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Visualizzazione dei post da giugno, 2013

Fiasconaro e quel record in bianco e nero

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Marcello Fiasconaro 27 giugno 1973, Arena di Milano 800 metri in 1:43:7 Nuovo record del mondo Avevo tredici anni. L’Arena era un catino in bianco e nero dentro la tv che trasmetteva il “Rischiatutto”, ma anche “Il Poeta e il Contadino” con due pazzi surreali e in anticipo sui tempi che si chiamavano Cochi e Renato. Era quella la mia tv, e l’atletica come altri sport (il pugilato di Benvenuti e Griffith appena qualche anno prima, quello del ritorno di Muhammad Ali sul ring, la pallanuoto della Pro Recco e di Eraldo Pizzo e Alberto Alberani, i documentari su Walter Bonatti) ci entravano ancora dalla porta principale. Avevo tredici anni e “March” piombò nella mia vita a grandi falcate. Il tempo di correre 800 metri più veloce di chiunque al mondo. Il tempo di far soffocare un campione come Jozef Plachy, che aveva provato a stargli dietro, fino a trovarsi con le gambe di marmo e la disperazione negli occhi. “March” veniva dal Sudafrica, aveva ovviamente una passionaccia ...

Alla grande!

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  Quello che ho più spesso sentito dire, sul mio nuovo lavoro, è “complimenti, sei rientrato nel giro alla grande” . Eppure, mica ero morto. Mi sento di dire, senza troppo vantare o millantare, neppure professionalmente. Ho lavorato molto da quando ha chiuso “Il Domani” (no, non mi riesce di chiamarlo con l’altro nome, I’m sorry…). Ho fatto nascere e crescere un giornale online insieme a un collega, scrivo sull’edizione italiana della più importante rivista internazionale di running, ho pubblicato due libri, dirigo una rivista di settore, ho diverse collaborazioni che mi gratificano, conduco una trasmissione radiofonica dove sono passati campioni di sport e di vita. Ma “sono rientrato nel giro alla grande” . Adesso. Non sarà che questa città è talmente chiusa in sé stessa che non sa più guardare fuori dalla finestra più piccola, quella del gabinetto? 

La tua prima luna

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Questa è la tua prima luna che vedi fuori di casa sapendo di non tornare. Oggi sei uscito e ti sei domandato ma dove sto andando e che cosa farò. Sei finito in un prato, mangiando una mela comprata passando dal centro, dove i tuoi amici parlavano di donne e di moto e tu ti fumavi la gioia di esser riuscito a fuggire di casa portandoti dietro soltanto la voglia di non tornare. Hai pochi soldi sai bene domani nessuno ti aiuta se hai voglia di chiedere aiuto vai in quella prigione dove ti hanno insegnato ad amare poche persone alla volta e non vuoi ritornare, vuoi amare più gente, vuoi vivere in mezzo alla gente. E mentre dormi su un prato, sentendo un po' freddo tu vedi passare una macchina verde della polizia, non ti vedono neanche, capisci di colpo che il loro discorso è diverso dal tuo. Claudio Rocchi 1951-2013

Note a margine

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Mio figlio. Un paio di libri che ho amato leggere più degli altri. Riletti. Un paio di libri che ho amato scrivere più degli altri. Mai riletti. Il personale sui 5000 metri. La gara dei 5000 metri, così perfetta. Le prove di poesia beat a sedici anni. La piazza bella piazza di allora. Qualche racconto inedito. Un paio di viaggi più indimenticabili di altri. Persone e sguardi che ho incontrato, fermandomi apposta. Una nuotata di chilometri in mare aperto. Poche cose da non perdere.

La casa di Roberto

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Volevo farlo da tempo. La casa di via Valeriani 39. Immaginarla animata con le voci e i rumori di allora, più di settanta anni fa. Cinque minuti soltanto, il tempo di pensare a Roberto, figlio di Arpad, e a Giovanni che ha aspettato per anni e anni di sapere dell'amico. Roberto che in quella foto era un bambino sveglio, e non è mai invecchiato. Non lo hanno lasciato invecchiare, dannati loro e quelli che dimenticano. Volevo farlo. Andava fatto. Grazie ancora, Matteo.