Poesia e glicemia, effetti collaterali


 

Cosa ti fa, la stanchezza.
Sono entrato dentro la vetrina social di un poeta che va per la maggiore. Uno che mi avevano consigliato, che scrive “resta sempre la tua cazzata più bella”. Che poi mi chiedo se si rende conto del danno che fa alle menti più labili, se intende pagare per la schiera di disadattati che metterà in giro.
Sì, perché essere liberi non è essere “la cazzata più bella”, e se vuoi conoscere davvero la gente non puoi arroccarti nella tua stanza, con lo specchio regolato all’altezza giusta, a dirti quanto sei bravo, quanto sei bello, quanto soprattutto sei unico e speciale.

Poi, certo, vince lui. Che va ai festival di poesia, per capire cosa sono diventati i festival di poesia, per spruzzare “giovanilismo applicato alla banalità”, come dice il mio amico Magnate che deve avere un canale di osservazione speciale, perché quando colpisce fa centro, lo chiamerò Sentenza.

Cosa ti fa, la stanchezza.
Che stavo lì, a misurare la glicemia che schizzava alle stelle, e inavvertitamente ho cliccato sull’angolo dei likes. Ma nemmeno un dito alzato, accidenti, proprio un cazzo di cuore rosso. Non lo so, come è successo. E poi nell’agitazione mi si è chiuso il post, e poi non lo trovavo più, e poi e poi, intanto il mio cuore stava lì, a pulsare in mezzo a tutto quel vuoto.

E immaginavo qualche conoscente a scoprirmi lì, adorante su un verso che parla di “tanta, tanta roba”, e ho sudato freddo finché, alla fine, ce l’ho fatta. Cancellato, quel cazzo di cuore fuori luogo. Tutto a posto. Allarme rientrato.

Poi, è vero, sono piuttosto invidioso. O meglio, sono incazzato con me stesso. Ho letto una di quelle poesie, ecco, e mi sono detto cazzo, ‘ste robe le scrivevo anche io, però a sedici anni. Ho cercato nei cassetti, nelle cartelle: sparite, buttate.
Lo so, andava fatto, e andrebbe pure consigliato. Però adesso sarei a teatro a recitare, scivolando su rivoli di miele.
E avrei anche le “groupies”.


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