ladri di biciclette

Hai trentasei anni e fai l'operaio. Lavori per metter su famiglia e casa, e in qualche modo ci stai riuscendo. I quattro muri li paghi col mutuo, si capisce. Tasso variabile, ti hanno detto che "conviene". Ne sappiamo qualcosa, no? "Non ti preoccupare se si stanno innalzando. Scenderanno. E’ normale, è ciclico". Hai trentasei anni e aspetti. Tasso fisso, tasso variabile. Capirci qualcosa. All’improvviso la casa a rate ti costa uno stipendio. Sei al bivio: o mangi e fai mangiare chi ti sta accanto, o paghi la rata. Scegli la prima opzione, e cominci a pensare che presto la tua casa se la porterà via la banca.
Hai trentasei anni e l’angoscia ti sta addosso come un odore. E l’angoscia fa fare cose imprevedibili, inimmaginabili. Ti inventi un mestiere. Rapinatore. Ma non è il tuo, lo capiscono anche i clienti dell’ufficio postale dove provi a far quadrare, in un solo colpo, i tuoi conti. Sentono "la voce tremante", sentono "la paura". Non fa per te. Sei goffo, inadatto. Il mestiere è il mestiere. Rinunci, ti dai alla fuga. E qui arriva il furto, quello vero. Una bici incustodita. Poche pedalate e i carabinieri ti sono addosso. Fine dell’avventura, che era più grande di te.


Ricorrenze. Sono passati sessant’anni esatti dall’uscita di "Ladri di biciclette" di De Sica. 1948, 2008. E’ cambiata l’Italia, è cambiato il millennio. Anche la povertà ha una faccia nuova. Meno esibita, più sottotraccia. Ma arriva al cuore con la stessa drammatica violenza. E provoca lo stesso sentimento:vergogna. Quella di G.C., sessant’anni dopo, è la stessa di Antonio Ricci. Quello di De Sica, non quello del Gabibbo. La storia di chi è costretto a inventarsi ladro per dare un futuro alle persone che ama. E siccome non è il suo genere, ci resta impigliato.


E’ una storia d’Italia. Vera, cruda, disperata. E’ il neorealismo che avanza, stavolta senza che ci sia stata una guerra di mezzo. O forse, in qualche modo, c’è stata e non ce ne siamo nemmeno accorti.

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