Le tastiere del Civ



Gianfranco mi dette appuntamento all’edicola di piazza Azzarita, nel pomeriggio dello stesso giorno in cui gli avevo chiesto il pezzo. Era il mio primo libro, quello che quando lo giri e rigiri tra le dita è emozione pura, ma finisce tutto il giorno dopo. Il Civ lo sapeva bene e mi mise in guardia da subito. Della storia della Sala Borsa lui era un testimone prezioso, poteva accendere la luce su quei giorni di gloria, di “par la mi bèla bàla”, di un pavimento a losanghe in cui le linee di fondo si confondevano. Lui come Achille Canna, Carletto Muci, Larry Strong, Gigi Rapini, Nandone Macchiavelli. A tutti chiesi un contributo, tutti splendidamente contribuirono. Né uscì una bella cosa, con le foto di Walter Breveglieri, un altro gigante, ad arricchirla.

Arrivò brandendo un foglio scritto a biro, “è leggibile, non dovresti avere problemi a ribatterlo, dovrebbero essere 50 righe”. Aveva la misura in testa, dopo tanti anni in barricata, dopo tanti pezzi dettati “a braccio” al telefono, destinazione Ufficio Dimafoni. Erano 51, scarse. Cinquanta e mezzo. Non era la prima volta, non ho mai capito come facesse.
Nel secondo che pubblicai, fece di più. Siccome parlava di tanti campioni bolognesi del passato, pensai che una sua prefazione sarebbe stata perfetta. Me la regalò, fu un grande regalo. Me la consegnò alla nostra maniera: edicola all’angolo di piazza Azzarita, foglio scritto a mano. Anzi, due. Dentro, parole di stima che mi commossero.

Ripenso ai giorni, mesi, anni passati in quella redazione di Stadio, da metà degli anni Ottanta. Per dieci lunghi anni, prima di lanciarmi tra le colonne del “verde” da collaboratore fisso, fui il segretario di redazione di “quella redazione”, che allora splendeva. In via Mattei, guidata da Vittorio Piccioli, una truppa indimenticabile: Gianfranco Civolani, Ermanno Mioli, Dante Ronchi, Gibì Marcheggiani, Stefano Biondi che poi scese un piano e andò al Carlino, Maurizio Roveri, Giuliano Musi, Giorgio Comaschi che si trasferì a Repubblica e infine scelse il mondo dello spettacolo, restando “giurnalèsta” nell’animo, e ancora Raffaele Zanni, Fausto Fortuzzi, Nino Borgatti, Daniela De Blasio, Roberto Montuschi, l’elegantissimo professor Franco Quartieri, e Marione Mongiorgi che abitava la scrivania dell’ufficio archivio. E poi i giovani, accanto ai quali sono cresciuto. Giuliano Riva, Andrea Malaguti, Roberto Zanni, Franco Caniato, più avanti Alessandra Giardini, Matteo Della Vite, Matteo Marani.

Il Civ le ha passate tutte. Persino la “rivoluzione” dei computer, quando da Roma ci rifilarono il sistema Atex, già obsoleto sul nascere, i cui pezzi di ricambio si trovavano probabilmente solo a Porta Portese. Il Civ picchiava sui tasti che lo sentivo da tre stanze più in là, come se quelle macchinette fossero vecchie Olivetti, e infatti ogni due settimane mi portava una tastiera da rispedire a Roma, finché laggiù non decisero che poteva bastare, lui e solo lui poteva rimettersi a scrivere a macchina, che poi qualcuno avrebbe riscritto ma intanto quel giro di computer da rappezzare si sarebbe fermato. Mi resta ancora il dubbio che se la fosse studiata…


Il Civ mi ha regalato molte cose. La voglia di scrivere, prima di tutto, una roba che fai per te stesso, certo, ma se mentre la fai pensi anche al piacere di chi deve poi leggerla, hai già raggiunto un bell’obiettivo. Mi ha insegnato a coltivare la memoria, che è il bene più prezioso di cui fare tesoro. Mi ha insegnato che dietro a un carattere burbero, a volte scostante, fondamentalmente solitario e malinconico, si può nascondere una persona generosa e leale, sincera e poco incline ai compromessi. Mi ha trasmesso, insieme ad altri fantastici maestri, il piacere di stendere le parole in fila, cercando di dar loro una brillantezza, un guizzo, una fiammata capace di renderle diverse ogni volta, anche quando capita che si ripetano. Perché il vocabolario è limitato, ma la creatività non ha confini.


Il Civ lo chiamavamo tutti “maestro”, e lui sapeva che non era un modo per tagliare corto e allontanarsi. Era spigoloso da vivere, dicono, ma era un generoso per chi non si ferma alla superficie. Ed era bello, magnifico da leggere. Mai banale, sempre nuovo ogni giorno. Mi mancano da tempo quelle botte che tirava sulla tastiera del computer. Fino a ieri pensavo fosse solo perché mi ricordavano la mia gioventù. E’ altro: mi ricordano il posto dove ho imparato un mestiere, accanto a giornalisti veri. Giornalisti dentro, cercatori di storie. Gente come il Civ. Che stavolta ha staccato le medaglie davvero, non ci sorprenderà più. Ma intanto, ci resta addosso per sempre.


Commenti

Unknown ha detto…
Ciao Marco, sono Uber, un vecchio amico. Ci siamo conosciuti al campo Baumann verso la fine degli anni 70. Bene, non so come sono finito a leggerti su queste pagine, ma non da oggi, da qualche anno. Fatto sta che oggi ho trovato lo spunto per farmi sentire. Per ringraziarti per quello che scrivi, per come lo scrivi e dal momento che siamo coetanei, sento molto vicine. Così Marco, aveva essere un modo per testimoniarti la mia stima e la mia silenziosa presenza. Mi permetto un grande abbraccio.
Uber
marco tarozzi ha detto…
Ciao Uber,
Che bella cosa ritrovare un vecchio amico. E per giunta qui, su un piccolo diario che è pubblico soltanto perché i tempi sono cambiati, e in qualche modo ti succede di mettere in vetrina anche la tua quotidianità.
E' proprio per questo che mi accorgo solo ora del tuo commento. Perché qui sopra, in fondo, scrivo non tanto con la speranza di essere letto, ma per liberare tutto quello che sta chiuso dentro, farne una specie di barchetta di carta e liberarlo nell'oceano delle parole, delle notizie, dei sogni e dei bisogni del mondo.
Poi, capita che qualcuno ci finisca sopra, a queste righe. Magari un vecchio amico che non sentivi da una vita. Allora pensi che sì, da oggi quando scriverai due righe penserai anche a lui, a raccontargli qualcosa, un modo per sentirsi ancora vicini. Come quando, dicevano i nonni, "saltavamo i fossi per la lunga"...
Spero di incontrarti, magari non solo qui, anche da qualche parte in giro per questo nostro paesone così cambiato, così maledettamente uguale a sé stesso.
Ti abbraccio, buon anno e lunga vita.
Marco

Post popolari in questo blog

Bonatti, un grande italiano

Lacedelli, antieroe nella leggenda

Visini, il marciatore che si fermò a Bologna