferno. Mi sono riparato da un acquazzone gettandomi tra le tue braccia in una notte di pioggia a Soho. Il vento fischiava il suo incantesimo, ti ho cantato tutti i miei dolori, mi hai raccontato tutte le tue gioie. Che è successo a quella vecchia canzone, a tutte quelle ragazze, a quei ragazzi? A volte mi svegliavo al mattino, la “ginger lady” accanto al letto, avvolto in una coltre di silenzio sentivo la tua voce nella testa. Non sto cantando per il futuro, non sto sognando il passato, non sto parlando delle prime volte e non penso mai all’ultima. Ora la canzone è quasi finita. Forse non ne scopriremo mai il senso, ma c’è comunque una luce di fronte a me e tu sei la misura dei miei sogni

Casi inopinatamente simili

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  Alla puttana che si è presa le mie poesie Alcuni dicono che dovremmo tenere lontano il rancore personale dalla poesia, rimanere distaccati, e c’è del vero in questo, ma cristo: dodici poesie sparite e io non conservo le copie. E hai anche le mie foto, è opprimente. Cerchi di annientarmi come tutti gli altri? Perché non ti sei presa i miei soldi? Di solito scivolano fuori dai pantaloni sonnolenti e ubriachi, storditi nell’angolo. La prossima volta prendi il mio braccio sinistro o un biglietto da cinquanta ma non le mie poesie: non sono Shakespeare, ma prima o poi semplicemente non ce ne saranno più, nè distaccate né di altro tipo. Ci saranno sempre soldi e puttane e ubriaconi fino all’ultima bomba, ma come ha detto Dio, accavallando le gambe, vedo che ho creato fin troppi poeti ma non altrettanta poesia. Charles Bukowski