No more blue, Roberto
Era il ‘78, con tutto quello che voleva dire avere
diciotto anni a Bologna in quei giorni. Avevo già il blues nella testa, e
andavo in cerca di quei longplayng che non uscivano mai di produzione, o quasi,
perché c’era stata la liberazione delle radio, c’era la musica davvero popolare
e nulla era globale come ora. Liberi di fare e di sbagliare, e infatti feci e
sbagliai, e non ho più smesso.
Dischi incredibili di Leadbelly, Sam Chatmon, i cantori dei Mississippi, Charlie Musselwhite da alternare all’altra fissa, i suoni di Chet, alle ispirazioni di Demetrio, le osterie di Francesco o gli zingari di Lolli. Un patchwork di suoni e parole, ma sempre con il blues in sottofondo.
Dischi incredibili di Leadbelly, Sam Chatmon, i cantori dei Mississippi, Charlie Musselwhite da alternare all’altra fissa, i suoni di Chet, alle ispirazioni di Demetrio, le osterie di Francesco o gli zingari di Lolli. Un patchwork di suoni e parole, ma sempre con il blues in sottofondo.
Era il ’78 e arrivasti a Bologna, in un megaconcerto di “various
artists” che tu aprivi, incantandomi. Tornai a casa nella neve, quella sera, dovevo
essere con Bob Onofri o col Matto, erano soprattutto loro a condividere quei
giorni là. Tornai col poster che poi è rimasto appeso al muro nella mia tana da
piccolo uomo solitario e indipendente, la casa di via Maifredi dove un giorno
incontrai Gregory Corso nel suo viaggio bolognese, dove passavo le notti a
vivere da poeta. E poi per anni nel vecchio garage delle illuminazioni, dell’amore
perso e dei sogni mai realizzati. La chitarra dobro su sfondo nero e il tuo
nome in rosso. Roberto Ciotti.
Mi hai accompagnato per trentacinque anni. Discreto, in
sottofondo. Fedele al blues anche quando è diventato una scelta difficile, di
coraggio e fatica. Curioso del mondo, delle contaminazioni d’Africa. Libero
come avrei voluto essere. E in questi anni sono arrivati i social network a
regalarmi un contatto che allora non avevo potuto stabilire, perché Roma era
così lontana e vicina, e poi a me piaceva, allora, restare sul bordo a veder
scorrere l’acqua della creatività. Mica come adesso che cerco quasi sempre di
nuotarci dentro. E così anche un saluto, una battuta sui concerti che dovevano
arrivare e su quelli che saltavano, maledetto mondo che non capisce più il
blues, sono stati una specie di bonus track al grande regalo che è stata la tua
musica. Sei passato nella mia vita, con le tue chitarre, col tuo blues. E’
stato un viaggio incredibilmente lungo. Mi sono sentito bene, ascoltandoti.
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