Una donna romantica





Io sono nata in un tempo sbagliato. Il mio tempo era un altro. Il tempo a cui sento di appartenere è un tempo di sentimenti, mentre questo è un tempo di cose. Quanti gesti devo fare in una giornata? Quante cose mi stanno addosso, mi tormentano, mi schiavizzano? E io, dove mi rifugio? Forse avranno ragione loro quando dicono che sono svagata.

Loro sono molto bravi. Comprano, lavano, spazzano, puliscono, procacciano, puliscono di nuovo, cuciono, cuociono, spazzano. E poi vanno in ufficio, lavorano, lavorano. Anch’io vado in ufficio, spazzo. Ma io odio tutto questo. Io non sono di questo tempo. Vorrei essere nata ai tempi della Castellana di Vergi e avere un amante e per vederlo vorrei rischiare la vita. Se morissi come la castellana di Vergi, e sarebbe terribile tutto quel sangue versato sul mio corpo che ne ha così poco, chiamerebbero una rosa col mio nome; io avrei avuto un destino per quanto triste e terribile. Ma così io ho il destino di spazzare, cucire, andare in ufficio, stare attenta alle zebre, stare attenta al bambino. Il bambino piange, urla, scacazza, mangia, vuole la pappa, e io pulisco, lavo, spazzo, stiro. E poi il bambino cade, il bambino cade sempre, e io con due sole mani devo badare al latte, al bambino, al ferro da stiro, al forno, al termos, al boiler…….No, io sono stufa. Non me ne frega nulla. Io sono svagata. Sissignori, cacciatemi via, mandatemi in una casa di pena, maleditemi, ma io sono stanca e me ne frego di essere brava, me ne frego di questa vita.

A volte penso di fuggire. Ma dove? Fuggire di notte. Ma la porta fa rumore. L’ascensore fa un rumore d’inferno. Potrei calarmi giù con una corda nel cortile poi via. Ma via dove? Di notte ti scippano, ti fanno a pezzi, ti brutalizzano. Se scappassi di giorno invece potrei prendere il treno, andare …..chissà…..a Casalecchio di Reno. Ma a fare cosa? Se uno arriva a Casalecchio di Reno avrà delle cose da fare, comprare del vino, delle patate. E io cosa faccio? No, non posso andare a Casalecchio di Reno. Posso andare da mia zia, quella matta, che è l’unica creatura ragionevole e buona della famiglia. Ma non ha nulla da mangiare e poi la sorvegliano, mi troverebbero subito. Potrei andare negli ostelli della gioventù in Olanda e raccogliere fiori e fare il formaggio coi contadini. Ma poi mi cercherebbero, mi fermerebbe la polizia.

Se divorziassi? Come faccio a trovare le ragioni per divorziare? E poi se divorzio cosa cambia? C’è in tutta la città uno che sia gentile, romantico? Penso a quando ero piccola, e avevo un paio di scarpe nere di pelle lucida. Mi piaceva tanto camminare con quelle scarpe lucide e la vestina verde con la gonna plissettata. Camminavo sul muretto del giardino e la gente mi guardava. Mi guardava e diceva:”ma che bella bambina!”. Io stavo ore e ore nel giardino immaginando che tutte le piante mi guardassero e mi facessero le riverenze. Camminavo fra le margherite e i rododendri che erano i miei sudditi più folti e festosi e poi vicino al cancello, proprio sotto l’arco che coronava il cancelletto di ferro battuto, dove sventolavano tutte le campanule che io sentivo sopra di me come se le avessi attorno ai capelli, mentre il cuore mi diceva: tu sei la regina. Non avrò più quella solitudine incantata, quelle mie ore di silenzio e di fiori. Adesso bisogna che mi sbrighi perché lui viene a casa e vuole vedere tutto in ordine.
Perché stasera si esce e la casa deve essere a posto. Il bambino oggi è dalla nonna e così noi si esce e si va al cinema e poi al caffè e poi dagli amici e poi a letto. A letto lo so come va a finire: sopra di me, lo so a occhi chiusi. Mi viene addosso come se sgretolasse, come un armadio. Per fortuna il corpo delle donne è estremamente elastico. Io fingo di godere e a volte godo anche perché la natura è piena di risorse e fa miracoli. Ma fra poco ho paura che diventerò frigida e allora sarà terribile. Ma perché mi sono messa in questo impiccio?

Quando ero ragazza mi piaceva uscire di casa e camminare per la città. Non all’ora della passeggiata come ancora usa nelle cittadine di provincia. Quelli sono altri momenti quando tutti si guardano l’un l’altro come nello specchio: occhi contro occhi, capelli contro capelli, e così foulard, fondotinta, rossetti. No, a me piaceva la domenica di primo pomeriggio col sole, quando l’aria si fa musicale, e il sole diventa un grande invisibile geometra. Allora i portici sono ancora vuoti melanconici. La solitudine è tanta che le case hanno un’aria smarrita e sembrano chiedersi: che paese è questo? E’ qui che abitava la famiglia Verzini?

Io speravo di incontrare un signore vestito di bianco con un gilè color rosa che mi guardasse con uno sguardo implorante, uno sguardo con un lampo di felicità nel mezzo al quale stavo io, pure vestita di bianco, da essere quasi una parvenza. Nella realtà invece incontravo solo donne sudate, un carabiniere sbracato, cagnacci. E poiché crescevo negli anni e tutte si sposavano, mi sono sposata anch’io. Io oggi non arrivo a fare la cucina, non arrivo a far nulla.
Sento un rumore di ascensore, speriamo che non sia lui. Sono così indietro che mi ci vuole almeno un’altra mezz’ora. Ma io non riesco nei lavori, la testa mi va via, fantastico. Se non fosse che ancora amo la vita, e se non fosse un peccato dirlo, io vorrei morire.

NINO PEDRETTI
da ‘Monologhi e Racconti’

Nell’immagine: Edward Hopper, City Sunlight, 1954

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