Ricordando Danilo
Danilo Cecconi era mio amico. Ci conoscemmo grazie alla passione per il triathlon, insieme "pionieri" del Pasta Granarolo dei primi anni Novanta. Scoprimmo di essere "quasi gemelli": lui nato il 19 luglio 1960, io il 5 agosto. Scoprimmo, una sera d’autunno, una passione comune per cantautori americani ormai quasi sconosciuti alle nuove generazioni, come Donovan e Townes Van Zandt. Abbiamo vissuto un’amicizia fatta di silenzi, scendendo sulle piste da slittino delle sue montagne, al passo Palade. Abbiamo diviso allenamenti in pausa-pranzo, gare semisconosciute in paesini dell’Austria, serate ad alta gradazione enogastronomica nei rifugi della sua Val di Non.
In tempi in cui si abusa della parola "campione", penso che Danilo fosse davvero un campione. Di triathlon estremo, di sfide durissime per misurare sé stesso, mai in competizione con gli altri ma solo coi propri limiti, di passione. Se ne è andato troppo presto. Quando ho scoperto che Dario, suo fratello, stava preparandosi per completare l’Ironman che lui aveva amato più di ogni altro, quello di Roth, ho fatto il tifo per lui. Un paio di settimane fa, Dario ha mantenuto la promessa. Ci ha impiegato qualche ora in più, rispetto a Danilo, ma è arrivato in fondo. Facendo rivivere suo fratello. Per questo, quando si è messo la maglietta da "finisher", gli ho dedicato un’apertura di pagina sul Domani di Bologna. Perché la sua è stata un’impresa vera, più di tante che vengono esageratamente ingigantite. Quasi d’altri tempi. Certamente d’altro spirito. Questo articolo è stato un regalo per Dario. E per Danilo, che non sappiamo dimenticare. Per fortuna.
Io, Ironman sulle tracce di Danilo
Quando suo fratello Danilo era letteralmente rapito dalla passione per gli sport estremi, Dario Cecconi sapeva a malapena cosa fosse il triathlon. Lui, classe 1961, un anno meno di suo fratello, aveva sempre giocato a pallacanestro. Da ragazzo nella Virtus Medicina, poi tra gli amatori con i leggendari "Rifiuti", sempre in quello che è il suo paese natale. Danilo, intanto, aveva già archiviato sette edizioni della 100 chilometri del Passatore (la prima a sedici anni...), gare di sci-alpinismo, skyrunning, sci di fondo. E poi era arrivato quel gioco fantastico. Ironman. Triathlon, sì, ma non per tutti, con quelle distanze infinite e tutte quelle ore da consumare in gara, cercando dentro, nella testa più ancora che nelle gambe, la forza di andare avanti. Danilo aveva talento, e più la distanza si allungava più lo mostrava. Il suo posto delle favole era Roth: lì aveva chiuso cinque volte la distanza estrema, tre delle quali sotto il muro delle dieci ore.
"Quando scoprì di essere ammalato, affrontò le cure pensando sempre al futuro. Ai medici diceva: quando esco da questa storia, torno a Roth. Guardava avanti, mio fratello. E io gli dicevo: quel giorno ti accompagnerò in bici lungo il percorso. Quando il male lo ha vinto, nel 2004, ho ricordato quelle parole. Mi sono detto: lui voleva arrivare in fondo ancora una volta, finirò io il lavoro per lui".
C’è voluto un po’ di tempo. Dario era già iscritto alla grande classica tedesca un anno fa, ma a un mese dalla gara una brutta broncopolmonite lo mise fuori causa. Quest’anno niente poteva fermarlo. Domenica scorsa ha nuotato, pedalato e corso per 13 ore, 41 minuti e 12 secondi. E’ arrivato in fondo, e sul traguardo ha guardato lassù, dove qualcuno lo aveva spinto fino al traguardo.
