Se riaprisse l'Ufficio Facce
Ripensandoci, è una delle tante eredità che mi ha lasciato mio padre. Giravano per casa certi long-playing che mi hanno acceso la curiosità per i maestri di un cabaret che valeva mille Zelig. Gli emarginati di Jannacci, la storia d'Italia rivisitata dai Gufi. Molta Milano, devo dire. Una Milano che non esiste più, che affrontava negli anni del "boom" la prima, vera integrazione sociale tutta italiana. Non ancora "Milano da bere". Piuttosto da vivere: quella delle latterie-trattorie coi tavolini di plastica, degli artisti di Brera, amata-odiata da Luciano Bianciardi.
E infatti si conoscevano tutti: Bianciardi, Jannacci, Intra, Andreasi, i primi geniali Cochi e Renato, il figlio della guardarobiera del mitico Derby, Diego Abatantuono, che già iniziava a salire sul palco. E Beppe Viola, naturalmente. Che poi ho conosciuto meglio innamorandomi dei suoi servizi alla Domenica Sportiva, coi quali entrava in tackle nella sacralità di Mondo Calcio, sfottendo e sorridendo. Graffiando sempre. Esempio: commentando in un servizio il talento di un giovanissimo Franco Baresi: "Guardate che cosa riesce a fare: ormai sarebbe sicuramente il miglior libero d’Italia se non ci fossero Freda e Ventura".
Ho riletto qualche giorno fa un articolo di Luigi Mascheroni, uscito un anno e mezzo fa sul Giornale, che racconta Beppe Viola attraverso le parole della figlia Anna. Ne riporto un passaggio.
E infatti si conoscevano tutti: Bianciardi, Jannacci, Intra, Andreasi, i primi geniali Cochi e Renato, il figlio della guardarobiera del mitico Derby, Diego Abatantuono, che già iniziava a salire sul palco. E Beppe Viola, naturalmente. Che poi ho conosciuto meglio innamorandomi dei suoi servizi alla Domenica Sportiva, coi quali entrava in tackle nella sacralità di Mondo Calcio, sfottendo e sorridendo. Graffiando sempre. Esempio: commentando in un servizio il talento di un giovanissimo Franco Baresi: "Guardate che cosa riesce a fare: ormai sarebbe sicuramente il miglior libero d’Italia se non ci fossero Freda e Ventura".
Ho riletto qualche giorno fa un articolo di Luigi Mascheroni, uscito un anno e mezzo fa sul Giornale, che racconta Beppe Viola attraverso le parole della figlia Anna. Ne riporto un passaggio.
"Scriveva per mestiere ma scriveva anche per hobby ("Me lo ricordo sempre alla macchina da scrivere"): cronache per Il Giorno, articoli per il popolare Intrepido e racconti per l'intellettuale Linus, sceneggiature e dialoghi per il cinema, testi per canzoni, pubblicità e il cabaret. "Non era tanto per i soldi, lo faceva perché si divertiva: al Derby erano tutti suoi amici: oltre a Jannacci, Dario Fo, Cochi e Renato, Abatantuono, Boldi, Teocoli...". Lo stesso gruppo che poi si ritrovava al bar-pasticceria Gattullo, in porta Lodovica, dove alla domenica, all'ora dell'aperitivo pre-partita, apriva il fantomatico "Ufficio Facce", la cui attività consisteva nello squadrare gli avventori-tifosi e in base a precise regole fisiognomiche, indovinare la squadra d'appartenenza. Beppe Viola, si dice, era infallibile nel riconoscere i milanisti, la sua stessa razza."Se c'è una cosa che mi ricordo di papà è proprio come osservava le persone, anzi i "personaggi" come diceva lui, i tipi che si aggiravano per Milano, quelli un po' strani, al limite del balordo: guardava come parlavano, come si muovevano e poi lui li trasformava in macchiette per gli spettacoli, in spunti per una battuta o per costruirci attorno una serata a cena e raccontare storie".
Beppe Viola se ne è andato nell’82, portato via da un ictus una domenica pomeriggio in ottobre, mentre stava montando un servizio per la Domenica Sportiva. Lo hanno imitato in tanti, perdendo sempre qualcosa (e sempre più, col passare del tempo) rispetto all’originale. Da quando se ne è andato, nessuno è più riuscito ad aprire quel fantastico "Ufficio Facce". Se ne sente la mancanza.
Commenti
E invece a Baresi nulla. Il mio sogno era giocare un derby al suo fianco. Non avrei nemmeno sudato.
Robe strane, ben prima di Moggi
O erano gli anni Settanta?