Perché ammiro quest'uomo...
E’ anche un fatto generazionale.
Al di là dei meriti tecnici e umani, che mi sembrano evidenti. Perché un conto
è vincere dove c’è una tradizione, dove le risorse non mancano davvero mai, un
conto è farlo dove parlare di pallacanestro è come insegnare una lingua nuova,
sconosciuta fino a poco prima. Vincere in posti come Sassari o Cremona. Mica
dimenticati da Dio, per carità, ma lontani anni luce da quelli che da sempre
sono considerati i salotti buoni del basket.
Ma è
anche un fatto generazionale, appunto. Sarà che mi ci sento frullato dentro, a
questo mondo del lavoro che ti guarda storto se mostri la carta d’identità, che
ti esamina partendo dai dati anagrafici. Senza pensare alla ricchezza che sta
dentro a quei dati. All’esperienza, alla consapevolezza, alla solidità, allo
spessore umano. Alle mille cose vissute che possono diventare certezze da
spendere.
Invece, è
un mondo che “rottama”. Oggi i sessantenni, forse già i cinquantenni. Domani,
anche i trentenni saranno roba passata. Una corsa a perdifiato, pazza, sregolata,
venduta a una squilibratissima idea di “progresso”. Senza capire che ci si
arricchisce mettendo insieme le risorse, la freschezza dei giovani e la
conoscenza dei “vecchi”, se proprio volete chiamarli così.
Io uno
come Meo lo amo anche per questo. Perché va dritto per la sua strada, e ha uno
spirito ragazzino che fai fatica a rincorrere.
In qualche modo, devo ringraziarlo. A nome di una generazione.
In qualche modo, devo ringraziarlo. A nome di una generazione.
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