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Visualizzazione dei post da novembre, 2021

Il ritorno del Dottor Stranamore

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  “Eccoti, finalmente… ma possibile che ogni volta che ti cerco io debba scarpinare per ore?” “Non ti ho chiesto di venire fin qui” “Sempre complimentoso…. Non ti viene in mente che qualcuno possa chiedersi come stai?” “Bene, non vedi? Sai come diceva mio nonno? Mangia, beve, e non capisce un cazzo..” “Perché tuo nonno non andava a fondo. Mangi male, bevi troppo e capisci molto più di quello che vuoi far credere” “Per esempio?” “Dimmi del Dottor Stranamore. Cosa hai capito, alla fine?” “Cioè, cosa vuoi? Un identikit?” “Perché no.. In cinque parole, se riesci” “Vediamo… arrogante, insensibile, egoista, sbandato, adolescente...” “Adolescente non è una colpa” “Dipende da quanti anni hai, da quanta vita hai vissuto…” “Adultolescente?” “Già, adesso va di moda dire così” “Falso, non ce lo metti?” “Hai ragione. Solo che diventano sei, le parole” “Te la passo” “Falso, allora. Ma sai cosa?” “Sentiamo” “C’è falsità e falsità. C’è chi è falso anche con sé stesso. Ed è la co...

Contare gli anni

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  E c’era la torta, con il numero degli anni, e tutto quell’affetto intorno. Le sembrò che fosse tutto vero, certamente era tutto nuovo – del resto aveva dato fuoco al passato mettendoci dentro ogni cosa, il male ricevuto e il troppo male fatto, le parole ingiuste per liberarsi da ogni colpa, ma anche certi germogli di bene dimenticati per sempre. Si fa sempre così, pensò, bisogna passare semplicemente sopra a tutto, e non voltarsi indietro. Non ricordò se era la scena di un film, o magari un consiglio rubato in reparto durante il turno di notte, o ancora, ecco, forse il passaggio meno ardito di quel poeta da carta da cioccolatini. Si fa sempre così, si strappa e chi s’è visto s’è visto, e se poi esce sangue da qualche cuore più o meno grande, amen, così è la vita. Pensò così e sorrise, cercò gli occhi di una figlia, cercò quello che gli sembrò un abbraccio nuovo di zecca. Almeno questo poteva mostrarlo al mondo, si disse, e si fece anche bella per q...

Professione poeta. Da social

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  Eccolo qui, il poeta da social. Proprio lui: quello che ha preso il posto degli scrittori di romanzi rosa. Stacci attenta. Intanto, è un uomo che ti parla come se ti avesse profondamente capito. Ne ha la certezza. E pensaci bene, in fondo sei la prima che dice che non può essere così: non hai sempre detto di essere un mondo intraducibile? Poi, andiamo, prova a smascherarlo: è lì per piazzare il libro. Uno che scrive cinque poesie al giorno, beh, non è un poeta. E’ un produttore seriale di aforismi per carta da cioccolatini. Gli va bene, perché non paga nulla per i danni che produce. Nei cuori semplici, dico. Ti dice “okay, decidi e cambia, impazzisci” . Ma non te la racconta tutta. Manca l’ultima frase, quella dopo “non pensare, vola via”. Quella che dice “e sii pronta, ricordati sempre che se ti sei buttata nella storia sbagliata, poi devi ripartire dal via” . Niente da dire: il poeta da social è un eroe dei nostri tempi. Sogna di stare su un palco, bersagliato dalle mu...

La cameretta

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  C’era stata una gran resa dei conti. Parole fischiavano come sassi dalle finestre. Lei gridava a più non posso, come l’angelo del Giudizio. Poi il sole s’è alzato di colpo, e una scia bianca è apparsa nel cielo del mattino. Nell’improvviso silenzio, la cameretta è diventata stranamente desolata mentre lui le asciugava le lacrime. È diventata come tutte le camerette del mondo in cui la luce trova difficoltà a penetrare. Camere dove la gente urla e si ferisce a vicenda. E poi soffre di rimorso e di solitudine. Prova incertezza e il bisogno di confortare. Raymond Carver (nell’immagine, “Stanza a Brooklyn”, Edward Hopper) 

Ubriacatevi

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  Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l'unico problema. Per non sentire l'orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi tiene a terra, dovete ubriacarvi senza tregua. Ma di che cosa? Di vino, poesia o di virtù : come vi pare. Ma ubriacatevi. E se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull’erba verde di un fosso, nella tetra solitudine della vostra stanza, vi risvegliate perché l’ebbrezza è diminuita o scomparsa, chiedete al vento, alle stelle, agli uccelli, all'orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chiedete che ora è; e il vento, le onde, le stelle, gli uccelli, l'orologio, vi risponderanno: "È ora di ubriacarsi! Per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre! Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare. Charles Baudelaire, Paris Spleen  

