Novantacinque

 



Ma poi dicevi sempre che in realtà non eri così sicura che fosse stato il 29 luglio. Che forse avevano tardato a registrare la nascita, e ti rimaneva il sospsetto di essere venuta al mondo il giorno prima.

Però alla fine gli auguri ti arrivavano sempre in questa data. L’abbiamo fatta nostra.
Gli auguri, certo. Quanto a feste, poca roba.

Non ti piaceva far festa. Soprattutto negli ultimi anni. Quando anche uscire di casa ti metteva a disagio, ti soffocava. Così, passavi il tempo su quella sedia in cucina, la tv ronzante e inascoltata, il divano in sala ancora avvolto nel cellophane da vent’anni, rigorosamente inutilizzabile.

Non è stato facile, lo so. Salire quei quattro muri a mani nude, sentire il vento, uscire fuori. Non ci sei riuscita. Allora ci ho provato io. Non per ribellione. Per non sprecare il Dono.

Tu l’avevi avuto, il Dono, e l’avevi sprecato per consuetudine e non per scelta.
Non dimentico la fatica di essere sola, di essere madre, di stare fuori posto in quei cosiddetti fantastici anni Sessanta, quei maledetti anni Sessanta, in cui a posto bisognava restarci per convenzione. Non dimentico l’impegno per farmi crescere, un po’ storto ma il più dritto possibile.

Mi hai trasmesso qualche ansia, una strana timidezza. Il piacere e il timore della solitudine.
Anche in fondo alle nostre incomprensioni, sono stato la tua vita.
Che prendeva il largo perché da lontano ci si avvicina meglio.

Sono novantacinque e ti dico auguri, e già mi sembra di sentirti brontolare.
Passa a trovarmi in qualche sogno, di tanto in tanto.



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