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Visualizzazione dei post da 2023

Lunga percorrenza

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  Alla fine c’è sempre una stazione che ti allontana da tutto. Fantasmi, cadute, buchi neri del vivere li vedi alle spalle, farsi piccoli fino a svanire. Allora ti convinci che è stata una commedia, un’inquietudine scritta con parole complicate. Ti siedi comodo, immergi i pensieri in un libro scritto male, recuperi un po’ di quel sonno perduto, perdi il filo dei discorsi sul tempo, sulle stagioni, sul mondo che non ti assomiglia più. Questione di ore, magari di giorni, di buio che avvolge. Ma ogni volta riapri gli occhi scoprendo che il punto di arrivo è lo stesso da cui sei partito. Solite case intorno, solito murale sulla massicciata, i tuoi errori in fila come traversine di quell’unico binario. Hai viaggiato senza mai andare via. Niente è cambiato, di diverso ci sei soltanto tu. Ma è tardi per riflettere, il sonno ti ha intontito, non saprai mai se da domani sarai migliore o peggiore. Avresti dovuto ascoltarla, quella voce quando ti avvertiva di s

Conto alla rovescia

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  Ogni vigilia, Ogni dannata vigilia. mi ritrovo sulla solita panchina mentre la notte fa il suo mestiere ad ascoltare l'anima che come al solito tira gli ultimi e farebbe pena, non fosse che è tutta farina del mio sacco e almeno di questi tempi bisogna essere generosi con sé stessi. Mai una volta che riesca a pensare alle facce belle. Passano solo quelle che mi hanno ferito, lasciato appassire, accoltellato alle spalle. E ancora le vedo ridere, o peggio ancora distogliere lo sguardo distrattamente Ma stavolta la notte è tiepida, tira libeccio, una faccenda strana, e si può anche dormire in un parco aspettando il Natale, immaginare che domani sarà la solita festa, sorrisi e pacche sulle spalle e la speranza di un'altra vita. Dove ho ancora vent'anni, per dire, e il futuro è arrogante certezza, poeti da scoprire, pisciate senza domani contro i muri e una stupida idea di rivoluzione senza armi. Insomma, la storia si ripete. Stanotte non

Mattinata

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  C’è sempre qualcosa, in chi non regge lo sguardo. Un’ombra. Vergogna, anche. Ma non per le azioni. Per quelle c’è sempre una giustificazione pronta. E’ proprio vergogna di sé. Del poco che è stato costruito. Di una passione che brucia e figli da vedere ad orari prefissati. Concepiti per salvare sentimenti naufragati. Di tutte le menzogne, di una faccia che invecchia male. Di una città da attraversare sempre di corsa in cerca di qualcosa che non c’è. In cerca di quello che non si è capaci di essere. C’è sempre qualcosa, in chi non regge lo sguardo. Quella sottile vigliaccheria del vivere.

Le luci della fiera

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Nonno Mario mi portava alla Fiera di Santa Lucia. Ci trovavo i moretti, e ci sono ancora. Impazzivo per quella spuma bianca che a pensarci oggi, boh, chissà dove la producono e come. Doveva essere l’anno 52, o 53, prima dell’Era dei Taglieri. Ero un bambino solitario, anche quando stavo in mezzo agli altri. E ridevo, e partecipavo, e tutti pensavano fossi tutta un’altra roba. E a me andava bene farglielo pensare. Ero un bambino vecchio. Sono un vecchio bambino. In fondo, cosa cambia? Ci torno ogni anno. Per ritrovare Mario, che alla fine era il padre che non incrociavo quasi mai. Anche se poi alla fine l’ho trovato e capito, ma è stato altro. Siamo stati ragazzi insieme. Forse bambini insieme, che altro non potevamo essere e ci andava bene così. Invece, Mario: le sue canzoni fischiate, la sua Parilla che avrei voluto rimettere in viaggio, l’odore del suo giaccone di pelle, il vino comprato a damigiane dal contadino di Castello, ogni anno sempre peggio anche se lui si metteva a

