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Pausa di riflessione

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Ho saltato fossi. Mio nonno consigliava di aggiungere “per la lunga”. Ho giocato in cortile, quando i cortili erano pieni di voci. Ho guardato mio padre curare una vacca. Per premio, dopo, abbiamo visitato anche due porcilaie. Ho letto Topolino nuovo di zecca per dodici anni in fila. Ogni maledetta domenica. Ho cavalcato la Parilla del nonno. Ho visto il primo mare e si chiamava Adriatico. Ho visto tutti gli altri, qui intorno. E anche diversi più in là. E anche un paio di oceani, ora che ci penso. Ho un’isola greca in cui nascondermi, ma se dico dov’è arriva il mondo. Zitto, allora. Ho visto un piccolo passo per l’uomo, grande per l’umanità. Dentro una tv in bianco e nero, seduto scomodo. Ho messo Barbara Ann e Vivrò nel mangiadischi della Giulietta Spider. Rossa, come il cuore di mio padre. Ho vinto la battaglia tra Grattacielo e Findomus, perdite contenute. Ho aspettato che mio padre tornasse. Ho sofferto per mia madre che aspettava. Ho imparato a leggere a tre anni. Ho imparato a c...

Ottanta anni

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  Ma alla fine, il problema non sta nelle parole. Essere "sobri" in un mondo di svacco e fake news, di arroganti e prepotenti. È che quelli che potevano raccontarci l'orrore della guerra e il dono della libertà se ne sono andati, inghiottiti dal tempo. E dopo ottant'anni c'è tanta gente che si annoia a parlare di libertà, che si stanca a sognare un mondo in pace. Quella giovinezza perduta ci dice che c'è una gioventù nuova, che dovremmo rispettare. Ma siamo troppo impegnati a farci selfie anche nelle camere ardenti. Non so se oggi sarò sobrio. Mi accontenterei di essere vivo.  

"All'ippodromo ci sono le corse domani"

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  Anna, non avevi ancora quindici anni. Ma da quel cortile sbilenco in viale Carducci ti incamminasti lungo strada Maggiore, e man mano che la piazza si avvicinava crescevano le voci, le grida, i cori. Erano sorrisi, abbracci. Sconosciuti come vecchi amici. Tutti quei ragazzi col fazzoletto al collo. Rosso. E gli americani che erano venuti giù da San Luca, che Laurenzo era uscito di casa alle Orfanelle, per salutarli. Ma ancora non lo conoscevi, Laurenzo. Né il suo amico Giuliano, che pochi anni dopo ti promise quella faccenda chiamata amore. E gli credesti. Ma intanto, quella piazza. Tavolette di cioccolata, “cicche” americane, prime sigarette. Una serata tra amici che mai più avresti rivisto. Mi hai messo al mondo quindici anni dopo, sembra incredibile a pensarci. Ma era già un’altra vita, un’altra storia. La “rinascita” era un frullatore di anime. Vivevi all’ombra di un arrogante “grattacielo”, che a vederlo oggi fa sorridere anche solo pensare che lo chiamavano così....

Poetastro

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  Proprio qui, vedi, ho lasciato qualche parola a caso. Lì invece, appena dietro la lampada a forma di Paperino c’è la foto di quei ragazzi che mi misero al mondo, poco prima di capire che quella storia non poteva funzionare. Sotto a quel mobile, niente, non perderci il tuo tempo, c’è solo polvere, probabilmente qualche pallina del gatto. Dietro i libri, poche cose. Fiori, opere di bene, qui e là qualche dedica che rimanda a un sorriso, un’espressione stupita, un tempo senza più tempo, fuori dal tempo. Ecco, ti lascio tutto qui. Gli occhiali sono nel primo cassetto, i soldi boh, bruciati con la solita incoscienza o mai accumulati, ma almeno la musica puoi sempre sentirla nell’aria se ascolti attentamente. (mt)

Di fate e di streghe

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  La strada delle fate può fare brutte sorprese. A volte ci si incrociano le streghe. Che si travestono da fate. Le streghe non hanno anima, ed è un problema. Perché si alimentano della tua. Te la portano via, la consumano. E poi la bruciano. Non ti ammazzano, le streghe. Ma ti lasciano a terra, e non si curano del male. Non hanno memoria. Non hanno rimorsi. Altrimenti, che streghe sarebbero?