Oddìo

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  E gli occhi rivolti al cielo nella sera non aiutano a capire. Uno crede di esserci, e invece ecco, poteva esserci chiunque, quella è soltanto la ricerca spasmodica di qualcosa che mai hai trovato, che forse non troverai mai. La ricerca di te, passando sull’anima, sulla pelle, sul cuore di qualcuno che dimenticherai con un’alzata di spalle. Una domenica di nebbia, una tuta e un giaccone buttati addosso per uscire di fretta, per trovare un angolo nuovo - apparentemente - da cui ascoltare la pioggia e sospirare “oddìo”, ancora, a chiunque altro. Per andare a squilibrare un’altra vita in cerca della pace che mai troverai. E anche questo è un mestiere, in fondo. Un modo di anestetizzare il tempo.

Capolinea

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  Steso stecchito dimenticato sul marciapiede Lui e la sua storia lui e le sue fìsime i viaggi, i foglietti di carta piegati nelle tasche Steso stecchito dimenticato perché il mondo perché l’universo perché tutto il fottuto ben di dio che ci riempie la vita deve andare avanti in nome di in nome del re in nome del buon governo in nome del padreterno in nome del cosi è e non fatevi troppe domande Steso stecchito dimenticato un buco in fronte un buco nero come la notte nero come il vuoto che ora gli riempie il cervello che gli cola dal cuore steso e freddo e inchiodato lui che amava la vita lui che ti guardava dritto negli occhi e sorrideva per strapparti un sorriso lui che sapeva che voleva che parlava e parlava - anche al contrario - cuore erouc vita ativ cielo oleic Steso stecchito dimenticato brutta pubblicità maledizione, brutta storia con il Natale alle porte (mt)

Faldoni

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  Non ho fatto che scrivere. Ci ho passato la vita, anche quando il sole mi chiamava fuori e avevo solo voglia di perdermi tra le pieghe nascoste dei colli. Di sparire, ecco, in qualche modo. Ho scritto pagine e pagine e ho cominciato a metterle da parte quando non riuscivo più a leggerle, quando tutti continuavano a lodare questa memoria di ferro, e invece sentivo che si aprivano piccoli fori, come proiettili del tempo, e poi sono diventati falle, voragini. Adesso sono tutte lassù le cose che ho scritto, proprio là, vedi, sul ripiano più alto della libreria, prendi la scala se vuoi sfogliare un po’ di pensieri, la sedia potrebbe non reggere. Intanto io ho l’ho persa tutta, quella famosa memoria di cui andavo fiero, e ogni tanto dico parole che nemmeno capisco, a volte non so più dove sono, sto davanti al mare e non riconosco più le onde. Un giorno ci riuscirò a sparire tra le pieghe dei colli, verranno a cercarmi ma solo per qualche ora, poi diran...

Medici. E altri medici

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  Ero rimasto a quelli che ti salvano la vita. Il primo, con un’intuizione che risolve anche il caso clinico che sei diventato; il secondo, con un’operazione delicata da cui ti fa uscire senza danni. Insomma: quelli che salvano la mia, di vita. Poi, negli stessi ambienti, negli stessi ospedali, ci sono anche gli altri. Quelli che ti visitano, ti prospettano un futuro da incubo, e poi ti spiegano che sì, comunque c’è l’operazione ma le liste d’attesa, uh, le liste d’attesa… due, tre anni. Però, pensandoci: ma lei, ce l’ha un’assicurazione? No, perché… E tu ti guardi attorno, perché è normale che l’esperto sia quello che hai davanti, e tu il coglione. Sei smarrito, l’infermiera ti ha appena parlato di una situazione drammatica. L’infermiera, prima ancora del medico. Qualcosa non torna. Sei smarrito, perché sei dentro una struttura pubblica, anche se hai appena fatto due esami in libera professione, belli invasivi anche. Ma una domanda te la fai: come, qui mi parlate di urgenza, di...

Cantatina per i miei morti

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  Suonate campane per i miei morti, suonate per uno che camminava con le gambe a cavalletta, magro, senza un polmone, e un altro, un marinaio morto per acqua e per fuoco contro gli Inglesi. E i mille che mi sono dimenticato, che quando suonava da morto io ero allegro e mi piaceva ballare e chiacchierare con gli amici. Suonate campane per i miei morti, non abbiate paura, suonate tra quei silenzi che stanno tra voce e voce. Suonate campane per i miei morti non abbiate paura, suonate, che quando è il giorno dei morti è il giorno della vita. Nino Pedretti