L'altra America


 

Ho letto anche roba così: “Che vuoi farci, sono amerikani”. Sì, esatto: con la kappa.
Certo, potessi analizzare la vita così, per schemi semplici e “tranchant”, perderei meno tempo e avrei meno tormenti.
Tant’è. Questi sono gli States che ho conosciuto io. E che amo.

“Da tutte le direzioni i profughi confluivano per strade secondarie sulla 66, diretti a occidente. Di giorno, i loro veicoli sgangherati formicolavano sull’asfalto, e sull’imbrunire si raggruppavano dove c’era acqua. Si raggruppavano perché sgomenti di sentirsi soli e spodestati; e facevano vita in comune, spartendo il vitto, le ansie e le speranze. Così accadeva che una famiglia a sera faceva sosta in un dato punto solo perché c’era l’acqua, e la seconda che sopraggiungeva vi si fermava solo perché trovava compagnia; e la terza si fermava perché le prime due avevano trovato acqua e compagnia. E prima di notte la nuova comunità poteva risultare di una ventina di famiglie, che venivano curiosamente a fondersi in una sola tribù. I bimbi delle singole famiglie diventavano bimbi di tutti, la perdita delle singole case diventava una perdita sola, le dorate illusioni sul West diventavano un solo sogno comune. E poteva accadere che un bimbo ammalato costernasse venti famiglie, o che l’arrivo di un neonato rallegrasse cento persone. Attorno ai fuochi serali le cento persone formavano una unità… Ogni sera si creava un mondo, si fondavano amicizie, sorgevano ostilità; un mondo fatto di animosi e vigliacchi, umili e superbi, buoni e cattivi; e ogni mattina quel mondo veniva smontato, come un circo”.

(John Steinbeck, “Furore”)








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