Schermaglie

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Iniziò tutto da uno sguardo di traverso del vicino. Allora si preoccupò, pensò che il suo orto aveva sempre suscitato invidie. Tirò un altro giro di filo spinato tutto intorno. Per un po’ si sentì sicuro. Ma intanto l’altro iniziava a chiedersi a cosa servissero tutte quelle protezioni. Chi si protegge vuole offendere, pensò. Così si procurò un vecchio fucile che suo nonno usava per la caccia e chissà se ancora funzionava. Ma insomma, per un po’ si sentì sicuro. Fu quando scoprì quello squarcio nella rete che si arrabbiò davvero, per giunta non erano nemmeno entrati per rubare, solo per sradicare, spaccare, imbrattare, e solo lui sapeva quanto ci aveva messo per fare di quell’orto un gioiello. E poi una sera fu l’altro a spaventarsi perché sentiva il cane latrare, e la paura gli dette la forza di uscire, di sparare a casaccio nel buio, col respiro affannato, perché quelli non li vedeva ma capiva che erano in tanti, il bastardo si era portato anche i figli e i figli dei figli ...

Vuoti a perdere

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È tutto lì. Nei fruscii, nelle pause Nei silenzi tra un grido e una frase abbandonata al suo destino. E tutto in un pianto senza lacrime Nel rumore di un’ombra sulle scale. È tutto quello che ci sembra inutile, che dimentichiamo tra una bevuta e l’altra nel baccano d’inferno di una città che ha smesso di voltarsi. È tutta questa vita, cazzo di bene prezioso che stiamo bruciando. Concentrata in piccoli gesti da smarrire rigorosamente lungo il sentiero. Buoni magari domani per un rimpianto per una maledizione per un altro vuoto impossibile da colmare. (mt)  

Pesi minimi

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  «Com’è che si chiama? Daria? Dalia? Doria?» «No, quella ha inventato i Bucaneve…» «Delia?» «Ma non eri un’amante della letteratura?» «Beh, sai… il tempo è quello che è…» «Questa scrive da decenni. Da quando era fidanzata con Moravia. Di tempo ne hai avuto…» «Insomma, come si chiama me lo dici?» «Come una marca di auto…» «Skoda?...» «Solo quando derapa…»

Di coccodrilli e lacrime

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  «Voi giovani dovete rimediare alle cazzate che abbiamo fatto noi» . Ha detto più o meno così, il noto cantautore. Io non ce l’avrei fatta a dire una cosa del genere. È vero, la mia generazione era piena di speranze, ma anche di opportunisti. Ha un armadio pieno di promesse non mantenute. Oggi la si ritrova in gran parte nelle stanze dei bottoni, ben sistemata e impegnatissima a presidiare i portoni dello “status quo”. Premia gli amici e i presunti, non ha idea di cosa siano merito e talento. Si chiude a doppia mandata in casa e si guarda allo specchio. Fa il “mea culpa”, falsopentita, e si permette di dire “voi giovani dovete…” Invece, voi giovani vivete la vita come ve la sentite addosso. Nella peggiore delle ipotesi, continuerete ad avvelenarla come ha fatto la mia generazione. Ma se appena vi muovete, vi agitate un attimo, rischiate di fare già qualcosa di meglio. E comunque: quando vi diciamo cosa dovete fare, mandateci allegramente a fare in...

Riabilitando

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Camminare tra gli angoli meno affascinanti del rione. Il portico dei negozi abbandonati, l’ultimo cinema a luci rosse, il benzinaio più orefice della città. Il bar del terrore, il portone degli incontri furtivi, il negozio di ortopedia che comunque grazie, ho già tutto…   Appoggia stampella, carica su gamba operata. Procedi. Passi sempre più lunghi. Non ancora ben distesi. Quattro/cinquemila passi. Due volte al dì. Non necessariamente a digiuno. «Okay, ma i tempi morti? Che fai nei tempi morti? Non ti informi su quello che accade intorno?» «Accade. Ed accadrà, comunque. Informarmi mi destabilizza. Mi disinforma». «Che ti resta?» «Ho ripreso a leggere. Gente che merita. E a rileggere. Sai, una storia non è mai uguale a sé stessa. Ed è un’occupazione lodevole. Non ti fa cadere in tentazione» «Quale sarebbe, la tentazione?» «Scrivere. Così, come fan tutti. Buttare il tempo per sentirsi vivi. Sfoggiare talenti improbabili. Lavorare al romanzo della vita, a dispetto degli alt...

