Andrea Minguzzi, l'oro del dio minore


Andrea Minguzzi vent'anni dopo Vincenzo Maenza. Lottatori sublimi. Gente di Romagna che ha nel cuore uno sport fatto di sacrifici, sudore, salite dure. E attimi di gloria che arrivano ogni quattro anni e durano un attimo. Bisogna essere bravi a raccoglierli al volo. Chi ci riesce, si cambia la vita. E scrive la storia.
Andrea ha ventisei anni e mi piace l'idea che abbia scelto una disciplina dura, che non concede scorciatoie. Per essere il migliore, nella greco-romana, devi spendere ore in palestra, lontano dai riflettori che (apparentemente) ti sistemano la vita in un istante. Un ragazzo che abita quel fantastico pianeta degli sport cosiddetti minori, quello che amo e che si accende (e ci regala medaglie) a intermittenza, sempre insieme alla fiaccola di Olimpia. Beppe Ramina, il mio direttore, mi ha chiesto di celebrarlo sul "Domani", giornale per cui lavoro. Oggi, giorno di Ferragosto, l'ho fatto così...


HA VINTO IL DIO MINORE


Marco Tarozzi
Centottanta centimetri e una faccia da duro tenero, cuore e coraggio sotto una scorza da “La squadra 7”. Un Taricone, però grosso. E meno abituato alle scorciatoie. Per farsi abbracciare dalla gloria, Andrea Minguzzi ha scelto la strada più difficile. La palestra, la fatica, il sudore. Le botte. Ne ha date e prese, e nel giorno più importante della sua vita ne ha soprattutto date. Prendendosi l’oro che qualunque atleta, campione o comprimario che sia, sogna dal momento in cui comincia ad innamorarsi davvero dello sport. L’oro di Olimpia. Quando finisce il tempo dei sogni, ai piedi di quel podio ci arrivano solo i talenti veri. E quelli che hanno qualcosa in più ci salgono. Lui ci è salito ieri. Dice che ancora non riesce a spiegarselo, ma la risposta è semplice. Carattere, volontà, passione. E classe, naturalmente.
Quello di Andrea Minguzzi è un oro olimpico che, se possibile, vale e pesa molto più di quanto appaia a chi oggi l'ha scoperto e lo avvolge di affetto e applausi. Perché questo ragazzone imolese è arrivato a Pechino con due eredità belle toste da portare sulle spalle. E' due volte figlio d'arte, Andrea. Di papà Massimo, suo primo mentore, che negli anni Settanta ha vestito a sua volta la maglia azzurra, e sportivamente parlando di una leggenda come Vincenzo “Pollicino” Maenza, che della tradizione della greco-romana è il simbolo assoluto in Italia. Dopo gli anni di svezzamento, proprio a Maenza (due ori olimpici, a Los Angeles e Seul, e l'argento di Barcellona a chiudere una carriera da stella del firmamento olimpico) è toccato occuparsi di quelli di formazione, quando Andrea passò dalla Placci Bubano alla Cisa Faenza e trovò quel piccolo grande uomo ad accoglierlo. Questo peso in qualche modo si è trasformato in energia positiva, nel cuore di una manifestazione che è sogno e speranza di ogni atleta, e più che mai di quelli che ci ostiniamo a confinare in un territorio popolato di splendide divinità cosiddette “minori”, Andrea ha fatto un capolavoro che, a rileggerlo adesso, sembra scritto da un destino che sa sceneggiare bene le storie: il suo oro a cinque cerchi arriva vent'anni esatti dopo l'ultimo di Vincenzino Maenza, anche se a conti fatti dentro la sua categoria di peso ci starebbero più o meno un paio di “Pollicini”. Come dire: era un anniversario, una ricorrenza, e qualcuno doveva pur festeggiarla. Ci ha pensato lui, l'allievo che ha seguito bene le tracce del maestro.
“I maschi delle api vivono un attimo e poi muoiono. Per noi questo succede ogni quattro anni”. L’ha detto un nuotatore austriaco, Markus Rogan. E’ una frase bella e piena di verità. E purtroppo vale per tutti gli Dei minori di cui dicevamo. Gli atleti degli sport che portano medaglie e gloria all’Italia, e poi vengono messi nel baule dei ricordi per quattro lunghi anni. Gli atleti che adesso prenderanno un bell’assegno dal Coni e poi dovranno lottare per non pagarci, almeno per una volta dopo una vita di sacrifici, il cinquanta per cento di tasse. Quattro lunghi anni. Dai ventidue ai ventisei, per Andrea. L’età in cui un ragazzo diventa uomo. L’età del divertimento e della maturazione lui l’ha passati dentro quella palestra, a ricostruire dopo la delusione del debutto di Atene. Lì le botte le aveva prese, ma la lezione gli è servita. Oltre che con la tenacia, Andrea ha costruito questo trionfo con l’umiltà che in quei giorni del 2004 lo ha arricchito. In mezzo ha dato segni importanti della sua crescita. Due bronzi europei, una catena di titoli italiani. Ma noi, che ci innamoriamo dello sport a tutto tondo ogni quattro anni, quando si accende la fiaccola olimpica, oggi ci meravigliamo a vederlo lassù. Questo, immaginiamo, lo divertirà. Come l’idea di essere stato votato tra i più sexy di questa Olimpiade. Una medaglia in più.
D’altra parte, c’è chi le medaglie le lascia abbandonate a terra. Lo svedese Abrahamian, arrabbiato con gli arbitri che in semifinale avrebbero favorito Andrea, è sceso dal podio facendo la sua inutile commedia. Spirito olimpico. Andrea ci ha sorriso: “Io quando lui mi mena salgo sul podio lo stesso, stavolta l’ho menato io e lui non ci sta”. Spirito romagnolo. Hai ragione da vendere, Andrea: questa è la tua festa e nessuno riuscirà a rovinartela.

("Il Domani di Bologna", 15 agosto 2008)


Commenti

Anonimo ha detto…
Taroz, hai ragione. Questi campioni esaltati per pochi giorni e dimenticati per anni meriterebbero un'attenzione più continua. Non so se il web potrà risolvere il problema. Speriamo.
Andrea
Anonimo ha detto…
Vogliamo parlare, piuttosto, dell'atletica leggera e di chi ha fatto le scelte? E di chi ha lasciato a casa la Balassini?
Howe era messo molto peggio della Balassa. Si sapeva che non avrebbe potuto ripetere i risultati dell'anno prima. Però l'hanno chiamato. Che centri la Ferrero?
Anonimo ha detto…
Il mio pupillo come Taricone? Caro Tarozzi, ci vediamo presto in tribunale
Anonimo ha detto…
Sempre a proposito del lancio del martello: chiedevo cosa aveva fatto la Salis, quella che ha fatto le scarpe alla Balassini. Si può sapere? Non lo trovo da nessuna parte

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