Tutti in piedi, questo Bologna è nella storia


Marco Tarozzi

“Il Bologna è una fede”. Suonano perfette, in questo caso, le parole del cuore. Sì, il Bologna è una fede e anche molto altro. È cento anni di vita di un’intera città, della sua gente, un piccolo grande mondo che ha saputo aprirsi al mondo. È una lunga strada fatta di gioie infinite, momenti di gloria, anni bui, drammi che hanno lasciato il segno. È un elenco di sette scudetti, tre fiammate sull'Europa, più di settant'anni vissuti tra le grandi d'Italia, senza mai cadere in basso. E poi una storia faticosa di retrocessioni, rinascite, fallimenti, attimi sempre più rari di felicità. È una lista di nomi da brivido, campioni che, per cento lunghi anni, hanno acceso quel rosso e quel blu, e la fantasia della gente. È un pezzo di questa città, è una parte di noi che ha attraversato i cent’anni più veloci e più vorticosi della storia dell’umanità, restando sempre fedele a sé stessa. È un’icona, un simbolo, un punto fermo della nostra vita.
Quei nomi, e un volto dietro ognuno. I primi erano in gran parte stranieri. Studenti del Collegio di Spagna, o giovani appassionati provenienti dalle zone in cui già spopolava il calcio danubiano. Arnstein, Rauch, Bernabeu, Koch. E un manipolo di “indigeni” che si trovavano ai Prati di Caprara per dar sfogo a quella passione nuova di zecca, dividendo quei campi con un gregge di pecore al pascolo. Fuori gli animali, dentro i giocatori. Quelli che in città chiamavano “i màt chi van drì a la bala”. Poi vennero i campi finalmente attrezzati, la Cesoia prima e lo Sterlino poi. E i bolognesi duri e puri, le le bandiere. Badini, Genovesi, Muzzioli, Della Valle, finalmente Schiavio.
Nomi e volti. Gli ultimi, in ordine di tempo, hanno sfilato nel giorno della festa più grande, avvolti dall’emozione, sull'erba verde del Dall'Ara. Erano in tanti, con la faccia e il groppo in gola di chi su quell'erba sembrerebbe mettere piede per la prima volta. E invece si chiamano RobyBaggio, Beppe Signori, Kennet Anderson, Lajos Detari, Beppe Savoldi, Marco De Marchi, Renato Villa, Igor Kolyvanov. E invece sono stati eroi, come quelli dell'ultimo scudetto. Capitan Mirko, Marino, Ezio, Romanino, Paride, Dondolo, Carburo. Tutti indimenticabili. Uniti, vicini, indivisibili. Ed è come se ci fosse anche lui, l'onorevole Giacomino, in mezzo a loro. Ed è come se lui, una vita in rossoblù, una fedeltà inimmaginabile ai nostri tempi, fosse ancora tra di loro. Tra di noi.
Sono i volti di una squadra che ha raggiunto un traguardo unico. Che ne ha viste tante. Quando nasceva questo infinito Bologna, Marconi faceva i primi esperimenti alla radio. Oggi internet corre bruciando notizie alla velocità della luce. Quando nasceva questo splendido Bologna, l'uomo non aveva ancora imparato a volare. Oggi è andato sulla luna, anche se qualcuno ancora non ci crede.
Una squadra che ha attraversato due guerre mondiali, lasciando sul campo spiriti giovani e pieni di idee sul futuro. Mezzo Bologna sparì inghiottito tra il '15 e il '18. Arpad Weisz, genio della panchina, passò da un camino di Auschwitz negli anni in cui l'uomo aveva perso ogni traccia di umanità. Dino Fiorini pagò con la vita la fedeltà, più esuberante che militante, a una causa sbagliata.
C’è spazio, in questa serata così speciale, per l’allegria, per i ricordi, per la nostalgia. L’allegria di Kolyvanov, che ancora affronta la vita a capriole e infiamma la curva. La tenacia di Geovani, che nemmeno la polineuropatia, malattia rara e debilitante, ha tenuto lontano dal Dall’Ara. Il messaggio di Ingesson, affidato all’amico Andersson che gli riporterà indietro l’applauso e il calore di questo stadio. Quello di Helmut Haller, che non ha dimenticato i compagni dello scudetto, in campo ancora una volta anche per lui.
Il Bologna ha visto cambiare Bologna, ed è cambiato. Ma è sempre lì, vivo, ad accendere le schiere dei suoi tifosi nel bene e nel male, sempre fedele a sé stesso e mai uguale al giorno prima.
Sull'erba del Dall'Ara, in questo pomeriggio irripetibile, ha sfilato una storia sociale, prima ancora che sportiva. Gli eroi a colori del nostro presente con quelli virato seppia della nostra infanzia. E accanto a loro, idealmente, volti usciti da foto ingiallite, perdute nei cassetti della memoria. “Ascoltate, sentite il loro monito?” avrebbe chiesto il professor Keating de “L’attimo fuggente”. “Carpe, carpe diem. Cogliete l'attimo ragazzi, rendete straordinaria la vostra vita”. I ragazzi del Bologna lo hanno fatto. Hanno ascoltato le voci dei pionieri, ieri sera. Ci hanno regalato una promessa di futuro, e un orgoglio che tutti dovremo tenere caro. Dirigenti, giocatori, semplici tifosi. Oggi e per sempre.
Buon compleanno, Bologna. Vecchio, splendido centenario.

(L'Informazione di Bologna, 3 ottobre 2009)

Commenti

Anonimo ha detto…
E' proprio vero, il Bologna è una fede. Domenica scorsa, dopo anni, sono tornato allo stadio. Peccato per il risultato, ma quello si dimentica; quello che sicuramente nessuno dimenticherà sarà lo strepitoso spettacolo organizzato dai ragazzi della curva.
Ciao
FabP
marco tarozzi ha detto…
Hai ragione Fabrizio. La passione va oltre i risultati. E adesso che è messa a dura prova dagli eventi, la passione si vede davvero...

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