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Visualizzazione dei post da 2016

I nomi delle strade

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Le strade sono tutte di Mazzini, di Garibaldi, son dei papi, di quelli che scrivono, che dan dei comandi, che fan la guerra. E mai che ti capiti di vedere via di uno che faceva i berretti via di uno che stava sotto un ciliegio via di uno che non ha fatto niente perché andava a spasso sopra una cavalla. E pensare che il mondo è fatto di gente come me che mangia il radicchio alla finestra contenta di stare, d’estate, a piedi nudi. (Nino Pedretti, Al vòusi)

Non lo saprà nessuno

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Che abbiamo vissuto, che abbiamo toccato le strade coi piedi che andavano allegri, non lo saprà nessuno. Che abbiamo visto il mare dai finestrini dei treni, che abbiamo respirato l’aria che si posa sulle sedie dei bar, non lo saprà nessuno. Siamo stati sulla terrazza della vita fintanto che sono arrivati gli altri. (Nino Pedretti)

Lisbona

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“Purtroppo certe cose accadono nel momento sbagliato. Oppure nel momento giusto quando però ad essere sbagliati siamo noi stessi”. “Mi piace. Posso segnarmela?” “Prego. E' gratis”. “Dovresti fartele pagare, queste. Siamo in fase di analfabetismo di ritorno, ci faresti un bel business”. “Andare in giro a scrivere lettere d'amore su richiesta, dici?... O poesie, cose così?” “Ma tutto. Anche commerciali, richieste di pagamento, progetti editoriali... Com'era pure?” “Purtroppo certe cose... certe cose.. ah, non me la ricordo nemmeno…” “Vedi? Dovevi segnartela” “Lo farò. Dalla prossima” “Ecco. E mettiti in affari”. “Grazie, potrebbe essere un'idea. Fammici ragionare”

Domenica sera

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Metti a frutto le cose che ti circondano. Questa pioggerellina fuori della finestra, per esempio. La sigaretta che tengo tra le dita, questi piedi sul divano. Il suono del rock and roll sullo sfondo, la Ferrari rossa che ho in testa. La donna che si sbatte qua e là girando ubriaca per la cucina… Mettici dentro tutto, mettilo a frutto. (Ray Carver)

Sistemare il passato

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Spostando carte e raccoglitori, è saltato fuori all'improvviso. Fa sempre così, il ritaglio a tradimento. E mi ha ricordato un po' di cose. Quella giornata in Sala Borsa, con vecchi eroi diventati amici che rivivevano emozioni incancellabili. Achille, Carletto, Gigi e tutti gli altri, e Frank arrivato a sorpresa dagli States. Quel regalo che mi fece Giuliano Musi, il direttore. Perché volevo evitare che si parlasse troppo di una roba mia, ma avevano riaperto la Sala Borsa il giorno prima... "Macché solo un pezzo, questo oggi è un evento e ci facciamo una pagina. I'en c.. tù, Taròz..." Quel racconto di Vincenzo Barreca, non il pezzo di un giornalista che parla bene di un collega, no, qualcosa di più. Dentro c'era l'aria buona di quegli anni, di quella redazione che ancora andava di corsa. Dentro l'articolo di uno che scriveva come piace a me. Uno che parlava poco, e per questo allo sport ci compensavamo, e mai comunque ci siamo lasciati an...

Non sanno che dentro sono un violino

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E Stunèd Me sin da burdèll “sta zétt, ‘ci stunèd t’a n e l’ urecia” e lòu intènt i cantéva, i cantéva tótt cumè calandri. Adèss ch’ a m sò fat vècc, ch’ u m m’arimpòrta a chènt e a chènt zò par la strèda. “Sa chèntal che pataca ch’ u n sa fè?” E i ne sa che drèinta a sò un viuléin. Lo Stonato Io sin da bambino “sta zitto, sei stonato non hai orecchio” e loro cantavano cantavano tutti come calandre. Adesso che mi son fatto vecchio che non m’importa canto e canto giù per la strada. “Cosa canta quel pataca che non sa fare?” E non sanno che dentro sono un violino. Nino Pedretti

