Lì, dove sono nato





E un giorno mi mandarono al piano di sopra. A Stadio. Dove c’era Patrizio Zenobi, a coordinare tutto. Dove c’era Giorgio Comaschi, che una sera mi disse “Faccio “Chi ha visto Biancaneve” al Dehon, mi serve uno che coordini le luci dello spettacolo. Vieni tu?”, ma io pensavo soprattutto a  correre a quei tempi. Eppure è lì che iniziai a trovare una strada. Con le serate in tipografia, col proto e le pagine da comporre sui banconi, e i tagli da fare col cutter. Con i primi pezzetti siglati sul podismo, che scrivevo per Raffaele Zanni, che un giorno mi definì “una bella promessa dell’atletica bolognese ed emiliana” in un articolo sulla Casaglia-San Luca, e così era, peccato non aver insistito anche solo per dargli ragione. Con l’offerta di Vittorio Piccioli, qualche anno dopo, che mi aprì le porte della segreteria di redazione. Che fu la prima, nel ’94, ad essere smantellata. Avevo un posto già riservato a Roma, ma mi sentivo maturo per fare quello strano salto e restai, per continuare a scriverne e a parlarne da Bologna, di tutto quello sport che mi scivolava intorno. Insieme a tutti quei ragazzi, perché eravamo ragazzi allora: Giuliano Riva, Roberto Zanni, Alessandra Giardini, Andrea Malaguti, tutti partiti da lì.


Ci passava tutto da Bologna, allora. Ci ho visto passare tutto quello che volevo. Golden Asta in piazza, Notte delle Stelle dell’atletica, Jonah Lomu, Gelindo Bordin sulle rampe di Casaglia. E poi le piccole grandi trasferte che mi confermavano la fiducia di chi mi ci mandava. I rumori “rubati” a Maranello, un giorno a capire più a fondo Minardi e la sua filosofia di vita, i tricolori d’atletica in Riviera, un po’ di Serie B, la Coppa Placci e il Giro di Romagna, la maratona nella terra di Dorando, le giornate che non finivano mai al Motor Show. E quel grande basket sotto casa, a raccontare campioni che in gran parte sono rimasti amici, ed è la cosa più bella.
Tutto quello che è successo dopo, a Calcio 2000 e al Domani, dentro i libri e forse anche oggi alla Virtus, è nato al secondo piano di via Tosarelli. Il poco che ho fatto crescere dopo, l’ho piantato lì.

Tutto finisce. E’ finito anche questo mio mestiere, per come l’ho imparato, con tutta la sua etica e i suoi maestri, e per come ho provato a metterlo in pratica. E’ finito, ieri, il mio Stadio. Ci ho vissuto quindici anni, imparando qualcosa che se anche non vale più, mi resta dentro.
L’ho già vissuta, la chiusura di qualcosa in cui credevo fino a metterci tutto me stesso. Non so nemmeno se l’ho somatizzata come speravo. Ogni tanto ritorna come un incubo. Non ho soluzioni o risposte, se non la certezza che restare curiosi e continuare a prenderla seriamente, questa professione ormai in mano a tutti, può servire a vedere ancora qualcosa all’orizzonte. Fosse anche un miraggio.



Commenti

Post popolari in questo blog

Bonatti, un grande italiano

Lacedelli, antieroe nella leggenda

Tempo di risorgere