Il giorno del migliore
Avrebbe sessantadue anni proprio oggi. Un figlio del dopoguerra: cinque fratelli, padre addetto al tornio in un cantiere navale, mamma che lavorava duro alla manifattura tabacchi Gallagher's, per far quadrare il bilancio. Figlio di una città divisa dalla religione, Belfast. Cresciuto, da subito, con un pallone tra i piedi. Di stracci, e poi di plastica, e poi di cuoio. Nei vicoli, e poi sui campetti di periferia, e poi dentro stadi sempre più grandi, sempre più illuminati. Il talento l'ha guidato, la fatica di vivere l'ha dissipato. Era semplicemente un genio. Lo sapeva, ne approfittava, come sempre fa chi sa volare tanto in alto da pensare di non dover mai cadere. Icaro e le sue ali bruciate dal sole, avete presente? Lui, bruciato dall'alcool. Come mamma, quasi trent'anni prima. Lui, meteora appena consapevole: nel Manchester già da ragazzino, debuttante in prima squadra a diciassette anni. Ne aveva ventidue quando alzò al cielo la Coppa Campioni e, di lì a poco, il Pallone d'Oro. Non è un caso che fosse il 1968.
Stella bambina, già cadente pochi anni dopo: via dal Manchester a ventotto anni. A iniziare una vita randagia dietro a palloni, donne, bottiglie. Su palcoscenici di secondo piano. Stockport, Cork, e poi gli Aztecs di Los Angeles, più che altro per inseguire il sole e i dollari della California. E ancora Fulham, Fort Lauderdale, Hibernians, giù giù fino ai Brisbane Lions e al Tobermore, dove nemmeno lo misero in campo. “Da quando è andata male col calcio, la cosa che ho più amato in assoluto, la mia vita è diventata lentamente un incubo”.
Ha provato a svegliarsi, è ricaduto nel sonno della mente. Un'icona scheggiata trascinata da un pub all'altro, da una caduta all'altra. L'ultima, il 25 novenbre del 2005. Senza ritorno.
Ho amato quelle sue foto in bianconero, i rari filmati che in una manciata di secondi lasciavano intravedere lampi di genio. Mi esaltavo come si può esaltare un ragazzino che sogna un futuro da campione, giocando tra le sedie di casa con una palla di pezza. Fate largo a Best, gridavo ad avversari invisibili, e non sapevo che stavo urlando di essere “il migliore”.
Buon compleanno, George Best. Ovunque tu sia, spero tu abbia trovato la serenità che hai sempre inseguito. Inutilmente.
Stella bambina, già cadente pochi anni dopo: via dal Manchester a ventotto anni. A iniziare una vita randagia dietro a palloni, donne, bottiglie. Su palcoscenici di secondo piano. Stockport, Cork, e poi gli Aztecs di Los Angeles, più che altro per inseguire il sole e i dollari della California. E ancora Fulham, Fort Lauderdale, Hibernians, giù giù fino ai Brisbane Lions e al Tobermore, dove nemmeno lo misero in campo. “Da quando è andata male col calcio, la cosa che ho più amato in assoluto, la mia vita è diventata lentamente un incubo”.
Ha provato a svegliarsi, è ricaduto nel sonno della mente. Un'icona scheggiata trascinata da un pub all'altro, da una caduta all'altra. L'ultima, il 25 novenbre del 2005. Senza ritorno.
Ho amato quelle sue foto in bianconero, i rari filmati che in una manciata di secondi lasciavano intravedere lampi di genio. Mi esaltavo come si può esaltare un ragazzino che sogna un futuro da campione, giocando tra le sedie di casa con una palla di pezza. Fate largo a Best, gridavo ad avversari invisibili, e non sapevo che stavo urlando di essere “il migliore”.
Buon compleanno, George Best. Ovunque tu sia, spero tu abbia trovato la serenità che hai sempre inseguito. Inutilmente.
Commenti
Ma perché, mi chiedo, dobbiamo sforzarci di comprendere questi personaggi, tanto bravi sul campo quanto bizzosi fuori?
Perché, mi chiedo, sforzarsi di capire Maradona. Uno che caccia via la sua vita, proprio come ha fatto Best? Forse non c'entra nulla. Però è un po' come l'associazione "Nessuno tocchi Caino". Nessun problema, davvero, nei confronti di Caino. Ma in questi casi io continuo a pensare sempre al povero Abele.
Sbaglio?
Sportivi e campioni. Ma campioni anche fuori dal campo, pur con i loro difetti (inciso: i difetti li abbiamo tutti), le loro manie.
Gente che ha vinto e ha perso sul campo. Gente che aveva talento (chi più, chi meno), ma non s'è fatta oscurare dal proprio genio, volendo per forza buttarla sul classico genio e sregolatezza.
Mi piace rapportarmi con persone vere, che sappiano ridere e scherzare. Senza considerarsi dei padreterni perché giocano bene a basket oppure a calcio. Forse è per quello che BasketCity è in disarmo. Perché quelli che sono venuti dopo i 'sunnominati' hanno creduto di arrivare a Bologna dovendoci insegnare tutto. Perché loro campioni...
Come diceva il grande Totò: 'Ma mi faccia il piacere...'.