Notte di pioggia a Soho

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Ti ho amata per tanto tempo per tutti gli anni, per tutti i giorni, e ho pianto per ogni tuo problema, sorriso per i tuoi modi buffi. Insieme abbiamo visto crescere i nostri amici e li abbiamo visti mentre cadevano. Alcuni sono finiti in paradiso, alcuni sono caduti all’inferno. Mi sono riparato da un acquazzone gettandomi tra le tue braccia in una notte di pioggia a Soho. Il vento fischiava il suo incantesimo, ti ho cantato tutti i miei dolori, mi hai raccontato tutte le tue gioie. Che è successo a quella vecchia canzone, a tutte quelle ragazze, a quei ragazzi? A volte mi svegliavo al mattino, la “ginger lady” accanto al letto, avvolto in una coltre di silenzio sentivo la tua voce nella testa. Non sto cantando per il futuro, non sto sognando il passato, non sto parlando delle prime volte e non penso mai all’ultima. Ora la canzone è quasi finita. Forse non ne scopriremo mai il senso, ma c’è comunque una luce di fronte a me e tu sei la misura dei miei sogni

Casi inopinatamente simili

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  Alla puttana che si è presa le mie poesie Alcuni dicono che dovremmo tenere lontano il rancore personale dalla poesia, rimanere distaccati, e c’è del vero in questo, ma cristo: dodici poesie sparite e io non conservo le copie. E hai anche le mie foto, è opprimente. Cerchi di annientarmi come tutti gli altri? Perché non ti sei presa i miei soldi? Di solito scivolano fuori dai pantaloni sonnolenti e ubriachi, storditi nell’angolo. La prossima volta prendi il mio braccio sinistro o un biglietto da cinquanta ma non le mie poesie: non sono Shakespeare, ma prima o poi semplicemente non ce ne saranno più, nè distaccate né di altro tipo. Ci saranno sempre soldi e puttane e ubriaconi fino all’ultima bomba, ma come ha detto Dio, accavallando le gambe, vedo che ho creato fin troppi poeti ma non altrettanta poesia. Charles Bukowski

Happy B'Day

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  Qualcuno oggi compie gli anni. Succede. Che poi, cosa hanno di speciale certi giorni? Dipende dal punto di osservazione. Dipende dai casi. Come questo, per dire: adesso ha un altro significato. Adesso dà un unico piacere. Sapere che quel qualcuno invecchia. Oggi, domani, nel tempo. Come destino vuole. Sapere che insiste con quella camminata sghemba. Il passo ciondolante. Lo sguardo sempre meno espressivo. La banalità di frasi prese a prestito da qualche libro. Gli occhi piantati dentro il cellulare, come sempre. Le dita frenetiche a digitare nuovi messaggi. La ragnatela che fa nuove vittime. Più o meno innocenti. Ma poi, le rughe della vita. Tanti anni come i gatti, chissà col resto di cosa. Sapere che quel qualcuno oggi sorride di niente. Una condanna, a suo modo. La vita è questa. In fondo bisogna accontentarsi. Tra festoni malinconici, sorridere di quel nulla che si dibatte. Fino a riderne.

Nottetempo

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  Cos'è che ti fa paura? La notte, il futuro, il rumore del condizionatore, la luce rossa e bianca intermittente... Anche la zattera è dannatamente piccola, e non puoi abbandonarla. Ti ha salvato e ti imprigiona... Cos'è che ti fa paura? Tutto quello che vedi, che hai costruito, sei semplicemente tu. Dillo: per caso hai paura di quello che sei? Fine modulo  

Luna Park

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  Tutti questi miti che se ne vanno. Tutti i maestri di lettere e musica, di energie bruciate credendo al domani. Uno dopo l’altro si consumano, svaniscono, ti sbattono in faccia la verità della vita. Cosa pensavi di trovare in fondo alla salita? A vent’anni mica ci pensavi che è un contratto a termine, per giunta firmato da altri per te. Insomma, che puoi fare per  addolcire il percorso? Cammina, sopravvivi, di tanto in tanto cambia ritmo, alza il bavero del cappotto d’inverno, bevi con giudizio se mai ne hai avuto, regalati una vacanza una volta nella vita nel Paese dei Balocchi, continua a diffidare di questo vento gelido che ci rende straniero il vicino, a ripudiare la guerra, a fottertene del quieto vivere, a truccare se puoi il tachimetro dell’esistenza. Conservati acceso, regalati un altro giro di giostra. (mt)

Caduta libera

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  Abbagliante abbaglio, figura piccola e meschina. Sei stata l’errore più grande. Cinque anni a incrociare, e poi regalare, e dedicare e dedicarsi, fraintendere, scambiare il banale per unico - mea culpa -. E ancora rappezzare, ascoltare bugie, vigliaccherie. Cinque anni che non tornano, di questa vita che è un bene prezioso, da non sprecare così male, perché non si ripeterà. Per questo -solo per questo - mi solleva l'idea che ti avvolga un giorno la vergogna dell’inferno. Per questo. Ma poi.

