L'Italia del 12 dicembre

"Viva l'Italia, l'Italia del 12 dicembre
L'Italia con le bandiere, l'Italia nuda come sempre"

Francesco De Gregori

Trentanove anni fa. Ne avevo nove, e quel 12 dicembre, con le immagini in bianconero che uscivano dal televisore sempre acceso a un ritmo insolito per gli occhi e la mente di un bimbo, per me fu la perdita dell'innocenza. Capii che accanto al bene, agli affetti, ai sentimenti, c'erano anche il male, il dolore, il buio. Quella sera, e per molte sere dopo, faticai ad addormentarmi.
L'Italia smarrì la rotta a Piazza Fontana. Che ci fosse il male i grandi lo sapevano, ma il male venne nascosto anche a loro. Per anni. Oggi molto si sa (mandanti, ideologie, esecutori), ma restano le zone d'ombra. In questa e in tutte le tragedie collettive della nostra storia. E in questa come nelle altre, prima (Vajont) e dopo, la sensazione che il male sia riuscito in un modo o nell'altro a farla franca. Che i buoni non abbiano vinto, e siano anzi stati derisi e irrisi.
Quel giorno, nel salone della Banca Nazionale dell'Agricoltura, caddero diciassette innocenti: Giovanni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Vittorio Mocchi, Luigi Meloni, Mario Pasi, Carlo Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia, Carlo Silvia, Attilio Valè, Gerolamo Papetti.

La diciottesima vittima cadde da una finestra tre giorni dopo. Giuseppe “Pino” Pinelli. Un uomo che credeva nella pace.

Commenti

Anonimo ha detto…
Grazie.
Anch'io avevo gli stessi nove anni.
Giorgio
Anonimo ha detto…
All'elenco aggiungerei un'altra vittima, seppur 'caduta' qualche anno più tardi. Si chiamava Mario Calabresi, faceva il commissario di polizia. Lo faceva bene: lo ammazzarono come un cane. Nel nome dell'odio e della zizzania che qualcuno, che oggi pontifica a destra e a manca, si divertiva a disseminare. Nel nome del popolo.
Poi sarebbero venute le Brigate Rosse. Roba della quale vergognarsi, non vantarsi
marco tarozzi ha detto…
Sono d'accordo, Giovannino. La vita va sempre rispettata. E Calabresi pagò, quella sera e tre anni dopo, colpe che non erano soltanto sue. Fu certo un errore trattenere tre giorni, senza diritti, un innocente. Fu un errore seguire subito la pista sbagliata, ma poi abbiamo scoperto quanti lavorarono per spostare le indagini su piste sbagliate.
Pino Pinelli considerava Calabresi "uno con cui si può parlare". E ci parlava,a margine delle manifestazioni. Lo considerava uno diverso dagli altri. Il destino li ha accomunati nella tragedia. Pinelli non aveva colpe, se non quella di sentirsi un uomo libero. Calabresi è stato un capro espiatorio. Abbandonato da chi doveva stargli accanto, ucciso dal fanatismo.
Anonimo ha detto…
Vedi, caro Marco, tu scrivi ucciso dal fanatismo. E credo (non ho certezze) sia giusto. Ho, al contrario, tra i tanti dubbi, una certezza. C'è una sinistra che ha tanti meriti ma non vuole considerare i propri errori. Basterebbe citare una delle prime definizione data alle Br, "i compagni che sbagliano". Alla faccia: vallo a dire alle moglie dei poliziotti (gente che non navigava nell'oro) che si sono trovate vedove o bambini, improvvisamente orfani, perché il babbo faceva la scorta. "Nemici di classe", ma fatemi il piacere.
Errori (alla faccia) che qualcuno vorrebbe cancellare dalla storia. Come vorrebbero cancellare la macelleria post 25 aprile 1945. Tanta gente fatta fuori non perché fascista ma, semplicemente, perché dava fastidio. Gente (Weber?) della quale non è mai nemmeno stato trovato il cadavere, una fossa sulla quale piangere. Eppure c'è chi, a distanza di anni, negano queste cose. Quegli stessi che s'incazzano se, altri storici della domenica, negano l'olocausto. In Italia non ci sono stati 6 milioni (milioni, proprio così) di ebrei fatti sparire dalla follia di Hitler, ma dopo il 25 aprile 1945 (tutti antifascisti, dopo. Ma prima, se erano la maggioranza, dov'erano? Non credi che, al contrario, ci fosse una maggioranza silenziosa che non prendeva affatto posizione?) quanti sono stati ammazzati in nome di chi?
E che ci sia qualcosa che tocca lo dimostra il fatto che Giampaolo Pansa (vogliamo chiamarlo un uomo di destra? O vogliamo demonizzarlo come è stato fatto per anni per Montanelli, poi riabilitato e quasi santificato) non sempre riesce a parlare dei suoi libri.
Anonimo ha detto…
Mi permetto di consigliare la lettura di "Tango e gli altri. Romanzo di una raffica, anzi tre" di Francesco Guccini.
Dalle verità della Storia non si scappa ma questo non ci deve impedire di scegliere, anche tanti anni dopo la ferita della Guerra, da che parte stare.

Giorgio
Anonimo ha detto…
Ho letto Guccini e non solo lui. Il problema, secondo me, non è da che parte stare. Perché uno, alla fine, è sempre convinto, credo in buona fede, di essere dalla parte giusta (almeno sul momento in cui affronta certe situazioni). Si tratta, lo dice il figlio di Calabresi (un altro che non può certo essere accusato di essere di destra) in maniera molto serena, lo dice lo stesso Pansa, di rispettare comunque l'altro. E rispettare l'altro, credo, significa assumersi anche le proprie responsabilità. Quelle responsabilità che, vedendo come vengono ora letti gli scritti di Pansa, certa sinistra non vuole riconoscere. Perché? A distanza di anni hanno ancora paura?
Mah...

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