Tutto un altro Giro
Pavel Brutt vince la quarta tappa del Giro. Vittoria russo-bolognese. Ventisei anni, nato a Sosnovy Bor, gareggia ovviamente per la Tinkoff, dove si sente la mano e l'esperienza di Orlando Maini, un direttore sportivo che sa costruire buone cose ovunque pianti le tende. E' la squadra di Orlandone e di Luca Mazzanti: la Bologna che si fa rispettare in carovana. Vittoria d'altri tempi, dopo 180 chilometri di fuga a cinque. Uno solo perduto per strada, dannato dalla sfortuna: David Millar, gloria e ombre nel passato, un presente di annunciata redenzione, tradito dalla catena a 1080 metri dal traguardo. Bici scagliata oltre le transenne per maledire un sogno spezzato. Niente in mano dopo la grande fatica.
A proposito di ciclismo d'altri tempi: si trova ancora. Fatto di strade sterrate, polvere, sudore, corse senza tattica, solo cuore. Però bisogna spostarsi in Africa. Al Tour du Faso, per esempio, che è la gara a tappe più famosa, non fosse altro perché laggiù, nel Burkina Faso che mezzo secolo fa si chiamava ancora Alto Volta, già allora andavano a correre i campioni di casa nostra. Non fosse altro perché lì proprio il più grande, Fausto Coppi, iniziò la sua repentina tragedia.
Scopri il Tour du Faso e ti si aprono altri mondi. Impari che in quel paese la bici è sacra, e che in quel continente le gare epiche si moltiplicano. Ci sono i giri del Marocco, del Mali, del Sudan. Ci corrono gli idoli locali, e intorno (e dietro) una umanità varia che spesso correndo esce da realtà drammatiche, e in qualche modo sbarca il lunario. Dieci tappe del Tour du Faso per qualcuno sono un'ottima occasione di campare e mangiare meglio. E quel qualcuno le affronta con rottami che è azzardato definire biciclette.
L'epica che ancora c'è l'ha raccontata in un libro prezioso Marco Pastonesi. Che nel 2006 ha seguito i 1200 chilometri di strade rosse e scarsissime curve della corsa, viaggiando dentro l'anima dei suoi spesso improvvisati campioni. E ci ha ricavato "La corsa più pazza del mondo", edito da Ediciclo. Umano, toccante, ironico. E divertente. Come quando racconta la volata allo spasimo di Desirè Kadarè, per agguantare un “clamoroso” 79° posto di tappa. Nemmeno il tempo di gioire: sprint vincente, freni che improvvisamente saltano e schianto contro un furgone parcheggiato. Nel danno, un raggio di sole: solo escoriazioni. E poi, quasi una fortuna: quel furgone è l'ambulanza.
E ancora: Attivi Egui, che in Togo chiamano Armstrong. Adama Togola, contadino del Mali che di solito impara di una gara importante solo pochi giorni prima, e in quelli concentra gli allenamenti. E poi gli “occidentali”. David Verdonck, elettricista belga, che corre da sempre e si allena sulle strade di Tom Boonen, ma lo incrocia soltanto. Però il suo Giro del Burkina Faso l'ha portato a casa. O come Herman Conan, frigorista bretone, un dio da dilettante a casa sua, un idolo da professionista ma soltanto in queste terre di terra battuta. E Jean Marie Leblanc, ripartito dal Faso dopo essere stato anima del Tour, quello vero. Storie che si incrociano laggiù, e in un libro che sembra un tuffo in un ciclismo che non c'è più. E invece è sempre lì, con la sua polvere e i suoi colori. A raccontarsi in corsa.
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Un saluto, Dario