Bilanci

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La gòmma S’u i fòss ‘na gòmma de scanzlè, ‘na gòmma da inciòstar, no da lapis, o se no s’na machina da scréiv, bat xxx, o par fè mèi, xyxy, o par fè mèi ancòura, mnmn, ch’u s fa pòch mn, mo e’ scanzèla, porca mansóla, ch’u n s capéss piò gnént, o adiritéura, mèi di tótt, mo a n l’ò, un computer u i vrébb, ch’e’ basta un tast, e e’ sparéss tótt, senza un scanzlòt, tòtt biènch, cmè ch’u n fòss suzèst gnènt, perchè mè te mi mònd i sbai ch’ò fat. La gomma Se ci fosse una gomma da cancellare, una gomma da inchiostro, no da lapis, o se no con una macchina da scrivere battere xxx, o, per far meglio, xyxy o, per fare ancora meglio mnmn, che si fa poco mn, ma cancella, porca masòla, che non si capisce più niente, o addirittura, meglio di tutto, ma non ce l’ho un computer ci vorrebbe, che basta un tasto, e sparisce tutto, senza un cancellotto, tutto bianco, come non fosse successo niente. Perché io, nella mia vita, gli sbagli che ho fatto (Raffaello Baldini)...

A little bit of peace

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Perché in fondo, tutto quello che vuole la gente è “just a little bit of piece and quiet”. Aspettando che le certezze si frantumino. Come sempre.

Un cortile in Cirenaica

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  Era il 1971. Quarantacinque anni di tanto e niente, abbastanza per sbiadire attimi, volti, storie. La prima volta arrivai a quel cancello così stretto accompagnato da mia madre, poi presi il vento. Non ricordo se il 22 era già diventato 14, ma mi portava dritto dalla Meridiana a via Libia, tanto bastava. Poco dopo la cinta di via Rimesse saliva Fabio, e ci si sentiva subito più forti. Poi giù per la discesa della Veneta, fino a infilarsi in Cirenaica. Era un mondo altro, la Cirenaica, e ancora lo è. Come il muro, l’edificio, il cortile piccolo che sembrava immenso. Come quel cancello troppo stretto. Ci sono entrato quasi mezzo secolo dopo per scoprire che tutto è rimasto uguale. Sono cambiato soltanto io, con le mie nuove incertezze da spendere. Chissà. Forse è stato un richiamo. Via Musolesi, un lunedì di primavera, tramonto. Le vecchie Jacopo della Quercia.        

E non ce ne siamo neanche accorti

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Io ti racconto lo squallore di una vita vissuta a ore, di gente che non sa più far l'amore. Ti dico la malinconia di vivere in periferia, del tempo grigio che ci porta via. Io ti racconto la mia vita, il mio passato, il mio presente, anche se a te, lo so, non importa niente. Io ti racconto settimane, fatte di angosce più che umane, vita e tormenti di persone strane. E di domeniche feroci passate ad ascoltar le voci, di amici reclutati in pizzeria. Io ti racconto tanta gente che vive e non capisce niente alla ricerca di un po' d'allegria. Io ti racconto il carnevale, la festa che finisce male, le falsità di una città industriale. Io ti racconto il sogno strano di inseguire con la mano un orizzonte sempre più lontano. Io ti racconto la nevrosi di vivere con gli occhi chiusi, alla ricerca di una compagnia. Ti dico la disperazione di chi non trova l'occasione per consumarsi un giorno da leone. Di chi trascina la sua vita, in una mediocrità infini...

Giorni così

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Sai, è solo che oggi me l'hanno fatto tornare in mente. Delle cose dette e non dette, del dover sempre partire e andare via. Di quel tanto o poco che resta. Del vuoto da riempire, che non basta un giorno di marzo. C'è il sole, però. Si poteva organizzare una zingarata. Stai mo bene, se mai c'è modo, da qualche parte.

Storie di San Patrizio - Il Carrowmena e quei palloni perduti nell'oceano

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L’ultima partita, domenica scorsa, l’hanno persa 5-0. Ma non è questo, il problema. Sono le spese per i palloni, a preoccupare. Anche se ne vale la pena, perché un campo così, dicono orgogliosi, non ce l’ha nessuno al mondo. Lo hanno spianato un chilometro più in là del paese. Da Carrowmenagh prendi la strada stretta che finisce sulla spiaggia di Tremone, affacciata a nord sull’Atlantico. Derry è laggiù, a tre quarti d’ora di macchina. Ma qui sembra già un altro mondo. Qui è il Donegal, dove la gente ti incontra e ti saluta con un movimento secco della testa, che sembra una specie di scatto nervoso. Invece è fratellanza, condivisione. Carowmenagh, in celtico Ceathrú Meánach, faceva circa centrotrenta abitanti al censimento di un secolo fa. Poi hanno smesso di contarsi. Si incontrano alle feste di paese, in chiesa, in questo fazzoletto d’erba che chiamano stadio. E a occhio e croce fanno il conto di chi c’è e di chi è partito. Mettere su una squadra, fatta di locali, è un’i...

