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Visualizzazione dei post da settembre, 2021

Karma

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  Eppure è vero, che tutto torna. Chi ha cuore, riceverà calore. Chi è arido, coltiverà solitudine. Chi vive specchiandosi, finirà col fissare un muro spoglio. Chi vive irrisolto, masticherà tormento. Chi si autoassolve, verrà condannato ad esistere. Peccato non avere tutto questo tempo, per vedere le cose che in qualche modo vanno sempre al loro posto. Non ci saremo perché il tempo va troppo veloce, e certe caselle non hanno fretta di sistemarsi al posto giusto. Ma è confortante sapere che andrà così.

Liberi e dimenticati

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  Io ne ho viste cose, e sempre meno ne vedrò. E tutte queste storie saranno un cassetto da vuotare, una seccatura per chi dovrà farlo. Non resta che cercare di vivere liberi, tanto indimenticabili non lo saremo mai.

Che te ne fai di un cuore grande?

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  Sconsigliato avere un cuore grande. Bersaglio facile anche per principianti o apprendisti sciacalli. Fate cosi: sezionate l'oggetto, magari con l'aiuto di un medico, poi fatene funzionare una parte, diciamo un decimo, riponete le altre in comodi contenitori, una scorta buona per i periodi di magra. Sì, un decimo può bastare per dare alla gente quello che si aspetta, gocce di affetto e una spruzzatina di compassione. Inutile spendersi oltre, e il vantaggio è che riuscire a colpirvi diventerà una faccenda piuttosto complicata. E con quello che resta, le parti conservate dico, ci potrete attraversare un'intera vita senza scosse, senza quasi un filo di vento o un'emozione in cui perdersi. Come va di moda da queste parti. (mt)

Dialogo sul Dottor Stranamore

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  “E un giorno, quando mi tornerà la voglia, ti racconterò del Dottor Stranamore..” “Non ci avevano fatto anche un film?” “Sì, ma quella è un’altra storia. Drammatica” “Questa non lo è?” “Questa è triste, sporca, cattiva. In un certo senso, banale” “I dottori di solito salvano la gente…” “Tecnicamente sono spesso impeccabili, lo so” “Ma?:..” “Ma, niente. Succede che poi si tolgano il camice e vadano a casa” “Il Dottor Stranamore ce l’ha, una casa?” “Naturalmente sì. L’ha riempita di specchi. Così vede soltanto sé stesso. Le sue fatiche, le sue malattie, le sue necessità. E inizia a farci i conti. Sì, lo dice spesso: ci farò i conti…” “E che altro dice?” “Cose in cui non crede. E poi ha un problema notevole…” “Tipo?” “Crede di bastare a sé stesso, ma ha sempre bisogno di appoggiarsi, di aprire di corsa nuove storie” “Non pensa?” “O pensa troppo, chi lo sa…” “Lasciami indovinare. E’ qualcuno che ti ha deluso, che rispettavi e che oggi disprezzi…” “Il disprezzo è fatica.

La poesia che non ho scritto

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  La poesia che non ho scritto sta dentro a un armadietto con la combinazione, sotto vestiti di ricambio, una vecchia busta paga e il contratto di una compagnia telefonica. Scaduto. La poesia che non ho scritto non ha voce per farsi sentire, non ha parole abbastanza forti, mai stata una priorità, per capirci. La poesia che non ho scritto resterà sepolta per anni sotto le macerie di una vita e poi magari scivolerà fuori all’improvviso – succede sempre così - e come sarebbe stata attuale se solo l’avessimo ritrovata ieri. Perché è semplice, la poesia che non ho scritto sta lì, nero su bianco da sempre, fa un rumore assordante solo dentro  al mio petto, e come potevo pensare che venisse notata, senza due righe di sottolineatura, una copertina fatta a modo, un segnalibro colorato, qualcosa accidenti, qualcosa  che chiamasse attenzione, che dicesse qui dentro c’è tutto, tutto quello che ho incontrato lungo il cammino, questo sono io e sto gridando

Accompagnare...

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  Chi ti dirà quando è troppo tardi? Chi ti dirà che le cose non sono poi così grandiose? Non puoi andare avanti pensando che niente vada male, chi ti porterà a casa stanotte? Chi ti rialzerà quando cadrai? Chi alzerà la cornetta quando chiamerai?  Chi presterà attenzione ai tuoi sogni? Chi si tapperà le orecchie quando urlerai?  Non puoi andare avanti pensando che niente vada male, chi ti porterà a casa stanotte? Chi ti stringerà quando tremerai? Chi ti starà vicino  quando sarai a pezzi? Ric Ocasek

Partenza

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  Forse perché oggi me ne vado si fanno aperti i giardini e gli alberi bruciano i capelli nel cielo della luce. Forse perché oggi me ne vado tutto entra nel mare delle mie finestre. (Nino Pedretti)

Vorrei che piovesse caffè...

