Novantanove


 

Avevo diciassette anni, una vita fa. Andai a sbattere contro la tua anima profonda, sensibile a ogni cosa che si muove nel mondo, ammalata di malinconia. L’anima di un poeta che scrive, e scrive, e scrive nella notte.
E così ogni volta è nella notte che saluto il tuo compleanno, e ti ringrazio per quello che mi hai dato.
Ciao, Ti Jean. L’anno prossimo saranno cento, e cazzo bisognerà festeggiare in qualche modo. Magari torno a trovarti, su quel prato dove quasi mi sono perso, poco meno di vent’anni fa.

“Mi svegliai che il sole stava diventando rosso. E quello fu l’unico preciso istante della mia vita, il più assurdo, in cui dimenticai chi ero – lontano da casa, stanco e stordito per il viaggio, in una povera stanza d’albergo che non avevo mai visto, col sibilo del vapore fuori, lo scricchiolio del legno vecchio degli impiantiti, i passi al piano di sopra e altri rumori tristi – e guardai il soffitto alto e screpolato e davvero non riuscii a ricordare chi ero per almeno quindici assurdi secondi. Non avevo paura; ero semplicemente qualcun altro, uno sconosciuto, e tutta la mia vita era una vita stregata, la vita di un fantasma”.

Jack Kerouac

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