Peter Norman, il terzo uomo

Nella foto, quella foto storica che ha fatto il giro del mondo e in qualche modo ha cambiato il mondo, è il primo da sinistra. Guarda dritto davanti a sé, come se non si rendesse conto di quello che sta accadendo alle sue spalle. Invece lo sa benissimo. Quell’azione, quella protesta simbolica e di devastante impatto, lui l’ha capita, accettata, condivisa.
Il primo a sinistra, l’"altro" sul podio, il terzo uomo di quel momento indimenticabile si chiamava Peter Norman. Australiano, di Melbourne. Velocista di talento. Un campione. Quel giorno del 1968, a Città del Messico, nella finale dei 200 metri era uno dei più forti, ma nessuno pensava fosse più forte di Tommie Smith e John Carlos. Invece, riuscì a infilarsi tra i due. Vinse l’argento olimpico e si preparò a salire sul podio. Ben consapevole di quanto stava per accadere. Di più: partecipe. Smith e Carlos gli avevano spiegato quello che intendevano fare per tenere alta l’attenzione sull’ "Olympic Project for Human Rights". Lui, per rispetto, non fece gesti altrettanto eclatanti. Semplicemente, indossò la spilla dell’associazione per dire, senza parole, che condivideva quell’idea.
Smith e Carlos pagarono pesantemente, negli anni a seguire, quella protesta. Ma anche Norman non fu immune da critiche, boicottaggi, avversioni. Nondimeno, continò a impegnarsi per i diritti civili, uomo di sport ben consapevole che lo sport non è un’isola felice, ma è una voce che può sollevarsi contro i soprusi.
In quella foto c’è anche la storia di un’amicizia che il tempo non avrebbe più potuto cancellare. Quando, nel 2006, Peter Norman se ne è andato all’improvviso, quei suoi "compagni di podio" di trentotto anni prima hanno attraversato l’oceano per accompagnarlo nell’ultimo viaggio terreno. Perché anche quel giorno, in qulche modo, lui potesse sentirsi "uno dei tre".

Peter George Norman (Melbourne, 15 giugno 1942/Williamstown, 3 ottobre 2006)

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