Niente più parole. Niente più voglia

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  Mi chiedo cosa siano esattamente questi momenti. Come tu li stia vivendo. Da quando hai chiuso gli occhi e hai deciso di uscire di scena: basta mangiare, basta bere, e allora ti attaccano le flebo. Tutti i pensieri che devono averti riempito la testa, da quando qualcuno ha deciso che non potevi più finire i tuoi giorni a casa tua, tra quei muri, nel giardino a sentire il calore del sole, quando c’è. Quando strappi una pianta dalle radici, muore. Anche se per tutta la vita è stata una quercia. Non ho modo di cambiare le cose. Sai, pare che essere il figlio di tuo marito conti zero: nella struttura mi hanno detto di chiedere ai responsabili, ma di massima loro rispondono a chi “ha stipulato il contratto”. Ovviamente, non io: non lo avrei mai fatto. Nel dolore, mi ha fatto sorridere: sei come un’auto usata, una vecchia credenza. O una casa da vendere, guarda un   po’ che coincidenza. Quando mio padre stava per andarsene, proprio pochi giorni prima, quando ormai parlava poco o niente,

Nel vento

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  Devo averne ancora uno in cantina. Il nonno mi portava alla spiaggia grande e io lo liberavo nel cielo. Piccolo io e piccolo anche lui, taglio secco di plastica arancione, un rombo squinternato, una coda di nylon azzurro sbiadita. Poca cosa, ma volava, accidenti se volava, e io davo filo e ancora filo ai sogni, immaginavo di essere lassù a scrutare l’orizzonte, immaginavo che stavolta là in fondo avrei visto arrivare la Giulia di mio padre, e che poi mi avrebbe portato in giro ad ascoltare la musica buttata dentro al mangiadischi rosso. Deve esserci ancora, da qualche parte. Non butto mai niente, lo so, è un’abitudine stupida perché poi tutto scolorisce, e anche gli oggetti fanno la fine delle passioni, e rivederli non è mai un bello spettacolo. Ma giuro, stavolta - avesse perso anche tutto il colore - lo faccio salire altissimo, e quando arrivo alla fine del filo, mollo la presa, lo lascio andare libero, e stavolta immagino di essere là sopra, di vola

Idee secondarie

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  Amico, per farti piacere dirò che vivo benone scaldandomi al termosifone - diciotto gradi costanti - e allegri vicini in vestaglia visibili come mobilia. Funziona tutto a dovere ideologia e pantofole un dente da incapsulare e i centotrenta dell’Alfa. Vacanze già programmate con cinepresa e canotto, i figli crescono bene dicono stronzo al telefono. Tito Balestra

Novembre

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  Ci sono ancora le rondini, e fa strano. Lo so che non va bene, che è un altro segnale di questo mondo sempre più capovolto, che si chiude in sé stesso e dimentica le persone, le abbandona in strada. Dovrei preoccuparmi di tutto questo gridare, cieco e volgare, magari anche di me. Di un’anca che scricchiola anche se insisto a correre, di un dolore nel buio. Ma ci sono ancora le rondini, e conoscono l’arte del volo. Vorresti invitarle a partire, che si salvino dal freddo almeno loro. Ma ti incanti a guardarle e ti vengono solo pensieri banali: che novembre è strano, che tutto è diventato incomprensibile. Che saper volare è un lusso meraviglioso. Non c’è salvezza in un bicchiere, in un libro, in una fuga. Niente più sogni da colorare. Lo sai che tanto restano sogni, che trasformare la gente normale in gente speciale ormai costa fatica. La salvezza è soltanto dentro. Un leggero declinare che non fa rumore, una fiammata di calore che ti avvolge, la serenità del niente. Il volo delle

