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Visualizzazione dei post da dicembre, 2021

Leggerezza (ancora sul Dottor Stranamore)

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“L’ultima ha a che fare con la leggerezza…” “Di cosa stai parlando?” “Dai, non dire che non ti interessa…” “Ancora il Dottor Stranamore?” “Chi altri? Adesso parla di leggerezza, sai?” “Ah, bene. E che dice?” “Che leggerezza non significa superficialità” “Uh, abbiamo scoperto l’America… Certo che è così” “A me sembra che parli per ascoltarsi mentre lo dice” “A parte la banalità della frase, non sei d’accordo?” “E’ tutta la storia che non funziona. E’ molto più complicato” “Che altro dice?” “Che leggerezza significa planare dall’alto, per liberarsi dai macigni della coscienza. A grandi linee, eh…” “Mamma mia, deve aver scartato qualche cioccolatino, ultimamente. Comunque, sente il bisogno di liberarsi dai macigni. Evidentemente ci sono” “Per planare, bisogna saper volare” “Non è il suo caso?” “Non è il caso di chi con i macigni ha familiarità. Di chi invoca leggerezza dopo averne avuta molta in dono, senza saperla apprezzare. Di chi per primo ha riempito quella leggerezza

Fotografia

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  Ho sempre con me questa foto, i miei su uno stradello di campagna, la Topolino blu comprata a rate coi primi soldi tirati su dal veterinario girando allevamenti, a controllare vacche gravide e brucellosi dei suini. Lui apre la portiera controvento e fa per scendere, faccia alla Trintignant nel Sorpasso, per capirci, il bravo ragazzo che ha voglia di regalarsi un’emozione. Lei ci prova, a sorridere, ma non ce la fa proprio a cancellare quell’espressione malinconica che si è portata dietro tutta la vita. Oh madre, come avrei voluto vederti consumare quella tua mente accesa sui libri, tu che mi hai regalato la memoria, la curiosità che non hai potuto soddisfare. Come avrei voluto che non ti spegnessi su quella sedia di legno, i gomiti appoggiati sul tavolo della cucina, a combattere con i colpi di sonno, la televisione accesa di parole e risate inascoltate. Ho sempre con me questa foto, di quando non ero che un’idea. Invecchiamo insieme. La tenevo su una

Questo giorno...

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  E ci svegliamo sognando le solite cose da bravi ragazzi. Un mondo così. Dove smettiamo di dare cinque mandate alla porta di casa. Dove ci ricordiamo di Berlino, e smettiamo di tirar su nuovi muri. Dove usciamo al largo perché c’è un barcone alla deriva, e portiamo coperte e sorrisi. Dove lavoriamo ogni giorno perché barconi non ne partano più. Dove i pacchi andiamo a prenderceli, e nessuno corre tra gli scaffali con un cronometro al posto del cervello, per consegnarceli nell’androne di casa. Dove fermiamo i carri armati con un fiore. Dove il pensiero diventa così potente da mettere paura ai potenti. Dove la vita va, ma si ferma ogni volta che ha voglia di godersi un tramonto, perché davanti a un tramonto si può anche piangere di felicità. E poi riparte, perché c’è ancora da vedere il mare. Dove giriamo senza scorta, perché a nessuno passa per la testa di pugnalarci alle spalle. Dove la gente è bella, dentro più ancora che fuori. Soprattutto quella che sembrava bella ovunq

Migliori

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  Balle. Non ci si riesce, ad essere migliori. Meno che mai a comando, un preciso giorno dell’anno, tirando su un carrozzone nel quale nessuno crede più davvero. Sei migliore se hai un’anima, se il cuore spinge ancora nel petto per un’emozione, uno sguardo, anche solo per un ricordo. Sei migliore se fai tesoro di tutta la tua memoria, se la coltivi, se certi momenti che hai vissuto non li fai a brandelli con una rabbia incomprensibile. Davvero, non serve parlare di leggerezza, sentirti capace di planare dall’alto sulle cose. Non sai volare, fattene una ragione, e i macigni che ti togli di dosso li usi per schiacciare la vita intorno. Balle. Non sarà un giorno di festa a salvarti, a renderti migliore. Quello che sei lo mostri a Natale, ad ogni festa comandata, ogni giorno che bruci o sopravvivi. Trova gente che ti assomigli, i tuoi sorrisi sembreranno sinceri nel vostro club esclusivo. E troverete un sorriso rassicurante stampato sul vostro Natale senza volt

Percorso

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  “Non mi veniva la parola…” “Sei uno che recrimina, lo sai?” “Chi lo dice?” “Me l’hanno detto” “Quindi, chi è che avrebbe subito un lavaggio del cervello?” “Dimmelo tu” “Non io… ma ho qualche sospetto, diciamo così” “Perché?” “Essere sinceri non è recriminare. Hai qualcosa tra le mani, qualcosa che non raccoglierai più, almeno non in questi termini. Dire che qualcosa è stato unico, diverso da prima e irripetibile dopo, non è recriminare. Ma ci sta tutto: anche che chi controlla il dolore per mestiere, non si renda conto del dolore che provoca nella vita” “Non si renda conto?” “O non se ne interessi più di tanto, non so. Il risultato non cambia” “E questo ti aiuta a trovare la parola?” “Alla fine sì. Ogni percorso ha un suo finale, e una parola che lo illustra perfettamente” “Come è stato questo percorso?” “Faticoso. Ma mi ci sono impegnato” “E il finale?” “Sudicio”. “E’ la parola?” “Ne servono altre?”

