Ho rivisto il film



E’ passato un po’ di tempo, ma io son fatto così, alle cose ci devo pensare e ripensare. Poi, questa era più delicata, perché ascoltavo quelle parole e sapevo bene cosa volevano dire. Sono gli stessi pensieri che mi hanno attraversato, le stesse sensazioni che mi hanno riempito i giorni, che altrimenti sarebbero stati tutti uguali, quando ero dentro quella storia sbagliata. Sveglia alle sei e mezza, che nemmeno quando ero in caserma; pioggia fuori dalla finestra; visita pastorale del primario, con i suoi aficionados, come li avevo ribattezzati; freddo nelle vene e nel cuore, libri letti a metà perché tutto era fatica; cena all’ora dei polli, e poi la lunga notte per far girare le rotelle nel cervello, per spaventarsi del buio o passeggiare in un corridoio livido.
Di quelli di Sinisa, uno in particolare, mi ha colpito. Il mio più grande desiderio era prendere una boccata d’aria fresca, ma non potevo: ora poterlo fare è bellissimo.

A me era venuta così, ma credo sia la stessa sensazione: Il senso del tempo che corre, che fugge, che non tornerà. Ogni istante, ogni emozione, ogni goccia di pioggia, ogni maledetto e benedetto raggio di sole. Ogni mano da stringere, ogni sorriso, ogni incertezza…”

Alla fine, le piccole cose sono le grandi cose che restano. Quando sono tornato nel mondo di prima, non era cambiato per un cazzo. Ci ho trovato nuovi e vecchi amici, belle persone come le conoscevo, naturalmente anche stronzi che credevo di conoscere e invece erano diventati anche più stronzi di prima. Gente che ha voglia di ascoltare, altra gente che ha voglia di specchiarsi nelle proprie parole. Tutto normale, tutto come prima. Ma ero io, sono io ad essere cambiato. Sono io che non ho più voglia di lasciare un discorso a metà, né di seminare la mia vita di rimpianti. Sono io, che guardo tutto questo dibattersi con occhi diversi.
Così Sinisa, credo. Che riparte da una certezza. “Non mi sento un eroe, sono un uomo. Dal carattere forte, ma con tutte le sue fragilità”. La certezza dell'incertezza in cui siamo immersi, nella quale nuotiamo, ci sbattiamo, affrontiamo il presente, ci strafoghiamo di domande sul futuro.

Si inchioda tutto il meccanismo, quando improvvisamente qualcuno ti ricorda che non sei immortale. E’ un calcio in mezzo al petto, che ti blocca il respiro. E’ un calcio nelle palle, che non avresti mai pensato a un dolore così. Quando riparti, perché a un certo punto riparti, sei un altro. Hai fatto i conti con la paura, sai che dovrai conviverci, sai che arriverà il tempo delle lacrime, che ci saranno sensi di vuoto, solitudine che non si può raccontare. Sei un uomo più vero, proprio perché sai di essere più fragile. E ti escono fuori frasi così: “non c’è da vergognarsi ad aver paura, piangere o essere disperati.
No, davvero non c’è da vergognarsi. Anzi, è una ricchezza che ci porteremo dentro per tutta la vita.


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