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Visualizzazione dei post da 2014

Lettera da lontano...

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Lettera da lontano Lettera da seguire le parole con l'indice di una mano Lettera scritta fuori dai denti Lettera senza firma, lettera con pochi argomenti Lettera dal carcere Lettera scritta da un minore Lettera che non capisci se sei tu che non vivi o se è lui che non muore Lettera di un cantante Lettera profumata come quella di una vecchia amante Lettera che ti penso Lettera che più la guardo più mi sembra senza senso Lettera che sembra una canzone d'amore Lettera con troppi diesis e pochissimo cuore Lettera per Silvia Barladini, non servirà a niente ma almeno saprà che le siamo vicini Lettera per chi ha solo rimorsi, da leggere a voce alta ma a piccoli sorsi Lettera piena di guai Lettera per chi era in guerra e di lettere non ne riceveva mai Lettera per mio figlio che mi ha guardato cantare come fossi io il figlio Lettera per mia moglie che non ha avuto un marito ma ha avuto solo le doglie Lettera a chi ha vissuto tutta la vita accompagnato solo dalla ...

Quando Gigi Riva tornerà....

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«Quando si andava in trasferta a Milano, a Torino, ci chiamavano pecorai. Oppure banditi. Avevamo dalla nostra migliaia di sardi all’estero, in quell’ Italia del nord. Non esisteva la Costa Smeralda, non c’era mica l’Aga Khan, questa bellissima terra non l’avevano ancora massacrata. Noi, che pure eravamo solo dei calciatori, le demmo un nome. Eravamo una questione d’orgoglio, di rivincita per tanta gente. Ed eravamo una squadra completa, giusta sul campo in ogni ruolo… Io rispondevo alle ingiustizie a muso duro, e spesso mi perdonavano perché ero importante per la Nazionale e non potevano squalificarmi: allora, gli squalificati non venivano convocati». (Gigi Riva) Grazie per i sogni di bambino. Per i gol in bianco e nero. Per la rabbia e il silenzio. Vorrei che quel tempo tornasse, ma va così. Felici settanta, Campione.

In morte di un giornalista

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  Marco che se ne va così, improvviso e inatteso, Marco che avevo incrociato in poche occasioni e appena conosciuto, mi fa riflettere su questo mestiere che ti mette pressione e adrenalina, finché c’è, ma ogni volta ti apre una crepa invisibile di cui non ti puoi accorgere, con i suoi orari rovesciati, i pranzi ingurgitati, le pause, anche quelle, sotto pressione. E sulla rabbia di questi tempi, nel vederlo violentato e degradato, maltrattato anche da quelli che dovrebbero difenderlo. E a una crepa si aggiunge una crepa, finché il cuore finisce schiacciato. Quando la pressione si allenta, quasi sempre. Allora penso a quello che manca, ormai, della vita a ritmi giusti. Una giornata di splendido niente, un tramonto sull’oceano, un vento lieve alle spalle, l’aria del dopo temporale da respirare al mattino. Una corsa forsennata in meno, un attimo in più da dedicare a un figlio, a un amico, a un’idea. Sogni così, sempre meno realizzabili. Rip, Marco.

In altre storie...

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“Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti: uno in calle dell'Amor degli amici; un secondo vicino al ponte delle Maravegie; un terzo in calle dei Marrani nei pressi di San Geremia in Ghetto Vecchio. Quando i veneziani sono stanchi delle autorità costituite, vanno in questi tre luoghi segreti e, aprendo le Porte che stanno nel fondo di quelle Corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi, e in altre storie…” (Corto)               

Assenza

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La cosa più incredibilmente naturale era il modo di porgere, con ironia, anche la parte più drammatica della propria esistenza. “Novanta minuti sul palco? E’ meglio che andare in analisi” , raccontava Robin Williams a David Letterman in una puntata del Late Show dello scorso settembre, meno di un anno oggi. “Per me era un modo di raccontare la mia vita. Evito di parlare troppo della mia vita personale. Ma durante quegli speciali ho toccato argomenti interessanti. Mi riferisco alle ricadute con l’alcol, al fatto che ho scelto una clinica per alcolisti nella regione dei vini, nel caso avessi cambiato idea…” E ancora, parlando del ritorno in tv dopo più di trent’anni, con la serie “Crazy Ones”: “Mi ha raccontato l’idea per la serie: padre, figlia, un’agenzia pubblcitaria. Il padre è un tipo interessante: diversi matrimoni alle spalle, un passato di droga e alcol… un po’ come il sottoscritto…” I riferimenti alla storia personale. Buttati lì con una leggerezza che, sappiamo ora (o ...

