Disperazione




Se sei disperato chi se ne accorge? A chi conviene accorgersi della tua voglia di piangere? E poi, scusa, perché? Nemmeno tu lo sai, in verità. Perché la gente che ti sfiora per strada dovrebbe essere diversa da quando tu la sfioravi senza guardarla, senza accorgerti della sua disperazione?

Ora tocca a te scoprire abitudini senza valore, parole banali, facce senza espressione. E allora pretenderesti conforto, solidarietà. Troppo facile, carino. Arrangiati da solo, vattene da qualche parte a sbattere la testa contro il muro, ma non farti vedere, conserva un minimo di dignità.

Per darti un alibi, alibi ridicolo, cerchi strade già battute da altri con poco successo. Corrompi te stesso arrangiandoti con parole da bar: opportunismo, mediocrità, disaffezione, egoismo, i soliti luoghi comuni imputabili al mondo che ti relega lontano dal prossimo, ma il mondo è sempre lo stesso identico all’altro che ti piaceva tanto quando il tuo umore era assai meno precario.

Datti un’occhiata e dimmi se, in coscienza, puoi pretendere di più. Ah, lo so, in questo momento ti senti pronto a batterti per l’ideale perché, pensi, non ho nulla da perdere. E questo non lo chiami egoismo? Vivere costa fatica, cercare di capire è un passatempo pericoloso, privilegio assurdo per i superbi. Lotta di classe? Adesso ti viene in mente anche la lotta di classe? Vorresti tornare in pista e riprendere il vecchio posto?

Non c’è più quel posto, altri l’hanno rilevato appena hanno capito, loro sì, che tu eri passato dalla parte del domatore. Lascia a chi è rimasto in gabbia il diritto di spingere, di arrabbiarsi, di disprezzare. Il tuo disprezzo è di seconda mano, volgare come una caricatura mal riuscita. Confondi un rigurgito con una vocazione, sei un imbroglione maldestro e anche un po’ stronzo. Ecco cosa sei, amico.



Beppe Viola

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