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  Vorrei che piovesse caffè sulla campagna che facesse un acquazzone di manioca e tè dal cielo una spolverata di formaggio bianco e al sud, una montagna di pane e miele Oh, vorrei che piovesse caffè   Vorrei che piovesse caffè sulla campagna, setacciare un alto promontorio di grano e agave, scendere per una collina di riso sgranato e continuare ad arare il campo col tuo affetto Vorrei che l'autunno, invece di foglie secche, coprisse il mio raccolto di carne secca, seminare una pianura di patate dolci e fragole Oh, oh, Vorrei che piovesse caffè   Così che nei campi non si soffrisse così tanto, amico, Vorrei che piovesse caffè sulla campagna Così che a Villa Vásquez sentissero questa canzone Vorrei che piovesse caffè sulla campagna   Così che nei campi non si soffrisse così tanto, sì, Vorrei che piovesse caffè sulla campagna Così che a Los Montones sentissero questa canzone   Così che tutti i bambini cantassero nei campi. Vorrei che piovesse caffè sulla campagna C

Cambi di ritmo

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  E’ che il cuore a volte non dà segnali. Tira certe piccole crepe che nemmeno un orafo, uno di quelli abituati a vedere graffi sui diamanti. E l’affanno non è nelle scale fatte di corsa. Arriva di sera, dentro una canzone, nella frase di una poesia letta cento volte. Ma quella volta è di troppo, arrivano strane lacrime nella solitudine, una fatica dentro a un ricordo, un bisogno di aria pulita. Il cuore è un dannato meccanismo che ti porta a camminare cieco su un crinale, nella tempesta, e hanno voglia a dirti che non avresti dovuto mettere il naso fuori di casa, abbandonare tutto quel calore, tutta quella sicurezza. Ma è stato lui, è stato proprio il cuore a dirti di prendere la tua strada, e adesso è lui che cigola, e pesa da non riuscire a portartelo dietro. E vorresti liberartene, ma poi come si fa? Hai appena scoperto che è fragile come un bambino, che ti ha fregato quando faceva di tutto per sembrarti indistruttibile. (mt)

Lasciami andare

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  Non sono venuto per salutare che io non lo conosco il tono giusto del saluto, e nemmeno le parole per la circostanza, e dove mettere le mani, dove guardare, quale muro della stanza guardare. Non sono venuto per salutare Non sono venuto per salutare, perché io non lo capisco il tempo giusto del saluto, che trova le parole e nega la distanza, e poi libera le mani e lascia guardare di là del muro di una stanza. Guardare. Non sono venuto per salutare Non torneremo mai sui nostri passi mai Non ci sarà mai posto neanche di nascosto nei giorni andati, mai Non torneremo più, nemmeno ricordare che è sempre troppo tardi Il tempo dei ricordi e niente fa tornare. Lasciami andare Non sono venuto per salutare Però adesso lo riconosco il tempo giusto del saluto. E conosco le parole per la circostanza, e posso stringere le mani. Posso guardare qualunque muro di una stanza. Guardare Non torneremo mai sui nostri passi, mai. Non ci sarà mai posto neanche di nascost

Semplice...

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  “È difficile spiegare e la migliore cosa da fare è non essere falsi” Jack Kerouac, Big Sur

Vuoti di memoria

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  Il fatto è che tutto si dimentica e noi siamo parte del tutto. I più fortunati avranno intitolato un memoriale, uno stadio, un giardino pubblico, ma solo finché non se ne saranno andati anche quelli che ne coltivano memoria. Io, per dire. Non ricordo più i nomi dei trisnonni, e tutti quelli che avrebbero potuto parlarmene hanno piegato il fazzoletto. Eppure dietro quei nomi ci sono storie, fatiche, decisioni sbagliate e giornate di sole, ci sono persino un paio di guerre, chissà da che parte vissute. Così, non resta che cercare una frase azzeccata, un gesto, qualche faccia bella da lasciare a chi resta, a chi può solo guardare davanti a sé, perché questo è il senso dell’esistere. Non resta che rifugiarsi in questa normalità, perché ognuno è unico nell’essere normale. E poi convincersi che tutti i libri, le poesie, le parole resteranno nel tempo, fingendo di non sapere che un giorno sgombereranno cantine e solai anche del ricordo di noi. Io, per dire. A

Come da foto...

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  Chiedere tempo è uno sfregio. Sputare sul tempo degli altri è un delitto. Perché è così, una vita non basta. Troppi colori, troppi profumi, troppa vita anche nelle piccole cose, troppi libri che non riusciremo a leggere. Una vita non basta, ma un’altra non ci sarà data. Chiedere tempo e poi rubare il tempo è un non vivere.