Verso dove

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  A salvarmi dal dolore. A salvarmi dalle voragini. A salvarmi dal niente intorno. A salvarmi dalle diagnosi. A salvarmi dalle recidive. A salvarmi dai luminari e dalle loro parcelle. A salvarmi dalla fottuta paura. A salvarmi dalla guerra. A salvarmi dai guerrafondai. A salvarmi dagli opinionisti. A salvarmi dalle immagini della tv. A salvarmi da chi non ha rimorsi. A salvarmi da chi dimentica. A salvarmi dalla gente brutta. A salvarmi da quella appena appena accettabile. A salvarmi da chi finge di sorprendersi. A salvarmi da chi finge di spaventarsi. A salvarmi da chi salva solo sé stesso. A salvarmi da chi affonda il coltello. A salvarmi da chi lo fa a tradimento. A salvarmi da chi non ha vergogna. A salvarmi dagli psicolabili. A salvarmi dagli irrisolti. A salvarmi dal tempo buttato via. A salvarmi da certi medici fuori servizio. A salvarmi da ogni tipo di anestetico. A salvarmi da chi invecchia male. A salvarmi da chi legge poeti improponibili. A salv

Animali del bosco

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  L’orso e la donnola non li vedevi bene insieme. E infatti. Però l’orso era innamorato perso, tendeva a rimuovere qualunque ostacolo. La donnola no, lei aveva solo “bisogno di darsi”, così spiegava, ma poi era soltanto bisogno di stare al centro, abituata com’era fin da piccola ad essere dimenticata negli angoli. Così l’orso si bendò gli occhi e ci riprovò, e la soluzione era procreare un’altra volta, perché sai come funziona il ragionamento: quell’esserino è cosa mia, e significa che lo è anche lei. La donnola. Che però proprio sul più bello decise di regalarsi una passione nuova e coloratissima fingendo fosse amore, e accidenti nessuno era altrettanto bravo a fingere. Adesso hanno preso sentieri diversi, ma a turno stanno davanti a quel lavoro nato per sbaglio e rimasto incompiuto e nemmeno si domandano dov’è stato l’errore. Lui non è bravo a farsi domande, lei è speciale nel voltare pagina. Lui si butta sul lavoro in mezzo alla solita boscaglia,

Le case di Jack. La voce di Jack

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  «Spero sia vero che un uomo può morire e non solo vivere negli altri ma dargli la vita, e non solo la vita, ma quella grande coscienza della vita» . (Jack Kerouac, 12 marzo 1922-21 ottobre 1969) Musica da: Jack Kerouac Reads On the Road  (1999 )

Il dovere di ricordare

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Alla fine anche i social hanno la loro utilità. Fai caso a chi è stato cancellato. Al coltello piantato nella schiena. A tutti i segreti del prima al “non immagina niente”. Fai caso a chi ha cancellato. Per sbiancare la coscienza. Per non lasciare traccia. Per ripulirsi l’anima. Lì non ci trovi un senso, ma ci trovi la risposta. Scritta nel silenzio, nella vigliaccheria. Una firma indelebile, occhi che tutti riconoscono.  

Dopocena

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  Si è seduto davanti al computer ha vagato senza meta sui social incrociando una discussione sulla guerra. Ha detto la sua, facendo il tifo come sempre, perché andare alle radici è diventato un esercizio superfluo, forse proprio una fatica inutile. Poi ha fatto il solito giro di controllo, niente da segnalare dalla telecamera puntata sul giardino, i bimbi addormentati nella stanza dalle pareti azzurre, le tazze già sul tavolo per la colazione del mattino. Non ha proprio notato che i confini della comfort zone si stanno restringendo. Adesso se ne sta lì, seduto, avvolto dal buio della notte. Stranamente non riesce a prendere sonno. (mt)

La nostra meravigliosa estate

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Quello che fai e che resta. Il meglio che ti sia capitato. Una mano di calce su tutto il peggio. Come nascere una seconda volta. E si va avanti.