I nostri libri, il nostro vuoto

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Quanto ci aveva fatto divertire, quel giorno, Darione Marchetti? E quante ne avevamo ancora, da pensare e da scrivere. Quando andasti via, feci molta più fatica a dividere il mondo tra persone normali e sandroni, perché tu c'avevi l'occhio più allenato... Che poi, tanto, chissenefrega, ci saremmo incontrati lo stesso, a pensare libri e poi spararci in macchina a convincere editori che si lasciavano convincere. Sandroni anche noi... E invece no, è andata che adesso restano solo quei libri. Restano almeno quei libri. E' già un anno, accidenti. Ciao, Tatone.

Del perché amo quel vecchio piazzista di Phil Cooper

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Non ha importanza se cerchi di vendere Gesù, o Buddha, o i diritti civili. O come arricchirsi nel settore immobiliare senza rischiare un soldo. Questo non fa di te un essere umano. Semmai fa di te un agente vendite. Se vuoi parlare con qualcuno sinceramente, da essere umano, chiedigli dei suoi figli, scopri quali sono i suoi sogni. Solo per saperlo, per nessun'altra ragione. Perché appena cerchi di prendere le redini di una conversazione, per pilotarla, non è più una conversazione. È un pistolotto. E tu non sei un essere umano, sei un venditore, un piazzista. (Phil Cooper, The Big Kahuna)

Se i poeti fossero meno stupidi

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Se i poeti fossero meno stupidi, se fossero meno pigri, renderebbero tutti felici per potersi occupare in pace delle loro sofferenze letterarie. Costruirebbero case gialle con grandi giardini davanti e alberi pieni di uccelli di zufoletti e grandi gigli di cinciatristi e capinere allegre di pennacchi, sbafatori e piccoli corvi rossi che direbbero la buona ventura Ci sarebbero grandi stagni con luci all’interno e duecento pesci, dai crostacei al topo d’acqua, dalla piccola moneta al “pepamule” dall’aguglia al passero-scranno dalla navicella all’asinello Ci sarebbe aria nuova profumata dell’odore delle foglie, si mangerebbe a sensazione e si lavorerebbe senza fretta, a costruire scale di forme mai viste con legni venati di malva lisci come lei sotto le dita Ma i poeti sono molto stupidi. Per cominciare, scrivono invece di mettersi a lavorare e ciò dà loro dei rimorsi che conservano fino alla morte, felici di aver così sofferto Si compensa...

Signora Aquilone

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C’era una donna, l’unica che ho avuto, aveva i seni piccoli e il cuore muto, nè in cielo nè in terra una casa possedeva, sotto un albero verde dolcemente viveva. Legato ai suoi fianchi con un filo d’argento, un vecchio aquilone la portava nel vento e lei lo seguiva senza fare domande perchè il vento era amico e il cielo era grande. Io le dissi ridendo “ma Signora Aquilone, non le sembra un pò idiota questa sua occupazione?”. Lei mi prese la mano e mi disse “chissà, forse in fondo a quel filo c’è la mia libertà”. E così me ne andai che ero un poco più saggio con tre soldi di dubbio e due di coraggio e incontrai un ubriacone travestito da santo che ogni sera si ubriacava bevendo il proprio pianto.   E mi feci vicino e gli chiesi perdono ma volevo sapere se il suo pianto era buono. Lui mi disse “fratello, è antico come Dio, ma è più dolce del vino perchè l'ho fatto io”. E prima che le stelle diventassero lacrime e prima che le lacrime diventassero ste...

Già detto

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Distanze tra il vero e il vuoto tra frasi e cadute di ritmo. Nulla che possa veramente spaventare i nostri occhi infrangibili. Eppure qualcosa si è spento qualcuno si è venduto - svanendo - gli scatti, i rimbalzi dell’anima. Sia, facciamone pure una questione di anni. Che passano, che addomesticano. (taroz)

Libri

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Libi Nò quei ca vedo chì, missi a paède, issà pe i muri, ma quei fati de strade site e ciàe, de òci, man, frescùe dré ae cane, de fòge ‘nter libio d’ço del’aia Libri Non quelli che vedo qui, / messi a filari, alzati lungo i muri, / ma quelli fatti di strade silenziose e chiare, / di occhi, mani, frescure dietro le canne; / di foglie nel libro d’oro dell’aria. Paolo Bertolani  