Alla deriva

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  Oggi mi costa fatica scrivere di cose di sport, di sviste arbitrali o di obiettivi da raggiungere. Penso che vivere è solo questione di fortuna. Essere nati dalla parte giusta del mondo. Aver vissuto nell'era in cui, per decenni, in fondo ci si ricordava cosa è una guerra, e si faceva di tutto per tenerla lontana. Essere quelli che a parole avrebbero reso il mondo un posto migliore, ma poi si sono addormentati, o qualcuno gli ha spento per bene i sogni. E alla fine ci siamo accontentati. Di cambiare casa, macchina, di una tv ultratecnologica che nemmeno accendiamo, di una bevuta tra amici ricordando quanto eravamo rivoluzionari. Penso a mio figlio. Che a diciassette anni ha un talento che alla sua età nemmeno sognavo. Che meriterebbe il futuro che non abbiamo saputo costruire, per lui e la sua generazione. Mi sento in colpa. Mi sento inutile. Mi sento sbagliato in un mondo sbagliato. Dove c'è ancora chi pensa che la soluzione sia alzare un muro e lasciare fuori tutto il m...

Delle tue brame

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  E alla fine, guardati. Ti commuovi ascoltando canzoni scritte male da altri, ti affascina un poeta da social che ruba frasi ad effetto dagli involucri dei cioccolatini e si nasconde dietro a un soprannome che qualcuno ha portato addosso molto meglio di lui. Ma basta che ti dica che sei unica e speciale, che spacci per sensibilità tutti i tuoi fallimenti. Ma sì, continua a guardarti. Che cancelli senza rimorsi e non   conosci più gesti civili come un saluto, un sorriso. Che sei madre senza merito e ancora non hai imparato il mestiere, e consegni pacchi come figlie, figlie come pacchi, abbagliata dalla luce gelida di un cellulare. Ecco lo specchio, guardati. Prima o poi doveva succedere di incrociarne uno, che ti sbattesse in faccia tutta quella arrogante inadeguatezza.

Ciao, runner

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  Un bel paradosso. Ci sarebbe da festeggiare il mezzo secolo di corsa. Era il 1975, mi attaccai il numero per gioco alla gara su strada del “Grattacielo”, a due passi da casa mia. Riuscii a correre tredici chilometri, senza nemmeno un metro di passo, e la cosa mi sorprese. Fu la scintilla. Da lì, sono venuti gli anni migliori: cinque anni dopo, quella gara la vincevo e il premio era una “crosta” spacciata per quadro d’autore, ma l’orgoglio era poter uscire finalmente di casa senza essere considerato “quel pazzo che corre tutti i giorni”. Erano altri tempi, “fitness” e “wellness” erano parole piuttosto sconosciute. C’è stato il tempo dei primati personali, il “muro dei quindici” nei 5000 metri, le trasferte per capire un po’ della vita fuori. E poi le altre ipotesi di me: il triathleta, l’amatore evoluto, quello semplicemente soddisfatto di correre per sentirsi libero, senza più cronometri, cardiofrequenzimetri, tabelle e schede. Adesso finisce tutto. In un anno, i nodi sono ...

Demoni

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  Mettili tutti in fila. Sfidali. Falli ballare. Falli ridere. Offrigli qualcosa di forte da condividere. Fatteli amici per quanto possibile. Aspettali. Prova a comprenderli, in fondo recitano una parte, proprio come te. Pensa alla fatica, tirarsi su ogni notte per riempire di contenuti i tuoi incubi. Scacciali. Dimenticali. Schiodali dal muro Prendili a calci. E poi aspettali, tanto dovresti saperlo che il loro mestiere è ritornare. Allora sii accogliente, lasciati travolgere, tanto lo sai che vinceranno loro, che hanno già vinto. Devi solo decidere quando fermare il gioco. Puoi tirarla lunga, un po' come adesso. Puoi riportarti a casa il pallone. Solito risultato. Ma in fondo che ti frega? Resti sempre un adorabile perdente. (mt)