85 anni fa, Hank Williams





"E quando me ne sarò andato/e starai davanti alla mia tomba/di' solo che Dio ha chiamato a casa/un vagabondo"
Hank Williams, Ramblin' Man, 1952




C’era l’America di Frank Sinatra, Bing Crosby, Dean Martin, Perry Como. E c’era quella di Hank Williams. Un'altra. Quella delle strade polverose di campagna, delle anime da viaggio, dell’incapacità di essere normali o banali. Anche di fronte al successo. Cercato, ma piombato addosso come un ciclone improvviso. Destabilizzante, in qualche modo.



Dodici canzoni al numero uno delle classifiche degli States, in sette anni veri di carriera. Dal 1946, anno in cui dopo i primi successi firmò un contratto con la MGM, al Capodanno del ’53, quando se ne andò in una notte da lupi e con un’uscita di scena da romanzo. Ad appena trent’anni.



Elvis Presley diventò maggiorenne una settimana dopo la morte di Hank Williams. Il suo rock, il suo stesso modo di interpretare una canzone, come quello di tanti che vennero dopo, devono molto a questo uomo dell’Alabama, poeta di semplici sentimenti e di vibrazioni infinite. Quando la radio diffondeva la sua voce, modulata alla Grand Ole Opry, tempio della country music a Nashville, tutta l’America si incantava ad ascoltare.
Il successo gli assicurò benessere, ma la vita fu una corsa, dall’inizio alla fine. A rischio deragliamento. "Ragazzo, hai una voce da un milione di dollari e un cervello da dieci centesimi", lo ammonì un giorno Roy Arcuff, suo idolo e predecessore. Hank continuò a correre. E a raccontare l’America che aveva conosciuto. Dall’infanzia vissuta lontano dal padre alla Grande Depressione, dai lavori saltuari di ragazzino alla chitarra imparata dai maestri di strada, dai problemi di salute che lo avvicinarono alla morfina agli amori vissuti e perduti con un’anima blues. La solitudine nella moltitudine. E quel Grande Sogno che era, lui lo aveva capito in fretta, pura illusione.
Hank Williams era nato il 17 settembre del 1953, esattamente 85 anni fa. Come se ne andò, in quel Capodanno del ’53, lo ha raccontato Riccardo Bertoncelli. Se avete voglia di leggere la storia e la fine di una leggenda della musica…



Hank Williams una storia (dark) di capodanno
Morte vera e incredibile di uno dei padri del rock, in una notte cupa di tanti inverni fa
di Riccardo Bertoncelli

