I passi di Alex, la grandezza di Stefano


Da Brunico a Vipiteno sono una cinquantina di chilometri. Un'occasione per aprire una parentesi nel cuore delle ferie e andare a vedere come marcia un campione olimpico. Sabato sera Alex Schwazer si è lasciato avvolgere dall'abbraccio della sua gente, gareggiando sulle vie di Vipiteno con gli avversari-amici con cui condivide le fatiche di una disciplina che regala sofferenza e tempra il carattere, e raramente offre ribalte illuminate. Ho visto Alex in mezzo ai suoi compaesani, e a quelli venuti dai paesi vicini per (ri)vederlo nelle vesti di campione che ha saputo costruirsi con anni e anni di lavoro. Solo nell'ultimo, per capirci, ottomila chilometri marciando e circa tremila pedalando. Ho visto una gara che in realtà era una festa, e un campione che ha scritto una pagina di storia dell'atletica e soprattutto ha spalancato le porte del futuro. Uno che a ventitrè anni ha un destino scritto, e un carattere incredibile. Chi non lo aveva capito, un anno fa, quando si arrabbiò sul traguardo per il terzo posto ai Mondiali di Osaka, avrà compreso ora quel gesto di stizza. Già allora Alex sapeva dove poteva arrivare, già allora valeva l'oro. E quel bronzo che avrebbe fatto felice qualunque ragazzo di ventidue anni su una ribalta come quella, a lui sembrò limitante. A Pechino ha retto la pressione, arrivando da favorito. Ha quasi scherzato, senza irridere gli avversari, in una gara massacrante come la 50 chilometri, facendola sembrare qualcosa di lieve e semplice. E sabato, a Vipiteno, ha ammesso che forse la parte più difficile viene adesso. Adesso che tutti lo tirano per la canotta chiedendogli una presenza, un impegno, un gesto, una frase a effetto. Adesso che tutti scavano anche nel suo privato, montando questa storia d'amore tra due ragazzi-campioni, e lui cerca angoli in cui nascondersi con la forza della sua riservatezza.
Ho visto Alex e ho pensato a Stefano. Stefano Baldini. Un altro che è già leggenda, da quattro lunghi anni. Che non aveva bisogno di dare prove di quello che vale, eppure ancora una volta si è misurato. Solo chi non conosce le salite mentali e fisiche di maratona può aver pensato a questo dodicesimo posto olimpico come a una caduta. Stefano non era nemmeno al meglio, volendo avrebbe potuto anche dire “arrivederci e grazie, io ho dato e ora tocca a qualcun altro”. Invece, si è dimostrato ancora una volta campione. A trentasette anni, chiude con le avventure sui 42 chilometri che ci hanno emozionato per un decennio. Lasciandoci quella entrata da brividi allo stadio Panathinaiko di Atene, e tante altre perle preziose. Dietro di lui c'è il vuoto. Succede. Uno come lui non si inventa. A Pechino ha passato il testimone ad Alex, il ragazzo che marcia. Ma non smetterà di far parlare di sé, Stefano. E noi lo aspetteremo come sempre. Come facciamo da quando era un ragazzino, e stupiva soltanto chi non aveva capito che era un predestinato.

Commenti

Anonimo ha detto…
Per forza c'è il vuoto. Ti sembra che la Fidal sia una federazione seria? Scusa se insisto, ma al di là dell'aspetto tecnico sul quale non mi voglio soffermare, ti sembra che questi signori si sappiano comportare dal punto di vista umano? A Pechino hanno portato Howe e altri come lui fuori forma. Perché avevano un nome e forse degli sponsor da tenere a bada. La Balassini, perdonami la battuta, cresciuta a tortellini e senza santi in paradiso, cacciata via come una ciabatta vecchia. Senza nemmeno una parola di conforto. Però il numero di tecnici e dirigenti presenti a Pechino era massiccio. Mi chiedo: perché? Io la risposta credo di saperla. Ma vorrei conoscerla da uno che fa atletica da quando lo chiamavano l'indiano
Anonimo ha detto…
La Fidal non funziona. Non vorrei tirare acqua al mio mulino (Bruciato?) ma è quello che è successo a Guareschi. Nell'anno del suo centenario, il presidente del comitato delle celebrazioni, lo ha cancellato. Proprio così: ha fatto restaurare il film la Rabbia da portare alla Mostra del Cinema di Venezia. Ma ha portato solo la parte di Pasolini.
E quella di Guareschi? Era brutta, la giustificazione di Bertolucci, gli ho fatto un favore.
Straordinario: è come restaurare un giallo, bello o brutto che sia, e far vedere solo il primo o il secondo tempo. Chi ci capisce qualcosa è bravo. E complimenti a Bertolucci. Lo preferivo quando era il braccio d'oro del tennis italiano e giocava in coppia con Panatta...
Anonimo ha detto…
Scusa Tarocci, ma sei rientrato e non posti più per il blogger? che vergogna....
Anonimo ha detto…
Ma quant'è bello Sgummo? L'abbiamo visto al debutto nella Run Tune Up. E' un bimbo bellissimo.
Tutto la mamma
marco tarozzi ha detto…
Tra arrabbiati e polemici, si va molto vicini alla realtà. Schwazer è il prodotto del serio lavoro di un centro come quello di Sandro Damilano a Saluzzo, così come Baldini è stato forgiato alla scuola dei Benati, che a Rubiera l'hanno coltivato come un figlio, e poi da un maestro come Lucio Gigliotti, che ha dato all'atletica italiana un numero incalcolabile di campioni. Ma entrambi hanno un dna da predestinati. Nel caso di Stefano, non si è costruito intorno alle sue imprese qualcosa di solido, nonostante il movimento della corsa sia ormai un fenomeno di massa, o un gioco da vip che si imbarcano per la New York City Marathon col personal trainer e la t-shirt firmata. L'atletica la costruiscono, ancora con passione, certe piccole società di provincia. E il futuro per chi ha talento è assicurato solo dalle società militari, raggiunte le quali però molti si adagiano. Di certo, quando arriva una medaglia arriva anche molta gente in giacca e cravatta a prendersi il merito del lavoro di pochi. Quando Cammarelle ha vinto l'ultimo oro olimpico italiano a Pechino, intorno al ring c'erano cinque presidenti di federazione pronti a far festa. Alcuni avevano avuto ben poco da festeggiare, nel loro campo.
Grazie per i complimenti a Matteo. E' la mia impresa più riuscita, e del resto non è nemmeno tutto merito mio.

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