La solitudine del maratoneta

Grazie a Minimum Fax, è tornata in libreria la raccolta di racconti "La solitudine del maratoneta" di Alan Sillitoe. Mezzo secolo dopo, ancora capace di picchiare duro sulla coscienza del lettore. Forse perché i tempi sono maturi per il ritorno. Abbandonate le false illusioni, fatti i conti con il lato oscuro di una globalizzazione irrazionale, immersi in una crisi non attesa, ci sembrano di nuovo così attuali le situazioni, gli ambienti, i vicoli ciechi in cui si infilano i personaggi del grande vecchio di Nottingham. I suoi scritti che alla fine degli anni Cinquanta lo inserirono di diritto tra gli "Angry Young Men" d’Inghilterra, nonostante lui si sia sempre smarcato. Quei nove racconti, diceva, "sono nati sotto un aranceto a Maiorca". Ed è la verità. Ma è altrettanto vero che Sillitoe è l’unico tra gli "arrabbiati" ad aver vissuto sulla propria pelle la vita degli slums, la realtà dei bassifondi e di periferie che si assomigliano tutte, quella di Nottingham e le altre, con il loro carico di disperazione, degrado, fatiscenza dei luoghi, assenza assoluta di prospettive.
Nove racconti che colpiscono, anche dopo cinquant’anni. Come la "Solitudine del maratoneta", quello che dà il titolo alla raccolta, il più lungo e uno dei più intensi, ambientato in un riformatorio dove Smith, il protagonista, trova nella corsa la propria libertà, la propria dignità. Lo lasciano uscire, molto presto di mattina, perché vogliono farne un campione, il maratoneta più forte di tutti gli istituti di pena giovanili. Vogliono redimerlo. Ma è una battaglia persa. Smith è il prodotto del mondo in cui è nato e cresciuto, ha una sua onestà di fondo e la gabbia del riformatorio lo ha evoluto nella sua personalissima guerra. Lui, lo sconfitto della società, contro la "gente perbene". Non ci sarà tregua. Ma c’è, nella corsa, l’impulso vitale che non fa perdere di vista l’anelito di libertà. Corro, dunque vivo. Ecco il messaggio. Non vincerò per il "nemico" che me lo impone, concedendomi di allenarmi tutti i giorni. Ho già vinto dentro.
Ma ora silenzio. Parla Sillitoe, che poteva essere davvero Smith, non fosse stato per la passione per lettura e scrittura.


"Appena finii al riformatorio mi misero a correre la maratona. Immagino pensassero che avevo proprio il fisico adatto perché ero lungo e magro per la mia età (e lo sono ancora) e in ogni caso non mi dispiaceva troppo, a dirvi la verità, perché nella nostra famiglia si era sempre corso molto, soprattutto per sfuggire alla polizia. Sono sempre stato un buon corridore, veloce e dotato di un’ampia falcata: l’unico guaio fu che, per quanto corressi, e vi garantisco che tenevo una buona andatura, anche se me lo dico da solo, la cosa non mi impedì di farmi prendere dai poliziotti dopo quel colpo al panificio…"



"… Questa è l’unica maniera in cui possono fermarci, me e qualche milione di amici miei. Perché ho riflettuto molto da quando sono arrivato qui. Possono spiarci tutto il giorno per vedere se ci tiriamo una sega e se lavoriamo bene o se ci esercitiamo con la nostra "atletica", ma non possono farci una radiografia delle budella per scoprire cosa stiamo dicendo dentro di noi. Mi sono rivolto domande di ogni genere, e ho riflettuto silla vita che ho fatto fino a oggi. E mi piace fare queste cose. Una pacchia. Serve a passare il tempo, e così il riformatorio non ti sembra brutto come dicevano i ragazzi della nostra strada. E questo spasso della maratona è il migliore di tutti, perché mi permette di pensare, tanto bene che imparo le cose anche meglio di quando sono a letto durante la notte. E a parte questo, con tutto questo ragionare mentre corro sto diventando uno dei migliori podisti del riformatorio".

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