Palla da flipper


 

La città da attraversare.
Una. Due. Tre volte.
Alla ricerca di quello che non sei, e non sarai mai.
Vecchia storia. Il bisogno di “darti”. Per sentirti utile, in qualche modo. Per lasciar credere che lo sei davvero.
E poi cadere nel canovaccio di sempre. Far parte di qualcuno, o almeno crederci, come hai fatto in passato. Casadolcecasa, cambiando ogni volta te stessa: hai camminato se quel qualcuno camminava, letto i libri di qualcuno che li leggeva, o magari te li consigliava, o addirittura li scriveva. Adesso, pedalando se quel qualcuno pedala, e ti ha detto di farlo.

Poi, un giorno, ritrovarti spenta. Ancora una volta.
Rivedendo tutti i fallimenti alle spalle. Perché sono tanti, e ti fanno minuscola nell'anima.
Forse, chissà, per non dirti fallita questa volta accetterai di andare avanti così. Di fingere, anche con te stessa, di non essere vuota.
Sorrisi larghi per mostrare che tutto va bene: a lui, agli amici, soprattutto a quella persona che ti interroga dallo specchio. Così piena di domande da dimenticare la solita litanìa, che sei la più bella del reame e tutto il resto.

Insomma, sai com’è, il tempo passa per tutti. Anche per te.
E chissà, forse finirà che ti andrà bene anche quello che non ti è mai andato bene nella vita, perché sarai lì a raccontartelo. Da sola, come sei sempre stata. Sola dentro, anche quando c'è il karaoke e sei impegnata  a fare il trenino con amici che non ti assomigliano. Perché funziona così, se non sai dare amore non puoi capire quando lo stai davvero ricevendo.
In fondo bisogna vivere con leggerezza, lo dicevi tu. Pazienza se la leggerezza sconfinerà nell’incoscienza, e poi dritta dritta nella stupidità. Il filo è così impercettibile…

Intanto, attraversi.
Facendo scorrere il contachilometri, fermandoti di tanto in tanto a fare un pieno.
E’ un grande flipper, questa città.
Qualche volta tutta questa agitazione lo manda in tilt.
Allora il meccanismo si ferma. E la pallina scivola giù.


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