Riportare indietro il tempo

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Stella del Nord, vieni via. Troveremo una stanza d’albergo tutta a fiori, e una padrona grassa piena d’allegria. E poi andremo fuori a respirare, a ridere un po’ di quella gente che cerca Strauss sotto i lampioni del centro. Ma i veri poeti si nascondono bene dentro incredibili bar. Stella del Nord, vieni via. Troveremo la vera gente che suona per le strade, balleremo e canteremo in allegria. Nessuno ce l’ha detto che la giovinezza passa, stella del nord. (Goran Kuzminac)

Pompili, un bolognese in cima al K2

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  “Oggi alle 15 ore loc. Tam, io e Amin eravamo in vetta al K2, senza ossigeno. Solo il cielo sopra di noi ma coperto… 17 da c4. Bello!” . Un tweet. E non si può chiedere di più, sinceramente, a uno che ha viaggiato per quasi diciassette ore, senza ossigeno, a quota 8000, guardando sempre verso l’alto. Diciassette ore, dal campo 4 alla vetta, per regalarsi un sogno. Ce la racconterà meglio domani la sua impresa, Giuseppe Pompili , il bolognese che non smette neppure un attimo di pensare all’Himalaya, dall’ultimo piano del palazzo di via Bellaria in cui vive. Un alpinista di pianura che ha già lasciato più volte il segno del suo passaggio, e del suo modo di intendere le salite, sulle grandi cime del mondo. Lo aveva fatto, prima di oggi, sull’Everest, la montagna più alta della Terra, salendo dalla cresta nord-est in solitudine, e prima ancora sul Cho Oyu. Lo aveva fatto ultimando la salita delle “Seven Summits” , le più alte vette di ciascuno dei sette continenti, terzo...

Partire

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"Corto, cosa fai qui fuori?" "Sto pensando che dovrei decidermi a partire, Venezia m'impigrisce". "Venezia è fatta per questo… Ma basta aprire quella porta sul fondo per andartene o ritornare, nel tempo, come in una favola". "Sarebbe bello vivere una favola". "Ma tu vivi continuamente nelle favole, non te ne accorgi più? Quando un adulto entra nel mondo delle fiabe non riesce più ad uscirne. Non lo sapevi?” (dialogo tra Corto Maltese e Boccadorata – “Corte Sconta detta Arcana”)

Un altro viaggio nella memoria rossoblù

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di Marco Tarozzi Torna a vivere il Bologna di ieri. Quello dei ricordi e quello dimenticato, che pure ha messo le basi per una storia ultracentenaria e gloriosa. Succede proprio in questi giorni di incertezza per il Bologna di oggi e del futuro, come un paradosso o un apparentemente gravoso contrappasso. Invece, è solo esercizio di memoria. Che non è mera nostalgia, ma può far bene anche quando c’è da tirare su le maniche e ricostruire. Sono passati appena quattro giorni dal cinquantenario dell’ultimo scudetto rossoblù, quello conquistato dalla banda Bernardini all’Olimpico di Roma, contro l’Inter campione d’Europa, il 7 giugno 1964. E ne mancano due alla replica di uno spettacolo che la scorsa estate, nelle prime due rappresentazioni, a giugno e a settembre, si è distinto per originalità e profondità della ricerca storica e culturale. Venerdì sera alle 21 torna infatti il “Percorso della Memoria Rossoblu” , viaggio nella storia che porterà circa 120 persone (numero chiuso...

Amicizie

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Hai in piedi un progetto, pensato con un amico. Un amico vero. Almeno, credi. Un libro. Idea più tua che sua, titolo assolutamente tuo. Ci metti entusiasmo, e anche lui. Qualche ritardo, nel trovare le persone da coinvolgere. I sostenitori, come si dice... Qualche scusa (lo capisci ora) per giustificare lo stop del progetto. Si smette di parlarne. Però di materiale ce n’è, e allora è un peccato. Perché l’idea è buona. Almeno ti sembra. Bisognerebbe riparlarne. Lo fate. Meglio: lo fai tu, tornando sull’argomento. Gli chiedi: "Andiamo avanti?" Ti risponde: "No. Chi doveva sostenerci si è tirato indietro". Rinunci. Però ti piaceva, il progetto. Tanto che hai ancora tutti gli originali, i testi già fatti. Metà delle interviste che avevate pensato. Poi, improvvisamente, lo ritrovi, il libro. C’è. Ha anche un suo bel sito nuovo di zecca. Il libro. L’ha pubblicato lui. L’amico. Presunto. Facendo scrivere i testi ad altri. Il titolo, però, l’h...

