Mestieri
Certo ero un bambino strano. Non solo perché me ne stavo pomeriggi interi a contare le macchine sulla terrazza della casa al mare. Settantacinque a settantatrè per quelle che vanno verso destra. Poi non mi bastava più. E allora torneo, a eliminazione diretta: Fiat batte Opel 10-6, Peugeot batte Simca (eh sì, ne aveva una anche papà) 10-3, e via andare.
Ero strano perché non pensavo a fare l’aviatore o l’esploratore o il calciatore, da grande. Volevo vendere la frutta per strada. Mi ero anche disegnato un carretto su misura, con ribaltine a vetri e cassetti rientranti. Coloratissimo. Avevo un obiettivo, si direbbe oggi. E quel carretto era proprio una figata.
Questa del giornalismo, accidenti, mi è uscita fuori a vent’anni. Alle spalle già i temi del liceo che piacevano tanto alla professoressa Naldi, che li leggeva in classe ad alta voce imbarazzandomi. E raccolte di poesie scritte sopra l’Underwood del nonno, che è ancora qui funzionante. Che poi, quando seppi che il primo scritto di Ti-Jean Kerouac era stato “Upon an Underwood”, ciao. Inarrestabile.
La feci grossa, anche, con la poesia in stile beatnik sul tema “Discuti la teoria poetica di Edgar Allan Poe”, che rischiò di farmi saltare un turno a tiro di maturità. Però ero bello, carismatico, “più maturo mentalmente rispetto alla sua età” spiegava la nota a margine, e avidamente alla ricerca di vita, come si diceva allora. E insomma, lei, l’altra prof, me la perdonò. Alla grande, anche.
Io le ho viste tutte, lì dentro. Gli articoli buttati giù a macchina e risistemati a biro e poi passati ai correttori di bozze, le colonnine tagliate col cutter e appiccicate sulla pagina bianca dai tipografi, le lastre che uscivano dal buco nero dei fotografi. E poi li ho visti sparire tutti dal giornale. Correttori, tipografi, fotografi. Mi sono sempre adattato ai tempi che cambiavano, e lo farei anche adesso, sono pronto a farlo se non salta fuori il solito promulgatore di leggi di mercato (chissà poi chi è) che decide che a una certa età sei fuori. Lì, appoggiato nel limbo, non abbastanza giovane né troppo vecchio. Già, questo (dicono) non è un paese per giovani. Nemmeno per vecchi, però. E stai stretto anche nell’età di mezzo. Da qualunque angolazione la guardi, è una vita che va stretta.
Però quella era un bella aria da respirare. E oggi vorrei spiegarlo al viceministro che non ha fatto poi troppa fatica a ritrovarsi lì, che uno per prendersi la sua patente da “sfigato” si è sbattuto, ha sofferto e ci ha creduto. Faccio l’esempio: lì si respirava la “tipo”, e c’erano fior di direttori che ti dicevano “bene, vuoi andare a scaldare le sedie all’Università o vuoi fare questa scuola?” Prima per rendermi indipendente, poi per amore di quel lavoro, di quelle notti a veder nascere il giornale, ho scelto quella scuola. Altri tempi. E bella sfiga, a pensarci: se resto senza un posto oggi, per rientrare mi chiedono il pezzo di carta. Però mi consolo coi miei “campioni”: Kerouac via dalla Columbia, London con appena le elementari e ciao. E Steinbeck fermo a Stanford a un passo dalla laurea, e poi ha vinto un Nobel. Curioso: tutti e tre han fatto, almeno per qualche tempo, i giornalisti. Vedi tu, Martone…
Insomma, per farla corta non mi pento. Non so cosa succederà domani, o dopo. Se finirò sott’acqua, se riuscirò a tenere la testa fuori. Se combatterò o finirò contato, battuto, suonato. Se virerò di netto: altro mestiere, cercando dignità come l’ho fatto in questo. So che non vincerò il Nobel, questo sì. E non mi pento, non mi pento. Di niente. Era la strada, in quel momento. Mi vien da dire “tanto tempo fa”. E vabbè, però ho una memoria di ferro e posso raccontarla. Hai detto niente.
Il Taroz
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Beppe Masini