Pompili, un bolognese in cima al K2
“Oggi
alle 15 ore loc. Tam, io e Amin eravamo in vetta al K2, senza ossigeno. Solo il
cielo sopra di noi ma coperto… 17 da c4. Bello!”.
Un tweet. E
non si può chiedere di più, sinceramente, a uno che ha viaggiato per quasi
diciassette ore, senza ossigeno, a quota 8000, guardando sempre verso l’alto.
Diciassette ore, dal campo 4 alla vetta, per regalarsi un sogno. Ce la
racconterà meglio domani la sua impresa, Giuseppe
Pompili, il bolognese che non smette neppure un attimo di
pensare all’Himalaya, dall’ultimo piano del palazzo di via Bellaria in cui
vive. Un alpinista di pianura che ha già lasciato più volte il segno del suo
passaggio, e del suo modo di intendere le salite, sulle grandi cime del mondo.
Lo aveva
fatto, prima di oggi, sull’Everest, la montagna più alta della Terra, salendo
dalla cresta nord-est in solitudine, e prima ancora sul Cho Oyu. Lo aveva fatto
ultimando la salita delle “Seven
Summits”, le più alte vette di ciascuno dei sette continenti, terzo
italiano assoluto e secondo nella combinata (Carstensz e Kosciuszko), dopo
Reinhold Messner. Ma il K2 ha un fascino e un’attrazione che forse nessun’altra
cima emana. Giuseppe l’aveva già tentata due volte, sempre con lo stesso
approccio: spedizione limitata, due o tre persone al massimo, niente ossigeno,
niente sherpa a fare il lavoro sporco. Alla cima era arrivato vicino, così come
a quella del Nanga Parbat, e non si è trattato di insuccessi: semplicemente,
Pompili può mettersi in azione sfruttando “finestre” di bel tempo limitate, non
avendo la forza, né le risorse economiche, delle grandi spedizioni.
Per questo il
successo di questa salita vale doppio. Perché è stato inseguito, voluto,
conquistato rispettando la montagna. E anche perché era deciso che sarebbe
stata l’ultima volta. Lo aveva spiegato lui stesso, in procinto di partire.
Così. “C’è un demone che
ciascuno di noi deve seguire. Il mio si chiama K2. Mi voglio regalare un ultimo
tentativo nel 60esimo anniversario della salita prima di chiudere una volta per
tutte con gli 8000, cogliendo questa occasione unica e irripetibile. C’è un
tempo per ogni cosa, e non occorre scomodare l’Ecclesiaste per saperlo. Il mio
tempo alle alte quote sta finendo e non solo per questioni anagrafiche.
Ultimamente mi sento un po’ come un dinosauro, un appartenente a un tipo di
alpinismo in via d’estinzione. I grandi mutamenti di questi ultimi anni stanno
cancellando la figura dell’alpinista medio, non turista d’alta quota ma neppure
professionista sponsorizzato. E’ perciò che – con intima soddisfazione
personale – mi accingo a compiere il mio ultimo tentativo in completa
autonomia, anche economica. La libertà ha un prezzo, che in questo caso pago volentieri”.
Sì, Giuseppe Pompili è un uomo libero. E per una buona mezz’ora, questo
pomeriggio, ci ha guardati tutti dall’alto, rigirando tra le mani il suo sogno
diventato finalmente realtà. Un sogno chiamato ChogoRi, in lingua Balti.
Significa, semplicemente, “Grande
Montagna”. Confidenzialmente, K2.
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