Vent'anni dopo (ma Dumas non c'entra)



Facevo il collaboratore a Stadio. Con un contratto di quei tempi là, oggi inimmaginabile: fisso mensile, il basket quotidiano e giravo anche l’Emilia scrivendo articoli da inviato. Una collaborazione speciale, di quelle che non esistono più; ma del resto avevo lasciato lì un posto da segretario di redazione, quando si era trattato di spostarsi a Roma. E qui, sfaterei una leggenda metropolitana che ancora mi tiro dietro. Dice: “Eh, ma tu non volevi andarci a Roma…” Sbagliato. Io feci l’azzardo, mi proposi per la redazione. Ci sarei andato eccome. Negoziammo, mi offrirono questa soluzione e gli lasciai in cambio un lavoro sicuro da impiegato, seppur a stretto contatto con la redazione, per fare quello che avrei sempre voluto fare e che già in parte facevo. Ma questa è un’altra storia.
Insomma, un giorno di quattro anni dopo, è il 1998, mi telefona Marco Montanari, che io conoscevo da “graduato” del Guerino. Mi racconta di questa iniziativa editoriale chiamata "Calcio 2000" che ha alle spalle il numero 1 e in produzione il 2, e mi propone di provare con loro. In via Donnini, nel famoso negozio, tre vetrine e due ambienti. E mi ricordo un particolare. Marco mi fa: “Sinceramente, credevo che tu a Stadio fossi assunto. E ti dico: a Bologna c’è un’aria strana, pare che la gente non ami essere assunta. Mi ero ripromesso di non cercare più nessuno, su piazza. Ma da Giuliano Musi ho saputo che là sei un collaboratore, seppure fisso e storico. Insomma, se vuoi provare, questo è l’indirizzo e noi siamo qui”.
Provai. Mettendo in chiaro che avrei avuto piacere di continuare a collaborare con Stadio. Restai in ufficio due giorni, poi Marco mi fece un discorso chiaro, dei suoi. “Per quanto riguarda me e Carlo Chiesa, se vuoi spostare la tua roba nei cassetti di Europress, sei dei nostri”. Per dirla con Buscaglione: ho pensato, beh, son piaciuto…
Quattro anni incredibili, e quel gioiello di Calcio 2000. Con Marino Bartoletti, il direttore, che ho messo nella lista degli amici. Con la infinita conoscenza di Carlo Chiesa e spalla a spalla, ma mai in competizione, con quell’aretino di cui racconta Marco, Francesco Caremani, passione enorme e spessore morale di altri tempi. E il piccolo, allora, Luca Aquino, che crebbe in fretta. E Raffaele Rosa, el venexian. I mitici Chicco Bolognini e Jaures Villani, con cui ancora collaboro da direttore di un bimestrale che è un gioiellino. Il grande Marco Bugamelli, che ascoltava Marino e metteva subito su carta le sue idee, aggiungendo creatività alla creatività. Gente che mi ha dato fiducia. Penso alle 20-pagine-20 di intervista a RobyBaggio arrivato a Bologna, con lui e la Torre Eiffel in copertina, viatico a quella convocazione mondiale su cui nessuno avrebbe scommesso un anno prima. Al “Lui è meglio di me” coi fratelli Inzaghi, allo speciale sui sessant’anni di Dino Zoff, di cui temevo i silenzi considerando l’intervista telefonica e invece scoprii grande affabulatore, per oltre un’ora. E Nakata che dava risposte di tre minuti che per il traduttore diventavano tre secondi, misteri del giapponese. E Marcio Amoroso, ragazzo d'oro e talento incredibile. E Zenga a raccontarmi in Versilia la sua avventura nel "soccer" d'oltreoceano. Hubner, Veron, Djorkaeff... Oh, e Giovannino Stroppa che per me quanto a talento resta uno dei più grandi.
Poi, poi... le nottate a chiudere le pagine dell’album delle figurine. E i lavori “altri” di Europress, come l’Enciclopedia Panini nella quale mi occupai dei fatti del mondo, raccontati anno per anno, infilandoci naturalmente cose mie come “On the Road” di Kerouac, “Il buio oltre la siepe” di Harper Lee, il discorso di Martin Luther King, la nascita del mito di Alì e le sfide tra Agostini e Bergamonti.
E naturalmente c’era lui. Marco Montanari. Quello che mi ha insegnato non è nemmeno misurabile. Non solo giornalismo, sarebbe riduttivo. Perché ha anche provato a farmi diventare più scafato in un ambiente che già allora stava diventando più cinico, più stretto, spesso più cialtrone. Senza la scuola di Calcio 2000 non avrei potuto accettare senza alcun timore la sfida di curare le pagine sportive di un quotidiano, fino a diventarne caposervizio e poi vederlo morire ingiustamente, senza poter fare nulla per impedirlo. Senza Calcio 2000 non avrei affrontato gli anni del “Domani di Bologna” a testa alta, creando qualcosa che speravo non si perdesse così.
Tant’è. Comunque sia andata, comunque vada, devo essere felice di quegli anni. Di Calcio 2000 e di tutta quella gente. Bella gente davvero. Pensare che sono passati vent’anni mi stupisce sempre un po’.

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