"E’ stato un lungo percorso. Si può dire che sia diventato triathleta nel ricordo di mio fratello, partendo ovviamente dalla distanza Sprint, dopo essermi avvicinato alla squadra per cui correva, il Team Pasta Granarolo, e aver chiesto consigli ai suoi amici e compagni. A Roth ero già stato nel 2006, iscrivendomi all’Ironman a staffetta: corsi la prova in bici e pensai che già quella era massacrante, e a come avrei mai potuto affrontare la gara per intero. Quest’anno mi sono messo d’impegno. Grazie alla mia compagna Ljudmila, che fa atletica e triathlon ad alto livello, ho trovato continuità e... un coach fatto in casa. Mi sono allenato per dieci mesi, praticamente tutti i giorni, ed è stato un sacrificio perché quando hai famiglia, figli piccoli, lavoro non è una passeggiata preparare una prova di questo tipo. Certo, non ho mai avuto velleità da protagonista. Non ho il talento di Danilo, non ho mai pensato di arrivare alle sue prestazioni. Ma volevo arrivare in fondo e ce l’ho fatta"
Il giorno della gara è arrivato tra grandi emozioni e comprensibili timori.
"Alla vigilia ero nel panico, ho detto a Mila che non sapevo se sarei partito. Anche le condizioni atmosferiche non aiutavano: pioveva, sembrava di essere in autunno più che in estate. Poi, lei mi ha fatto una sorpresa che mi ha scaldato il cuore: sulla canotta della mia squadra aveva fatto stampare, in segreto, la foto di mio fratello con tutti i suoi "crono" di Roth. E una scritta in inglese, che diceva: "Io oggi vorrei essere un Ironman, Danilo è ancora qui con me a Roth". Ecco, quando l’ho infilata prima di partire ho capito cosa mi aveva portato fin lì. Un’idea, un progetto, una promessa. In gara la fatica l’ho sentita, eccome. In quasi quattordici ore, ne avrò prese dieci di pioggia. Vedevo intorno un sacco di gente che si ritirava, alla boa della prova di nuoto quasi piangevo per il freddo. Ma alla fine la testa ha vinto. E’ arrivato qualcosa che mi ha fatto andare avanti"
Già. Qualcosa, o qualcuno. Che ha portato Dario fino al traguardo, e che ora lo porterà oltre.
"A ripensarci, mi vengono i brividi. E’ stato fantastico. Ed è vero che quando ti consegnano quella maglia con scritto "finisher" scatta qualcosa. In me, la voglia di riprovarci. Già l’anno prossimo. Ho passato tutto il viaggio di ritorno domandandomi a quale gara avrei potuto iscrivermi, la prossima volta. Ci ho messo un po’ a capire che la risposta era semplicissima. Mi sa che tornerò a Roth. C’è un motivo se Danilo ci tornava ogni anno. Ora spero di continuare la sua strada".
Quando suo fratello Danilo era letteralmente rapito dalla passione per gli sport estremi, Dario Cecconi sapeva a malapena cosa fosse il triathlon. Lui, classe 1961, un anno meno di suo fratello, aveva sempre giocato a pallacanestro. Da ragazzo nella Virtus Medicina, poi tra gli amatori con i leggendari "Rifiuti", sempre in quello che è il suo paese natale. Danilo, intanto, aveva già archiviato sette edizioni della 100 chilometri del Passatore (la prima a sedici anni...), gare di sci-alpinismo, skyrunning, sci di fondo. E poi era arrivato quel gioco fantastico. Ironman. Triathlon, sì, ma non per tutti, con quelle distanze infinite e tutte quelle ore da consumare in gara, cercando dentro, nella testa più ancora che nelle gambe, la forza di andare avanti. Danilo aveva talento, e più la distanza si allungava più lo mostrava. Il suo posto delle favole era Roth: lì aveva chiuso cinque volte la distanza estrema, tre delle quali sotto il muro delle dieci ore.
"Quando scoprì di essere ammalato, affrontò le cure pensando sempre al futuro. Ai medici diceva: quando esco da questa storia, torno a Roth. Guardava avanti, mio fratello. E io gli dicevo: quel giorno ti accompagnerò in bici lungo il percorso. Quando il male lo ha vinto, nel 2004, ho ricordato quelle parole. Mi sono detto: lui voleva arrivare in fondo ancora una volta, finirò io il lavoro per lui".