Alla salute

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  Ho intenzione di prendermi tutto il tempo del mondo, valutare ogni cosa per bene, anche i miracoli. E di stare in guardia, se possibile più attento, più guardingo, contro quelli che peccano contro di me, contro quelli che mi fregano la vodka, contro quelli che mi fanno male. Raymond Carver, estratto di “Alla salute”  

Il freddo, come arriva, poi va via...

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  “Ieri sei stato felice?” “Sai quanto dura, la felicità?” “C’erano tutti i tuoi amici, la gente a cui vuoi bene, che crede in te” “Sì, questo è vero. E’ il senso di quello che faccio. Lasciare un buon ricordo di me” “Come diceva Carver: essere amato su questa terra” “E cercare di non cadere nelle trappole della vita. Sai quali sono?” “Sono tante…” “Sono poche, invece. La falsità. L’arroganza. L’incapacità di guardare negli occhi quando si fa del male” “Dai, che ci voleva una serata così” “Questo è stato il lavoro più difficile. Fatto giorno dopo giorno con la fatica addosso, col fiato corto. E la fatica non è nello scrivere, lo sai” “Lo so. Scriveresti sui muri…” “La fatica è nella vita. Negli angoli ciechi, dove ti aspetta chi ti vuole pugnalare alle spalle. E’ vedere la gente cambiare, o peggio scoprire che è esattamente come ti si mostra all’improvviso. Che ti ha sfruttato, che ha giocato col tuo tempo…” “E ieri sei uscito dalla tua fatica in mezzo a quasi trecento amic

Elenco

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  Per fine anno mi ero dato un compito davvero semplice. Ho scritto su un foglio di bloc-notes a quadretti pochi nomi, ma tutti inaspettati. Quelli di chi ha fatto male, troppo male, a questo cuore che ancora non sa fingere e non accetta la finzione. Ma tanto a fine anno quel foglio non ci arriva. Al primo cestino dei rifiuti, all’angolo della via, l’ho fatto a pezzi e l’ho gettato. Del resto è lì che devono stare quei nomi, uno in fila all’altro. Tra i rifiuti. Non serve annotare tradimenti, elencare coscienze sporche: dietro ognuno c’è uno sguardo, una voce che si è fatta arrogante, su ognuno c’è un fardello, un peso che nemmeno sentirà ma si vedrà sempre da lontano, come una macchia di dolore, come una condanna.

Dal letame nascono i fiori

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  Il letame è nella vita. Nelle persone in cui credi e in cui cadi. Nella falsità, nei rapporti in cui hai speso tutto te stesso, e improvvisamente ti accorgi che hai buttato via il tuo tempo. Che hanno giocato con il tuo tempo. Nello schifo di chi passa la vita a colpire a tradimento, e poi ad autoassolversi. Nella gente che prima di convincere te, deve convincere sé stessa di essere nel giusto. In chi ti dice “ma guarda che l’errore sei tu, io non ho sbagliato niente” Nel fango da cui cerca, penosamente, di liberarsi. Nell’ingratitudine. Nell’arroganza. Nella pochezza delle vite banali in cui si specchia. Poi passi una giornata diversa. Hai costruito qualcosa. Ci sono amici che dicono che hai lasciato un segno importante. Basta, allora: cerca di essere contento, anche se non potrai più essere felice. Suona la tua armonica, appena puoi. Fosse l’unica cosa che sai fare, scrivi. Usa il cuore ogni volta che lo senti chiamare. Non rinunciare a niente. Non fare calcoli, co

Disperso

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  Improvvisamente si accorse di aver seguito troppo a lungo una stella sbagliata. Sentì addosso tutta la stanchezza del viaggio, e tutto l’affanno nel petto. Le frasi che aveva speso, tutte, stavano lì, accartocciate in un cestino dei rifiuti, nel verde umido del parco. Trovò una panchina, fece fatica anche a sedersi, provò a scrollarsi di dosso tutto quel dolore, ma sapeva bene che certe ferite restano aperte. Non gli restava molto da fare: attese che il sole andasse giù e lasciò che quella nebbia della sera gli confondesse anche i ricordi. Pensò che si era perso, che forse qualcuno si sarebbe sorpreso non vedendolo arrivare, ma poi se ne sarebbero fatti una ragione, che di mirra e incenso non si vive. Del resto non aveva mai chiesto di essere un re, non voleva nemmeno trovare la strada, gli sarebbe bastato non essere dimenticato là dove aveva lasciato qualcosa della sua vita. (mt)

Richiamo

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  Ma poi cosa vuol dire credere, non credere? Di fatto si sparisce dai radar, e resta il poco che resta, appunti sparsi, progetti mai conclusi, anzi proprio sconclusionati. Sai, quelli che ci passi la vita sopra dicendo “uno di questi giorni parto, l’isola è sempre là, le onde le girano intorno ma lei non si muove”. E allora sai come la penso, il senso è questo, di qualcosa che si è perduto. Eppure - adesso ti faccio ridere - è successo che ho sentito la voce, come un sussurro, nemmeno ho capito quello che hai detto. Non posso sbagliare, l’ho sentita bene. Allora mi sono voltato e sulla mensola c’era quella foto, sarà lì da anni e non ci facevo nemmeno più caso. Ho pensato che mi avessi chiamato, e anche se la vita resta un mistero, beh, ti ho salutato. Come un cretino, da solo, nello studio, mentre fuori c’era tutto il buio dell’autunno, quello che ci fa sentire sempre in errore. (mt)