Irlanda, graffiti

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Sempre la stessa cosa, ripartire da Dublino. Addosso quella strana malinconia che mi prende quando l’aereo decolla e stacca le ruote dalla terra irlandese. Mai riuscito a spiegare, a spiegarmi. Mai come vorrei o avrei voluto. Succede da quella prima volta, diciotto anni fa, in cui esplorai “l’isola verde” battendola a tappeto, 4800 chilometri in tutto, il che significa anche passare e ripassare, zigzagare, perdersi e ritrovarsi, ascoltare i profumi, incantarsi ai colori. Questa volta sono stati 2700, nemmeno pochi, sfiorando appena l’entroterra e costruendo il viaggio con l’oceano quasi sempre a vista. Perché è del mare che ho bisogno, sempre, e questo ormai mi è chiaro.   Eppure, anche stavolta è stata una scoperta. Di luoghi e memorie, di nomi e storie. Magari appena coperte da un velo sottile di polvere, quello che fa perdere di vista e mai veramente dimenticare. Cose nuove: un passaggio veloce da Ballyshannon, dove la gente del Donegal ha dedicato una sta...

Si sente?

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Per noi, la storia, la storia a noi contemporanea, noi è come se abitassimo tutti in un appartamento al settimo piano che dà su uno snodo ferroviario ma ci abitiamo da tanto di quel tempo che se ci chiedono “Ti dà fastidio, il rumore dei treni?” ci vien da rispondere “Il rumore dei treni? Che rumore? Che treni?” . Questo non vuol dire che i treni non facciano rumore. E non vuol dire che a concentrarsi, a tendere l’orecchio, come si dice, non si senta, quel rumore, il rumore che il treno della storia fa in questo preciso momento che noi siamo qui. Paolo Nori, “Manuale pratico di giornalismo disinformato”

Sessantacinque anni. Oggi

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Pre, oggi, avrebbe sessantacinque anni. Questa è una foto scattata il 19 aprile 1968, al Silke Field di Springfield, Oregon. Steve Prefontaine aveva compiuto da poco diciassette anni. Non c’erano ancora i baffi, ma lo sguardo sicuro che punta dritto l’obiettivo, quello sì. Era un ragazzo della Marshfield High School pronto a prendere il volo. Era un ragazzo di Coos Bay che amava “il lavoro ben fatto”, proprio come la gente di quella costa dell’Oregon dove lo sguardo si perde sull’oceano, e alle spalle hai i boschi che ti avvolgono. Gente così. Pescatori, boscaioli. Tenaci, pratici, vite senza scorciatoie. Lui correva. Ci metteva impegno, creatività, passione. Era avanti, era davanti a tutti. Lui aveva il Dono e non voleva disperderlo. E’ da qui, dai tempi di questa foto, che spiccò il suo volo. Che fu breve, ma così intenso che la scia è ancora lì, si vede anche adesso. Ti chiedi dove sarebbe potuto arrivare. Ma non ha senso. Quella è stata la sua corsa. E si ...

Fuori posto

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Brucia all'inferno questa parte di me che non si trova bene in nessun posto mentre le altre persone trovano cose da fare nel tempo che hanno posti dove andare insieme cose da dirsi. Io sto bruciando all'inferno da qualche parte nel nord del Messico. Qui i fiori non crescono. Non sono come gli altri, gli altri sono come gli altri. Si assomigliano tutti: si riuniscono si ritrovano si accalcano sono allegri e soddisfatti e io sto bruciando all'inferno. Il mio cuore ha mille anni. Non sono come gli altri. Morirei nei loro prati da picnic soffocato dalle loro bandiere indebolito dalle loro canzoni non amato dai loro soldati trafitto dal loro umorismo assassinato dalle loro preoccupazioni. Non sono come gli altri. Io sto bruciando all'inferno. L'inferno di me stesso. (Charles Bukowski)

Smarrimenti

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E queste sono le Torri del Vajolet, come le ha viste Shangailady da sopra il rifugio Re Alberto, qualche mese fa. La montagna come piace a me. Che ti guarda dall’alto, solenne. Che la guardi e vorresti perdertici dentro. Camminare salendo, passo dopo passo, lasciando indietro il mondo di tutti i giorni. Questo, o calli e vicoli di Venezia dove tirava tardi Corto, o le strade strette d’Irlanda che portano all’oceano, che più in là c’è solo acqua, e cielo, e voglia di avventura o di splendido nulla. Mullaghmore, o più giù Ballybunion, Crookhaven. Comune denominatore, un freddo intorno che non gela l’anima e tiene vivi i pensieri. Anche se piove. Smarrirsi, ritrovarsi. O chissà.

Approdi

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Un porto da cui salpare dove c'è gente che sa guardare il mare vedere un punto lontano anche quando non c'è Un porto che nessuna carta - nautica oleata da parati - dovrà mai segnare un porto che non vuol farsi ricordare per non sporcare quella tua infinita voglia di volare Un porto dove torni semmai quando hai voglia di sapere che da qualche parte c'è ancora gente che sa aspettar e.