C’è voluto un po’ di tempo. Dario era già iscritto alla grande classica tedesca un anno fa, ma a un mese dalla gara una brutta broncopolmonite lo mise fuori causa. Quest’anno niente poteva fermarlo. Domenica scorsa ha nuotato, pedalato e corso per 13 ore, 41 minuti e 12 secondi. E’ arrivato in fondo, e sul traguardo ha guardato lassù, dove qualcuno lo aveva spinto fino al traguardo.
"E’ stato un lungo percorso. Si può dire che sia diventato triathleta nel ricordo di mio fratello, partendo ovviamente dalla distanza Sprint, dopo essermi avvicinato alla squadra per cui correva, il Team Pasta Granarolo, e aver chiesto consigli ai suoi amici e compagni. A Roth ero già stato nel 2006, iscrivendomi all’Ironman a staffetta: corsi la prova in bici e pensai che già quella era massacrante, e a come avrei mai potuto affrontare la gara per intero. Quest’anno mi sono messo d’impegno. Grazie alla mia compagna Ljudmila, che fa atletica e triathlon ad alto livello, ho trovato continuità e... un coach fatto in casa. Mi sono allenato per dieci mesi, praticamente tutti i giorni, ed è stato un sacrificio perché quando hai famiglia, figli piccoli, lavoro non è una passeggiata preparare una prova di questo tipo. Certo, non ho mai avuto velleità da protagonista. Non ho il talento di Danilo, non ho mai pensato di arrivare alle sue prestazioni. Ma volevo arrivare in fondo e ce l’ho fatta"
Il giorno della gara è arrivato tra grandi emozioni e comprensibili timori.
"Alla vigilia ero nel panico, ho detto a Mila che non sapevo se sarei partito. Anche le condizioni atmosferiche non aiutavano: pioveva, sembrava di essere in autunno più che in estate. Poi, lei mi ha fatto una sorpresa che mi ha scaldato il cuore: sulla canotta della mia squadra aveva fatto stampare, in segreto, la foto di mio fratello con tutti i suoi "crono" di Roth. E una scritta in inglese, che diceva: "Io oggi vorrei essere un Ironman, Danilo è ancora qui con me a Roth". Ecco, quando l’ho infilata prima di partire ho capito cosa mi aveva portato fin lì. Un’idea, un progetto, una promessa. In gara la fatica l’ho sentita, eccome. In quasi quattordici ore, ne avrò prese dieci di pioggia. Vedevo intorno un sacco di gente che si ritirava, alla boa della prova di nuoto quasi piangevo per il freddo. Ma alla fine la testa ha vinto. E’ arrivato qualcosa che mi ha fatto andare avanti"
Già. Qualcosa, o qualcuno. Che ha portato Dario fino al traguardo, e che ora lo porterà oltre.
"A ripensarci, mi vengono i brividi. E’ stato fantastico. Ed è vero che quando ti consegnano quella maglia con scritto "finisher" scatta qualcosa. In me, la voglia di riprovarci. Già l’anno prossimo. Ho passato tutto il viaggio di ritorno domandandomi a quale gara avrei potuto iscrivermi, la prossima volta. Ci ho messo un po’ a capire che la risposta era semplicissima. Mi sa che tornerò a Roth. C’è un motivo se Danilo ci tornava ogni anno. Ora spero di continuare la sua strada".
Commenti
Grazie Marco. E grazie Danilo per l'esempio
Che ne dici?
Bartolino.
E perché Tarozzi non risponde a queste provocazioni? Mah
All'amico (chi sei?) che mi propone il bisettimanale: di sicuro ne sai più di quanto vuoi far credere... Però non è facile: le idee si trovano, i finanziatori un po' meno...
a Witness: e se poi ti faccio pagare e mi abbandoni? Meglio lasciarti entrare quando e come vuoi, è un po' il senso di questo "speaker corner"
Al provocatore: non ho risposto perché ho passato un tranquillo weekend di paura, inventandomi garzone di bottega per aiutare un amico a montare un impianto in casa. Dodici ore filate al giorno, per due giorni: potrebbe essere un'idea per il futuro, vista la lungimiranza di chi tiene il timone dell'azienda per cui lavoro
...Seeeee mai fatto!!! Pero' amavo il suo entusiasmo...tanto.
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