Un giorno come questo
Era il 19 giugno, come oggi.
Ho provato a stringerti la mano, ma tu non stringevi più. Ho sistemato la
coscienza fingendo di credere che i calmanti stavano facendo effetto, ma ormai
lo sapevo in che viaggio ti eri avventurato. Quando uno si allontana, lo
capisci dai dettagli: niente più cellulare, che avevi usato fino a tre giorni
prima; niente più orologio, che tanto non riuscivi più a guardarlo; solo il
tempo di dirci un paio di cose che non ci eravamo mai detti prima, con un mezzo
sorriso per non prenderci troppo sul serio nemmeno in quel momento. Per non
essere troppo impostati.
Mi sono fatto dare il cambio e forse sono scappato, forse sono stato un vigliacco.
Forse ho avuto paura della morte, mentre andavo incontro alla vita, che a casa
c’era tuo nipote nato da appena dieci giorni. Ci pensavo, sai, su quelle strade
di campagna: un pensiero banale, sul nascere e morire, su schiaffi e carezze
del destino, su tutto quel cazzo di mistero.
Ci sono rimasto tre ore, in redazione. Poi hanno chiamato. Poi sono andato da
Beppe e gli ho detto che le pagine dello sport le avrebbe chiuse il Merlo, che
quel pezzo lasciato a metà lo buttassero, lo avrebbe riscritto lui. Non avresti
approvato: ci tenevi a leggere quello che scrivevo, ci tenevi a tuo figlio ma
non gliel’hai mai detto. Per fortuna. E’ stato meglio così, mi tengo quella
lettera dove hai scritto quasi tutto in due facciate: l’orgoglio, l’amore, la
solitudine di chi sa che il tempo non basta più.
Era il 19 giugno, come oggi. Non era domenica, non si crepava di caldo come adesso,
che ci sono i fiumi in secca e ogni tanto piove qualche mezza tempesta
tropicale. Io rimbalzavo dal mistero della vita a quello della morte. Tutta
roba che ancora non ho capito.
Beh, ne è passato di tempo. Avrei bisogno di fare due chiacchiere, adesso che
potremmo parlare tra quasi coetanei. Non avrei segreti, per te. Ci capiremmo
come non mai.
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