È la notte di Capodanno del 1953. Un’auto corre fra nuvole basse e folate di neve per le strade del Tennessee, nel Sud degli Stati Uniti. È una Cadillac color azzurro, con due uomini a bordo.Intorno, un'America giovane e inquieta festeggia l'anno nuovo, ubriacandosi di musica e balli.
Non c’è ancora il rock, o almeno non si chiama così, e Elvis Aaron Presley va ancora a scuola e forse quella notte neanche mette il becco fuori casa, perché mamma Gladys non gli ha dato il permesso e lui ha solo 17 anni. Le grandi star dello spettacolo sono tutte in postazione, nelle hall dei grandi alberghi, nei teatri delle metropoli, in piccole sale di provincia. Quasi tutte. All’appello manca Hank Williams, il re della nuova musica country, la più scandalosa e affascinante sorpresa degli ultimi anni musicali. Un cowboy triste dalla faccia pallida, un fantasma che ha fermato il respiro della musica americana con le sue ballate di brividi e lamenti. "Non piangeva in scena Hank Williams", scriverà di lui il grande Ralph J. Gleason, "faceva piangere te. E quando cantava Lovesick blues, capivi benissimo cosa intendeva - era lui che si struggeva per le pene d’amore, lui che soffriva e moriva un po’ per volta".Da quattro anni almeno Hank Williams è una stella di prima grandezza nel mondo dello spettacolo americano. Ha venduto centinaia di migliaia di copie dei suoi dischi, ha sdoganato il country portandolo fuori dai circuiti di provincia per farlo diventare una musica davvero nazionale, ha visto grandi interpreti pop trovare il successo con le sue canzoni; le canzoni di un povero ragazzo del Sud non ancora trentenne, che non ha mai imparato a leggere e a scrivere la musica anche perché quando sarebbe stato il momento, da ragazzo, era troppo impegnato a sbarcare il lunario lustrando scarpe o vendendo peanuts agli angoli delle strade. Forse è per quello che nell’ambiente musicale diffidano di lui. Perché è un diverso, perché non ha mai dimenticato quei difficili inizi, quando per guadagnare qualche dollaro era arrivato a fare il cavaliere di rodeo e lo avevano disarcionato abbastanza da rovinargli la schiena, da soffrire dolori atroci. Lo curarono con la morfina, e lui se ne innamorò come una bella donna - anche quelle gli piacevano, tante, una Maggie May per ogni porto della sua vita di 180, 200 serate l’anno, ognuna in un posto diverso. Ogni tanto si fermava con una di loro, Hank Williams, e saltava lo show per cui era stato ingaggiato; o lo trovavano sbronzo sotto il tavolo di qualche locale o nella stanza d’albergo dove si era rifugiato, a scrivere un’altra delle sue cento canzoni o forse solo a cercare di guarire il suo inguaribile mal di vita. Era diventato una favola, e non tutti la trovavano divertente. Anzi. Era finito sulla lista nera: degli sregolati, dei balordi, degli inaffidabili. La più grande istituzione country, la "Grand Ole Opry", lo aveva sospeso nell’estate del 1952 per il suo sregolato modo di vita. Lui aveva fatto spallucce e continuato con le bizze di sempre. A ottobre si era sposato per la seconda volta in una pubblica cerimonia con ingresso a pagamento; prove al pomeriggio, matrimonio la sera, prendi due e paghi uno. Al botteghino si erano presentati in 28.000.Quella notte, quel 1° gennaio 1953, Hank Williams è atteso a Charleston, West Virginia. Si è mosso per tempo, sulla sua Cadillac nuovo modello guidata da un ragazzo di soli 19 anni, Charles Carr, ingaggiato per l’occasione. I due hanno preso la Highway 31 diretti a nord ma, dopo poche decine di miglia, sono stati investiti da una bufera di neve. A Knoxville, Tennessee, appare chiaro che non ce la faranno mai a raggiungere Charleston in automobile. Così vanno all’aeroporto e saltano sul primo aereo del pomeriggio. Niente da fare. L’apparecchio si alza in volo ma per le condizioni del tempo è costretto a ritornare alla base.Williams si inquieta, è più pallido del solito. Chiama al telefono il manager e lo avvisa che non potrà essere al veglione. Quello la prende male; si sbrighi almeno per la matinée del giorno dopo, a Canton, Ohio. C’è uno spettacolo alle 2 del pomeriggio, il contratto è già firmato. Vuole guadagnare i suoi fottuti soldi, Hank Williams, o ritornare a lustrare scarpe per i signori bianchi dell’Alabama? Alle sette di sera, Charles Carr trova un albergo a ore a Knoxville, e si ferma per un breve riposo. Mangiano poco. Williams è esausto, si stende a letto e accusa un malore. Il suo corpo trema, singhiozzi e convulsioni lo agitano. Chiamano un medico, che fa una visita distratta e poi somministra due dosi di morfina con un preparato di vitamina B12. Williams non si rianima. Il medico dice che deve solo riposare. Carr decide di partire e chiama due inservienti dell’hotel per portarlo a braccia in auto, e stenderlo sul sedile posteriore. Gli mettono il cappotto sopra, come una coperta.La Cadillac azzurra punta a nord. Non nevica più ma è buio pesto, c’è foschia, e in un sorpasso azzardato Carr per poco non investe un poliziotto di pattuglia. Lo fermano, lo portano alla centrale. Spiega che deve portare Hank Williams, il grande Hank Williams, a uno show nell’Ohio. Quelli danno un’occhiata al sedile posteriore e si preoccupano. Sta bene quell’uomo? Sì, sta bene, ha solo bevuto un po’ e gli hanno dato un sedativo. Gli credono, nessuno verifica. Il viaggio riprende. Carr è sconvolto, guida da quasi 24 ore e cerca sulla strada qualcuno che gli dia il cambio. Lo trova per poche ore, mentre intorno le luci del Capodanno si accendono e impazzano, e poi svaniscono. Sono le prime ore dell’alba quando il ragazzo torna al volante e nota che il cappotto è scivolato dal corpo di Williams. Lo rimette a posto, e si accorge che le mani dell’uomo sono gelide. Tenta di scuoterlo, ma non ottiene segni di vita. C’è un ospedale a sei miglia di lì, a Oak Hill. Carr si precipita al pronto soccorso ma il medico di guardia non può che accertare il decesso. Hank Williams è morto e non da poco, probabilmente è stato un infarto in quell’hotel di Knoxville, prima di passare la notte di Capodanno a girare come un fantasma per le strade del Sud. Che grande, macabro "ultimo spettacolo"! Sembra quella ballata famosa di Tom Waits; o, più semplicemente, sembra proprio una canzone di Hank Williams, uno dei suoi lamenti strazianti di amore e morte. L’ultimo a finire in classifica, dicembre 1952, si intitolava non per nulla I’ll Never Get Out Of This World Alive - "non uscirò vivo da questo mondo".Così muoiono le stelle della canzone, nell’America ingenua del 1953; così in fondo morirà anche Elvis, tanti anni dopo, in solitudine e di morte ingloriosa, nell’ultimo buio prima delle accecanti luci della leggenda, che nessuno spegnerà mai. "Non ho mai visto una notte tanto lunga/ E il tempo che arranca, e che non passa mai", aveva cantato Williams nella sua canzone forse più famosa, I’m So Lonesome I Could Cry. "La luna si è messa dietro una nuvola/ Per nascondere le sue lacrime./ E io non ho nessuno, io sono così solo che potrei piangere."

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