Tredici anni fa





Mio figlio si è preoccupato. Come sempre, si arrabbia quando gli dico che non è niente. Dice che mi ha sentita strana, con la voce impastata. Che sembrava avessi bevuto, ma figurarsi, qui non c’è niente da bere. Qui non c’è proprio niente, perché non vado neanche più a fare il solito giro del rione. Del resto, cosa è rimasto? Il bar all'angolo, mai entrata. L'edicola, il tabaccaio, ma non le fumo più quelle Nazionali senza filtro, pacchetto verde, che mi dicevano fossero peggio delle americane, ma io mi ci sono abituata da ragazza, e alla fine erano diventate la mia unica fuga verso la libertà. Non ho mica smesso per la salute, o per ascoltare i consigli. Disgusto, ecco tutto. A un certo punto, niente, mi avevano disgustato. Sai quando ti svegli una mattina e stop, senza un motivo preciso? E sì che c’è stato un tempo che me ne andavano anche due pacchetti al giorno, ma poi quanto le fumavo veramente? Andavo su e giù per la casa, i lavori da fare la mattina e da ripetere al pomeriggio, dicevano fosse una specie di mania, ma io lo so cos’era. Riempire il giorno, riempire il tempo. Riempire il vuoto. E una sigaretta la fumavo a metà, ad andar bene.


Mio figlio si è preoccupato, poi è venuto suo padre e l’ha rassicurato. Gli ha detto che mi ha vista come sempre. Lui insisteva, “dovevi sentire come le uscivano le parole, una masticava l’altra, si sovrapponevano”. Sta bene, magari era un po’ confusa stamattina, un po’ stanca. Sta bene. Sì, ha ragione lui, sto bene. Mi ha portato un po’ di spesa. Lo fa due volte a settimana, ormai vive fuori città e io lo so, ma andiamo avanti così, cosa c’è da cambiare? Arriva, mi sistema le cose in frigo, si ferma a pranzo, si addormenta un po’ con i gomiti sulla tavola. Poi saluta e va. Mi vuole bene, gliene voglio. Così.

Mio figlio l’ho difeso a modo mio. Vietando anche, spesso, ma che dovevo fare? Non è facile essere madri, a me non l’ha insegnato nessuno, ai miei tempi non si usavano troppi accorgimenti. La mia, per dire, si è spaccata la schiena per portare a casa quello che serviva alla famiglia, papà diceva che lo avevano tagliato fuori ai tempi del fascismo, perché non aveva voluto la tessera del partito, ma sinceramente non so. Aveva il suo toscano, il cortile, il gilet sulla camicia quando rinfrescava la sera, Mi sembrava nel suo mondo, contento di starci. Io ho fatto la quinta elementare, dicono che avessi abbastanza testa per fare di più, ma è andata così. C’erano anche pochi soldi in casa, quando ero piccola mi hanno appoggiata in quel collegio per qualche anno, mi ricordo le suore vestite di nero nel nero dei corridoi di notte, e le penitenze per niente, come quella volta che avevamo rubato le pesche in giardino. Io lo so che non potevano fare altro, a casa. Ma eravamo io e mio fratello, più grande, uno doveva andarci in collegio, serviva un sostegno, e ci sono andata io. Forse mi sono sentita abbandonata, non so. Perché sono passati settant’anni e ne parlo ancora, e qualche volta ancora sogno quei corridoi. Ci hanno fatto gli uffici del Comune, ma non ci sono più passata neanche per fare la carta d’identità.

Mio figlio era bravo a scuola, ma io volevo fosse il più bravo. E finché ho potuto l’ho seguito io, suo padre era sempre fuori. Gli ho insegnato quello che ricordavo, e per il resto gli compravo i quaderni delle “Mie Ricerche”, perché se c’era una domanda di una riga non volevo che desse una risposta di una riga. La capitale della Svizzera, Berna? Troppo semplice. Berna ha 130mila abitanti, sorge a 542 metri sul livello del mare, fu costruita su una penisola collinare circondata dal fiume Aar. Tutto quello che si può aggiungere, non importa se non l’ha chiesto nessuno. Io volevo arrivare lì, e non ho potuto. Ci arriverà lui, pensavo. Poi, sì, mi dispiace un po’ che si sia fermato a pochi esami dalla laurea, ma insomma, doveva lavorare, scrive sui giornali, ha anche vinto un premio letterario. Problemi non me ne ha mai dati, anche se fa fatica a capire perché sto chiusa qui. Dice che è un buco, che c’è una vita sola. Ma io qui mi sento sicura.

Mio figlio si è preoccupato, questa mattina. Dice che mi mangiavo le parole. “Davvero non hai bevuto?”, è arrivato a dirmi, ma si può? Io sto bene, sto benissimo. Sì, il fiato è corto, ma che c’entrano le sigarette? Ho smesso, ormai. Forse mangio disordinatamente, mangio quello che c’è, quando mi viene voglia. Sempre che sia voglia. Adesso faccio una cosa semplice, vado a stendermi sul letto e mi faccio una dormita. Smetto di pensare. Al collegio, alle suore, al corridoio buio, alla fatica, a tutto il tempo che è scivolato via. Tanto, ormai è andato. Chiudo gli occhi e stacco davvero. Stacco tutto. Che strano, addormentarsi così. Non mi era mai successo, prima.

Mio figlio dice che di vita ce n'è una sola. Bella scoperta, gli rispondo sempre.


(mt, 2020, buon compleanno...)


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