Gesti olimpici, parole d'oro
"Oggi non è più in primo piano l'orgoglio nero, ma l'orgoglio umano. Anche in Cina: ci sono le Olimpiadi, è un bel modo per accendere i riflettori lì. Oggi ognuno ha a disposizione un discorso dopo la medaglia, hanno davanti il mondo e possono comunicare. Non è più tempo per i gesti. Stiamo ad ascoltare"
Tommie Smith
Non c’è molto altro da dire, mentre scorrono i titoli di coda sulla cerimonia inaugurale dei Giochi di Pechino e Li Ning vola appeso a un filo sul National Stadium.
Tommie Smith
Non c’è molto altro da dire, mentre scorrono i titoli di coda sulla cerimonia inaugurale dei Giochi di Pechino e Li Ning vola appeso a un filo sul National Stadium.
Meglio ascoltare quello che ha (ancora) da dirci Tommie Smith, uno che le sue scelte le ha fatte e le ha pagate: buttato fuori dal villaggio olimpico di Città del Messico, lui e la sua medaglia d’oro, e il suo amico John Carlos, giusto quarant’anni fa; e poi deriso e offeso in patria, costretto a lavori marginali rispetto a quello che valeva. Poi, certo, i riconoscimenti quando il tempo ha annacquato i ricordi, o forse quando le rivoluzioni di pensiero hanno smesso di far paura: nella Hall of Fame dell’atletica dal 1978, "Sportivo del millennio" nel 1999. Una statua che raffigura "il gesto" all’Università di San Josè.
In tanti hanno detto che alle Olimpiadi bisogna esserci, e ognuno aveva i suoi buoni motivi per dirlo. Spesso sinceri, talvolta interessati. Se lo dice Tommie Smith è diverso. Ha ragione lui, sono cambiati i tempi: una volta eri un eroe, certo, ma stavi su un podio in mezzo a un prato e le tue parole non avrebbero viaggiato sul mondo alla velocità con cui viaggiano oggi. Per cui serviva un gesto. Di quelli che finiscono in una foto, e poi nei libri, e poi nell’immaginario collettivo. E nella storia.
Oggi un atleta le parole può usarle, e qualcuno ha già pensato di farlo. Lopez Lomong parla e corre per i disperati del Darfur. Più di cento atleti hanno inviato un appello pubblico al presidente cinese Hu Jintao: frasi cortesi, e la richiesta di rispettare i diritti umani. L’iniziativa si chiama Sports for Peace ed è sostenuta da Amnesty International e International Campaign for Tibet. Nessuno obbliga nessuno: c’è chi aveva detto sì all’appello e poi si è tirato indietro, chi continua a pensare che "gli atleti devono pensare a fare gli atleti, i politici devono fare i politici". Magari sono gli stessi che vorrebbero una politica "che parte dal basso, dalla gente".
Tommie Smith, per essere il migliore nei 200 metri, doveva per forza essere un atleta al cento per cento. Di più: doveva essere il migliore. Ma il suo gesto sul podio di Città del Messico fu più politico di mille comizi. E ha cambiato il mondo in meglio.
In tanti hanno detto che alle Olimpiadi bisogna esserci, e ognuno aveva i suoi buoni motivi per dirlo. Spesso sinceri, talvolta interessati. Se lo dice Tommie Smith è diverso. Ha ragione lui, sono cambiati i tempi: una volta eri un eroe, certo, ma stavi su un podio in mezzo a un prato e le tue parole non avrebbero viaggiato sul mondo alla velocità con cui viaggiano oggi. Per cui serviva un gesto. Di quelli che finiscono in una foto, e poi nei libri, e poi nell’immaginario collettivo. E nella storia.
Oggi un atleta le parole può usarle, e qualcuno ha già pensato di farlo. Lopez Lomong parla e corre per i disperati del Darfur. Più di cento atleti hanno inviato un appello pubblico al presidente cinese Hu Jintao: frasi cortesi, e la richiesta di rispettare i diritti umani. L’iniziativa si chiama Sports for Peace ed è sostenuta da Amnesty International e International Campaign for Tibet. Nessuno obbliga nessuno: c’è chi aveva detto sì all’appello e poi si è tirato indietro, chi continua a pensare che "gli atleti devono pensare a fare gli atleti, i politici devono fare i politici". Magari sono gli stessi che vorrebbero una politica "che parte dal basso, dalla gente".
Tommie Smith, per essere il migliore nei 200 metri, doveva per forza essere un atleta al cento per cento. Di più: doveva essere il migliore. Ma il suo gesto sul podio di Città del Messico fu più politico di mille comizi. E ha cambiato il mondo in meglio.
Commenti
Poi c'è la storia di una ragazza che ha deciso di abbandonare l'isola. Non ha fatto attentati, non ha ucciso nessuno, non ha fatto del male. Ha solo deciso che non ne poteva più di Cuba, legittimo. Anche perché una volta uscita non ha sparlato della sua terra.
Però è una traditrice, per i vertici di Cuba. Da mettere al bando. E da impedirle di tornare in patria per assistere alla madre morente. Cuba pare averci ripensato. Peccato che la mamma di Tai Aguero sia morta senza il conforto della figlia. A voi che amate Cuba: andate a cagare, voi e i vostri democratici castristi
Vergogna
Tarocci è un delizioso cubista che si esibisce, lo diciamo per i più giovani, dai tempi del Living, storico locale di via Corticella.
Tarozzi è un cubano vero, non ha mica delle fisime lui
Su Minà, tanto per sorridere un po': lui ha come amici Muhammad Alì e Maradona. Storie e persone diverse. Io sono più che contento di conoscere Simone Rotolo e Andrea Tarozzi. Campioni nello sport e fuori, e per me amici sinceri. Non cambierei niente