Incroci

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  Vedere poi che qualcuno -qualcuno che ti ha aperto ferite - si trascina con quel solito passo sgraziato, senz’anima, vederlo sfiorire in un viso segnato dal tempo o più probabilmente dall’inutilità del passaggio su questa vita, in uno sguardo senza luce, cattivo, come in lotta perenne con tutto lo sporco della coscienza. Ecco, ma allora vedere tutto questo, ti cambia la vita? Non ti inaridisce gli angoli del cuore? Eppure no, bisogna davvero essere sinceri fino in fondo. Dirlo una buona volta che in fondo appaga leggere domande irrisolte su facce irrisolte, capaci solo di diffondere dolore. Poi, certo, si va avanti. La vita ha bisogno di angoli nuovi da scoprire. Ha bisogno di incontri, di gente migliore o peggiore. No. Peggiore è impossibile. Al massimo così: codarda, confusa nel tempo e dal tempo, decisamente invecchiata male.

Credere ancora

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  Credere ancora. Nonostante il dolore, nonostante le ferite, nonostante le persone sbagliate Credere ancora che la cattiva coscienza sia un errore di percorso, che gli opportunisti siano soltanto anime smarrite. Credere ancora è un esercizio lieve, sintomo, mi dicono di ingenuità o fanciullezza eterna. Eppure resta l’unico antidoto alla gente, all’indifferenza, al male. L’unico scoglio dietro cui ripararsi dagli schiaffi della vita.

Valeria

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Canzoni futili per sentimenti inutili Valeria cerca me, mi legge dentro gli occhi, dice che c’è una luce strana come in fondo a una prigione Valeria corre qui, vuole soltanto perdersi, cammina nella sera e incrocia gli sguardi che le servono Valeria già lo sa che poi dovrà scappare, non c’è capanna o cuore dentro chi non sa amare Valeria dice: sai, io ti farò del male. Bisogna sempre credere a chi non sa il dolore Ora Valeria è qui, su queste stesse strade adesso le percorre come un ladro dentro un’ombra Chissà che cosa avrà ancora da nascondere, chissà se può sentire il male che diffonde Però Valeria corre, parla di leggerezza non le importa sapere chi gliela pagherà Valeria ha un nuovo nido Presto le starà stretto. Diventerà straniero anche il prossimo letto Valeria fa il dottore salva vite se capita, ma solo se è di turno. Sulle altre non fa pratica L’anima è un posto strano, per chi sa coltivarla, Valeria non ha tempo, nemmeno per cer

Cambiamento

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  “E mentre attendi il cambiamento, alla fine cambi tu” Verissimo. Di solito, in peggio. Cioè, poi, cambi… diciamo che invecchi.

Delete

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  Forse c’è davvero un po’ di me che muore - sai, come quando il rogo nella casa in campagna ha mandato in polvere tutti i ricordi, pur dovendo ammettere che non ho mai potuto permettermi una casa in campagna. Di sicuro appena schiaccio questo tasto - woosh – dico addio a certi gesti nobili, a un intero libro di sentimentalismi, a quel finale vigliacco e maledettamente sporco. Ma a volte morire è un esercizio utile, soprattutto se nei paraggi c’è qualche profeta in tour promozionale pronto a resuscitarti. Si muore per rinascere, in un modo o nell’altro. E’ sempre roba che ti inonda di likes. Insomma, non è il caso di girarci troppo intorno. Spingo qui, giusto? Fatto. Foglio bianco. Si riparte. Magari domani. (mt)

Speranze

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  La poesia non lo sa: il condizionatore inutilizzato d’inverno è come le mie speranze Un po’ dentro, un po’ fuori, verdi su ruota bianca, buone solo a gettare un’ombra lunga nella livida luce della strada. (Jack Kerouac)

Professionista

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  Ha il nome di un fiore. Vive sul fiume più lungo d’Italia o almeno su ciò che lo ricorda. Non trovava più il tempo ma continuava a chiederlo e adesso eccome se lo trova, anche nei giorni di festa. Diceva cose come abbi pazienza stiamo leggeri dobbiamo viverci dovremo dire che tutto è cominciato dopo. Insomma sapeva calcolare e soprattutto fingere. Del resto ha sempre pensato di essere più furba della gente che le stava intorno, e la gente capiva tutto sapeva tutto e la lasciava pensare. Ogni tanto cambia foto sul profilo ed è come resettare tutto, rimettersi in gioco, un altro giro di giostra, come essere la vetrinista di sé stessa. Ha il nome di un fiore e l’odore dell’erba selvatica. Il suo mestiere è addormentare e possibilmente risvegliare, quando è di turno. La sua medaglia è salvare la gente. Ma fuori orario la gente la ammazza senza nemmeno pensarci, girando pagina e buttandosi in qualche tipo di vita nuova, lasciando solo distruzione, lasci

