Quattordici

 


Sai cosa? Penso sempre a come sono volati, questi quattordici anni. Te lo confesso, ormai sono a quel piano della vita in cui capita spesso di pensare a quanto saranno veloci i prossimi quattordici. A dove saremo, a come saremo, a quello che abbiamo lasciato in giro e a chi avrà voglia di raccogliere qualcosa. Quei pensieri lì, insomma.

Tutti aspettano i diciotto, eppure per me questa è l’età più imperscrutabile. Un paradosso: forse la più bella e anche la più delicata. Ti guardo e di tanto in tanto vedo ancora quel bambino che non ha mai dato un problema, che mi lasciava riposare anche quando aveva pochi mesi. Che è cresciuto tra le sue storie disegnate nell’aria e i suoi dinosauri. Ah, per quello ti invidio: quando avevo la tua età per me esisteva “il dinosauro” e stop; mica tutte quelle specie e sottospecie, da coprirci il vocabolario dall’A alla Z. Adesso dici che da un gioco ci farai un mestiere, e chissà, se resti determinato come oggi farò qualche viaggio per raggiungere un figlio paleontologo in qualche deserto, o magari in Patagonia, dove voglio andare da una vita.

Mi dispiace non averti dato quello che avresti meritato. Non parlo di beni materiali, quelli vanno e vengono, è vento che cambia sempre direzione. Parlo della stella che iniziavo a seguire quando avevo la tua età, e a certi sogni dei vent’anni. Eravamo una generazione piena di colori e certezze. Davvero convinti di poter cambiare il mondo. Invece il mondo è questo qua, lo vedi: appendiamo bandiere ai balconi perché siamo abituati all’idea che tutto si risolva in fretta, ma se la faccenda dura appena un po’ più a lungo diventiamo stronzi come prima. Più stronzi di prima. Non abbiamo rispetto per la Terra, tutto è regolato dal dio Moloch, la ricchezza è in mano a pochi e la povertà fa scannare tutti gli altri tra di loro. Ci accorgiamo che c’è la guerra perché è arrivata sotto casa, ma è una vita che sfoderiamo tutto il repertorio: guerre sante, punitive, liberatorie, protettive di cosiddetti sacri confini. Guerre, confini: quanta retorica, sotto. Quanta tragedia tra la gente comune. Ci agitiamo come mosche impazzite, non sappiamo vedere il futuro e il passato non ci insegna niente. Bella roba, eh?


Dovrei chiederti scusa se la mia generazione ha perso la partita. Forse qualcuno ci ha spenti, forse facevamo davvero paura, forse a nessuno è mai fregato niente di quello che facevamo e si sapeva già che tranquillante usare. Io posso solo darti le cose che mi porto addosso. I colori che cerco, le frasi che scrivo, la passione che non si spegne, la curiosità che mi fa restare bambino. Che a volte, sai, quando siamo in giro insieme la parte del vecchio saggio finisci per farla tu.

Ecco, io posso lasciarti questo. Insieme alla voglia di vederti diventare grande, di trovare la tua strada, di non metterti bastoni tra le ruote, di sostenerti fin dove posso. Per il resto, mi fido di te. Anzi, vorrei tanto invecchiare insieme a te, ma questo succede solo nelle favole. Proverò a non invecchiare, comunque.


Cammina forte, giovane vecchio mio. Sono orgoglioso di te, e per una volta mi andava di dirtelo.


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