Aspettando il domani

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Bruciare

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Amo ferocemente, disperatamente la vita. E credo che questa ferocia, questa disperazione mi porteranno alla fine. Amo il sole, l'erba, la gioventù. L'amore per la vita è divenuto per me un vizio più micidiale della cocaina. Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile. Come finirà tutto ciò? Lo ignoro

Sentieri

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Che ci faccio con tutti questi libri? Mi circondano. Mi pesano. Improvvisamente, non li sento più fratelli. A cosa sono serviti, poi? Ne ho letti troppi, troppo voracemente? Che ci faccio con Jack, Henry, John, Ray, Georges, Luciano, Pierpaolo, Dino, Boris, Thom, Joe, Ernest, Francis, Fedor, Guido, Lawrence, Allen, James, loro e tutti gli altri, tutti qui a ballarmi intorno in questa notte che è sempre più lunga? Fantasmi. Pronti per essere dimenticati. Lo so, cosa è mancato. La sfacciataggine, la costanza, la capacità di tafanare il prossimo. Sia maledetta questa paura di disturbare, di sgomitare, di sporcare il tempo degli altri. Se si chiama educazione, voi due lassù, ascoltatemi, potevate darmene un po’ meno. Se si chiama garbo, beh, affanculo. Mi lascia con questa sensazione di essermi speso tanto e male,   di avere quasi tutto alle spalle. E che non ci sarà un’altra storia, e che non si ritorna al via. Mi si è aperta questa voragine sotto, e ancora mi fa r...

Riscoprendo

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  E se io avessi sei dita, mi hai chiesto mentre stavamo immersi nel buio e ne contavo e ricontavo cinque proprio lì dove un tempo ti pensavo a raccogliere montagne di neve E se io avessi sei dita che faresti? Ci perderei tutto il tempo che chiede quel dito in più per scaldarlo, accarezzarlo farlo sentire importante non trattarlo mai da ultimo arrivato E se tu avessi cento dita ci passerei la notte a farle sentire importanti come te. E se tu avessi due anime te ne chiederei una in prestito per riempirci il vuoto di queste albe da aspettare senza pace. E se tu avessi quel corpo che hai lo prenderei in prestito per tutto il tempo di cui avrei bisogno per perlustrarlo che tanto lo so, alla fine ti fideresti e non mi faresti portare via dai terribili Custodi della Quiete E se tu avessi fogli sparsi pieni di disegni e passioni vorrei metterli insieme riordinarli per non farti stancare mentre cerco di ammirarti come non ti avevo mai conosciu...

Sono un cane randagio

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… E come ballavamo bevendoci d’un fiato la notte Era l’estate dei sognatori Spegnevamo, danzando, tutte le luci - siamo sempre stati un po’ matti – Il rhum va giù bene, e forte Facciamogliela vedere allo spazzino con i cani randagi A bordo di un treno andato in malora regalo il mio ombrello ai cani randagi perché anch’io sono un cane randagio… (Tom Waits)

No more blue, Roberto

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Era il ‘78, con tutto quello che voleva dire avere diciotto anni a Bologna in quei giorni. Avevo già il blues nella testa, e andavo in cerca di quei longplayng che non uscivano mai di produzione, o quasi, perché c’era stata la liberazione delle radio, c’era la musica davvero popolare e nulla era globale come ora. Liberi di fare e di sbagliare, e infatti feci e sbagliai, e non ho più smesso. Dischi incredibili di Leadbelly, Sam Chatmon, i cantori dei Mississippi, Charlie Musselwhite da alternare all’altra fissa, i suoni di Chet, alle ispirazioni di Demetrio, le osterie di Francesco o gli zingari di Lolli. Un patchwork di suoni e parole, ma sempre con il blues in sottofondo. Era il ’78 e arrivasti a Bologna, in un megaconcerto di “various artists” che tu aprivi, incantandomi. Tornai a casa nella neve, quella sera, dovevo essere con Bob Onofri o col Matto, erano soprattutto loro a condividere quei giorni là. Tornai col poster che poi è rimasto appeso al muro nella mia tana da ...