Ti affligge la verità

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  Ti affligge la verità di molti luoghi comuni, invecchi di luoghi comuni lodando la verità. Come un qualunque bambino che lecca il proprio gelato credi che il mondo sia grande un metro quadrato. (Tito Balestra) Ph.:Canguro

Due parole

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  Poi scopri che esistono differenze. Tra chi sente addosso il contenuto di quelle due parole e chi le pronuncia per abitudine. La noia, il bisogno di curiosare restando in superficie. La falsità dell’esistere. Passerà del tempo. Mesi, anni, chissà. Ma sarà tutto chiaro, un giorno. Il bene prezioso di una frase che arriva dal cuore. La sua unicità.

Prospettive

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  Guardate quell’anatra sgraziata. Misuratele il passo. Vedete come ciondola, come si trascina indolente, chiamando profondità la sua indifferenza? Eppure - provate ad ascoltarla - parla di leggerezza, di planare dall’alto, proprio lei che non ha mai imparato l’arte del volo. Attraverserà la vita credendosi aquila, contenta del suo misero stagno. Si specchierà nella melma che la avvolge scambiandola per acqua pura, cristallina. Ma vista da fuori resterà quello che è. Col suo goffo incedere più ridicolo che tragico, convinta che ci sia un mondo in quel cortile senza colori.

Impronte

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  Cosa ne faremo un giorno di tutti questi tatuaggi che di ricordi ci riempiono le braccia e ci percorrono il petto di orgogli col tempo decaduti? Come li guarderemo quando stinti saranno e inframezzati da macchie marroni di cellule smorte abbarbicate alle pelle avvizzita? Tenderemo forse i muscoli in un impeto di rimembranza? Respireremo a fondo trattenendo la panza?   Andrea Mitri  

Estiva

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  Cocktail deprimenti e selfie sulla spiaggia. Sorrisi vuoti in favore di camera. Qualche trenino. Tatuaggi e creme solari. Musica di merda. Foto di piatti di pesce, per metà già consumati. Felicità a pagamento. Risate senza fondamenta. Dissertazioni: le scelte del Ct, il nuovo calcio d’Arabia. Stracci che volano sulla terra degli alluvionati. Alluvionati che attendono risposte. Città rovente di afa e silenzio. Solitudini tra quattro mura, senza vista mare. Ferragosto è una festa da lasciare alle spalle. Presto, prima che si può.

Mi parli ancora

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  A Nino Pedretti, che oggi compie un secolo Adesso che ho imparato a leggere il mondo dentro un bicchiere di rosso dimenticato su una tovaglia ruvida, a infilarmi nella pioggia senza ombrello, a sfogliare libri di storia nella corteccia degli alberi, a respirare il profumo selvatico della notte, ad ascoltare le ragioni del cane randagio che assale per paura. Adesso che non ho rimpianti né lamenti da spendere, che mi tengo strette quelle poche frasi appuntate dentro un quaderno logoro, e non le butto più, pensando che chissà, a qualcuno forse un giorno serviranno, se non altro serviranno a me per ricordare chi sono, magari per illudermi di avere tutto chiaro, il percorso, il traguardo, la strada su cui sto camminando. Adesso che sono sempre il bambino di quella foto virato seppia, orgoglioso di stare tra le braccia di mio padre, Nino, adesso ti dico grazie, che a cent’anni mi chiami ancora ogni volta, e mi parli, e la voce è forte, la vita una tavol

Neociclisti

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  Anche i vermi pedalano. Hanno andatura goffa e appaiono sciupati, invecchiati. Ma sarà il caldo, sarà l’afa che rallenta l’azione. I pensieri sono già poca roba, ma lì l’estate non c’entra, è la testa che sbanda. Da sempre, direi. Anche i vermi pedalano. Si impara sempre qualcosa, pure dai brutti incontri.

