Un bolognese a Stamford Bridge

Non sappiamo ancora e non possiamo dire dove arriverà Fabio Borini, nè che traccia lascerà sul mondo del calcio. Ma da alcune certezze possiamo partire. Le radici, prima di tutto. Una famiglia che respira sport da una vita, papà Roberto che frequentava i campi dell’atletica nei primi anni ‘80 e non ha ancora abbandonato quelli di calcetto, mamma Cinzia che ancora oggi è una delle più note maratonete bolognesi. Loro hanno acceso in Fabio e nella sorella Gloria, talento emergente dell’atletica, la luce della passione sportiva, ma hanno saputo gestirla con armonia e senza esaltazione. Con loro Marco De Marchi, che ha visto nel ragazzo le qualità del potenziale campione e da tempo lo rappresenta. Con onestà, chiarezza, competenza. Qualità che il Dema ha sempre mostrato, fin dai tempi in cui in campo scendeva lui.


Marco Tarozzi


Da Sala Bolognese allo Stamford Bridge. Viaggio lungo, se lo affronti a sedici anni, con la prospettiva di fare della passione un mestiere. È una storia di coraggio, quella di Fabio Borini, che ha ascoltato le sirene del Chelsea e ci ha messo un niente a decidere quale sarebbe stato il suo futuro.
«Il fatto è che il calcio inglese l’ho sempre amato, fin da bambino. Ho iniziato a tirare calci a un pallone che avevo quattro anni. A San Giovanni in Persiceto e poi a Longara, a Calderara e di nuovo a San Giovanni, nel Persiceto ‘85. In quegli anni ho provato anche con l’atletica, facevo mezzofondo. Ma il calcio era molto di più, per me. Poi è arrivata la chiamata del Bologna. Avevo dodici anni».
Ci sarebbe rimasto, in rossoblù?
«Sinceramente sì. Lì ho trovato tanti maestri, a cominciare da Stefano Roncassaglia, che sento spesso ancora oggi. Ma è andata così. Gli emissari del Chelsea sono arrivati fino a casa mia. Ho pensato a quegli stadi che vedevo in tv, a quel calcio che ho sempre amato. Quanto ci ho messo a decidere? Tre secondi, direi...»
Non dev’essere stata una passeggiata, all’inizio.
«Ho firmato nel luglio 2007. Sono arrivato là e non conoscevo una parola di inglese. Ma ero pieno d’entusiasmo, per me era tutto nuovo e bellissimo. E ho trovato Jacopo Sala, che era lì già da un mese. Ci siamo aiutati a vicenda. E comunque non siamo mai stati soli. Al Chelsea l’organizzazione è incredibile, c’è sempre qualcuno pronto a darti una mano. Non vogliono vederti in difficoltà, nè in campo nè fuori».
È per questo che le hanno anche insegnato a cucinare?
«Già. Funziona così: visto che molti di noi prima o poi vanno a vivere da soli, tra le attività collaterali la società ha proposto un corso di cucina, tenuto da grandi chef. Io mi sono iscritto. Adesso so cavarmela anche tra i fornelli».
Anche se a vivere da solo non ci è ancora andato.
«No, sono sempre a Cobham, presso la famiglia Carnes. Marito, moglie e tre figli. Non è come stare con papà e mamma, ma quella è diventata la mia seconda famiglia».
Cos’è Londra, per un ragazzo di appena diciotto anni?
«Un altro mondo a tre quarti d’ora di treno. Un crocevia di razze, di lingue, di mentalità. E cambia in continuazione. Se ci torni dopo una settimana, è già diversa da come l’avevi lasciata».
Nostalgia di casa, mai?

«Qualche volta, all’inizio. Ma i miei genitori non li ho mai sentiti distanti, e poi ero e sono concentrato sul mio lavoro».
Lavoro o passione?
«Entrambi. Però io ho un’idea precisa del professionismo, e da prima di arrivare al Chelsea: se vuoi fare strada devi essere un professionista anche fuori dal campo. Il mio fisico è il mio attrezzo di lavoro. Va curato, coltivato».
Ha trovato buoni maestri, lassù?
«Terry è un padre per tutti i giovani della squadra. È lì da una vita, una bandiera. E ha sempre una parola per i ragazzi, sa coinvolgerli. Ma non è mica l’unico. Ricordo i primi tempi in cui mi fermavo in campo per un supplemento di allenamento, e trovavo Drogba al mio fianco, a sudare con me e pronto a darmi consigli. C’è un rapporto amichevole tra quelli che giocano in prima squadra e gli altri».
Forse c’è anche un’altra mentalità.
«Un esempio: cammino per strada con un amico e incontro Joe Cole, tranquillo tra i tifosi. “Hi Fabio”, mi fa. “Hi Joe”, gli rispondo. Ma quello è Cole, dice il mio amico, meravigliato. Per me era normale. Ho la fortuna di avere come colleghi di lavoro dei campioni».
Sono tanti anche nelle giovanili.
«Gente che frequenta le Nazionali di mezzo mondo. Si impara, in un ambiente così».
Qualche idolo l’avrà avuto anche in Italia...
«Alex Del Piero. Un esempio anche nella vita. Quando il Dema mi ha portato a conoscerlo, prima di un Bologna-Juve in Serie B, ero così emozionato che ho scordato a casa la macchina fotografica con cui volevo immortalare il momento».
Si ricorda la prima partita con la maglia del Chelsea?
«Contro il Birmingham. Segnai subito un gol».
La più bella finora, aspettando altri momenti da incorniciare?
«Quella del novembre 2008 in Youth Cup: 2-3 in casa del Manchester. Ho segnato il terzo gol, e papà e Dema in tribuna si sono messi a urlare in mezzo ai tifosi locali. Hanno dovuto spiegare chi erano...»
Questo è stato un anno di svolta: nel campionato Riserve ha segnato 17 reti in 20 partite.
«Una buona stagione, ma devo ancora crescere. Per me anche gli allenamenti con la prima squadra sono un’occasione, come le grandi partite. Cerco di far vedere che ci sono. Bisogna cogliere l’attimo».
Adesso ci troverà Ancelotti, a dirigerli.
«Parleremo italiano, tra di noi. Ma in campo dovrò dimostrare quel che valgo anche a lui».La emozionano ancora, quegli stadi che sognava da bambino?«Ho superato il problema. Ma quando vedo quello di Wembley, le gambe tremano ancora...»

FABIO BORINI è nato a Bentivoglio il 29 marzo 1991. Ha giocato nelle giovanili del Bologna per cinque anni, prima di firmare nel luglio 2007 per il Chelsea, dove nell’ultima stagione ha giocato in Reserve League, segnando 17 reti in 20 partite

(l'Informazione, 6 giugno 2009)

Commenti

stoppre ha detto…
Ciao Marco, se hai voglia, guarda il mio blog...
Anonimo ha detto…
Ciao ragazzi, entro in questo sito in punta di piedi perchè da donna, mi sento un po' fuori posto!vi chiedo un aiuto circa titoli di libri/cataloghi sugli stadi inglesi. sono un'insegnante dilingua inglese e per i miei ragazzi dvo sempre restare al passo, così ho pensato di convolgerli nell'apprendimento tramite il calcio. Scrivetemi se avete notizie utili. cosy.c@libero.it
Thanks!

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