Camminando

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  Ho ancora vent’anni. Ho sempre vent’anni. Nessun segreto: basta dare il giusto peso al tempo che passa. Magari non corri più un cinquemila sotto i quindici minuti, magari non credi più che "la fantasia cambierà il mondo", perché hai capito che sono troppi a non volerlo. Ma non sono mai stato così pieno di progetti, e per questo ho tante persone da ringraziare, comprese quelle che mi hanno risvegliato dai sogni, comprese quelle che hanno piantato coltelli nella schiena quando ero distratto. Del resto, se ti distrai un attimo è sempre colpa d’Alfredo. Ho scritto una ventina di libri che finiranno al macero, e amen: mentre li scrivevo ero dentro a quelle storie, una volta finiti non li ho più riletti nemmeno io. Avevo altro da leggere. Ho scritto migliaia di articoli, centinaia di comunicati, qualche sceneggiatura. Sono uno dei quattro "ragazzacci" di BOhaus Generation, e questo mi colora la vita. Agli amici resto fedele. Chiedere a Fabio, che è stato il prim

Ad alta voce

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  Quarant’anni che cerchiamo in ogni pietra, in ogni crepa, nelle linee sui muri, nelle macchie sui vetri. Nelle ombre che prima erano corpi, nei silenzi che prima erano vita. Quarant’anni che cerchiamo perché in ogni maledetto buco può rintanarsi una risposta, e le risposte non chiudono le ferite ma aiutano, almeno, a sopravvivere. Quarant’anni che sappiamo quello che ci hanno nascosto, che ci facciamo forza, che contiamo i caduti di una guerra fatta di bugìe, rabbia e dolore, una guerra indegna, una guerra dove il nemico non ha nemmeno il coraggio di guardarti in faccia. Quarant’anni per una verità è sempre troppo tempo, sempre troppo tardi. Scrivetelo adesso, scriviamolo, nero su bianco, chi, come, perché se mai esiste un perché, scrivetelo e non aspettatevi che noi si smetta di gridare, perché solo questo ci è rimasto: gridare, gridare, gridare, per tenere accesa la memoria. Che non ci sarà più pace, e allora ci sia almeno il ricordo, ci sia s

Appunti sparsi

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  Lascia andare le persone che non sono pronte ad amarti. Questa è la cosa più difficile che dovrai fare nella tua vita, ma sarà anche la cosa più importante. Smettila di intessere relazioni e conversazioni complicate con persone che non vogliono cambiare. …Se sei cancellato, insultato, dimenticato o ignorato dalle persone a cui dai il tuo tempo, non fai un favore a nessuno, continuando a offrire la tua energia e la tua vita. La verità è che non sei per tutti e non tutti sono per te. … Più resti coinvolto con persone che ti usano come cuscino, come un’opzione di secondo piano o un terapista per la guarigione emotiva, più tempo ti allontani dalle cose che ti stanno davvero a cuore. Non sei responsabile di salvare nessuno. Non sei responsabile di convincerli a migliorare. Non è il tuo lavoro esistere per le persone e dar loro la vita. Il tuo unico obbligo è capire che sei il padrone del tuo destino, ed accettare l’amore che pensi di meritare. Decidi che meriti amicizia vera, impegno. Ch

Anniversario

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  Non ti ho fattogli auguri di buon onomastico, tre giorni fa. Non era da noi farceli, e infatti da “cinno” un po’ ne soffrivo. Ma come, mi chiedevo guardando i miei compagni, questi oggi stanno a casa da scuola grazie al mio santo protettore, grazie al mio nome, e nemmeno ringraziano? Poi mi hanno spiegato che tutto dipendeva da cose più importanti: il mondo che tornava a respirare, i partigiani, l’Ammerica più vicina, la libertà. Comunque, ho aspettato oggi. E’ il giorno in cui, da sempre, ripenso alla tua vita. Anche allo spreco di una intelligenza viva che, per timidezza o fatica, hai deciso di sbriciolare, rinchiudendoti tra quattro mura. Alle tue solitudini, a certe rabbie che non hai mai esternato. All’impazienza che mi prendeva quando pensavo che così ti buttavi via, che alla fine diventava spesso insofferenza. Siamo stati vicini e lontani, per dirla col bravo presentatore. Ma siamo fatti della stessa pasta, e più passa il tempo più ti assomiglio. Nei silenzi, nelle fughe da