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Visualizzazione dei post da 2021

Leggerezza (ancora sul Dottor Stranamore)

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“L’ultima ha a che fare con la leggerezza…” “Di cosa stai parlando?” “Dai, non dire che non ti interessa…” “Ancora il Dottor Stranamore?” “Chi altri? Adesso parla di leggerezza, sai?” “Ah, bene. E che dice?” “Che leggerezza non significa superficialità” “Uh, abbiamo scoperto l’America… Certo che è così” “A me sembra che parli per ascoltarsi mentre lo dice” “A parte la banalità della frase, non sei d’accordo?” “E’ tutta la storia che non funziona. E’ molto più complicato” “Che altro dice?” “Che leggerezza significa planare dall’alto, per liberarsi dai macigni della coscienza. A grandi linee, eh…” “Mamma mia, deve aver scartato qualche cioccolatino, ultimamente. Comunque, sente il bisogno di liberarsi dai macigni. Evidentemente ci sono” “Per planare, bisogna saper volare” “Non è il suo caso?” “Non è il caso di chi con i macigni ha familiarità. Di chi invoca leggerezza dopo averne avuta molta in dono, senza saperla apprezzare. Di chi per primo ha riempito quella leggerezza

Fotografia

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  Ho sempre con me questa foto, i miei su uno stradello di campagna, la Topolino blu comprata a rate coi primi soldi tirati su dal veterinario girando allevamenti, a controllare vacche gravide e brucellosi dei suini. Lui apre la portiera controvento e fa per scendere, faccia alla Trintignant nel Sorpasso, per capirci, il bravo ragazzo che ha voglia di regalarsi un’emozione. Lei ci prova, a sorridere, ma non ce la fa proprio a cancellare quell’espressione malinconica che si è portata dietro tutta la vita. Oh madre, come avrei voluto vederti consumare quella tua mente accesa sui libri, tu che mi hai regalato la memoria, la curiosità che non hai potuto soddisfare. Come avrei voluto che non ti spegnessi su quella sedia di legno, i gomiti appoggiati sul tavolo della cucina, a combattere con i colpi di sonno, la televisione accesa di parole e risate inascoltate. Ho sempre con me questa foto, di quando non ero che un’idea. Invecchiamo insieme. La tenevo su una

Questo giorno...

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  E ci svegliamo sognando le solite cose da bravi ragazzi. Un mondo così. Dove smettiamo di dare cinque mandate alla porta di casa. Dove ci ricordiamo di Berlino, e smettiamo di tirar su nuovi muri. Dove usciamo al largo perché c’è un barcone alla deriva, e portiamo coperte e sorrisi. Dove lavoriamo ogni giorno perché barconi non ne partano più. Dove i pacchi andiamo a prenderceli, e nessuno corre tra gli scaffali con un cronometro al posto del cervello, per consegnarceli nell’androne di casa. Dove fermiamo i carri armati con un fiore. Dove il pensiero diventa così potente da mettere paura ai potenti. Dove la vita va, ma si ferma ogni volta che ha voglia di godersi un tramonto, perché davanti a un tramonto si può anche piangere di felicità. E poi riparte, perché c’è ancora da vedere il mare. Dove giriamo senza scorta, perché a nessuno passa per la testa di pugnalarci alle spalle. Dove la gente è bella, dentro più ancora che fuori. Soprattutto quella che sembrava bella ovunq

Migliori

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  Balle. Non ci si riesce, ad essere migliori. Meno che mai a comando, un preciso giorno dell’anno, tirando su un carrozzone nel quale nessuno crede più davvero. Sei migliore se hai un’anima, se il cuore spinge ancora nel petto per un’emozione, uno sguardo, anche solo per un ricordo. Sei migliore se fai tesoro di tutta la tua memoria, se la coltivi, se certi momenti che hai vissuto non li fai a brandelli con una rabbia incomprensibile. Davvero, non serve parlare di leggerezza, sentirti capace di planare dall’alto sulle cose. Non sai volare, fattene una ragione, e i macigni che ti togli di dosso li usi per schiacciare la vita intorno. Balle. Non sarà un giorno di festa a salvarti, a renderti migliore. Quello che sei lo mostri a Natale, ad ogni festa comandata, ogni giorno che bruci o sopravvivi. Trova gente che ti assomigli, i tuoi sorrisi sembreranno sinceri nel vostro club esclusivo. E troverete un sorriso rassicurante stampato sul vostro Natale senza volt

Percorso

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  “Non mi veniva la parola…” “Sei uno che recrimina, lo sai?” “Chi lo dice?” “Me l’hanno detto” “Quindi, chi è che avrebbe subito un lavaggio del cervello?” “Dimmelo tu” “Non io… ma ho qualche sospetto, diciamo così” “Perché?” “Essere sinceri non è recriminare. Hai qualcosa tra le mani, qualcosa che non raccoglierai più, almeno non in questi termini. Dire che qualcosa è stato unico, diverso da prima e irripetibile dopo, non è recriminare. Ma ci sta tutto: anche che chi controlla il dolore per mestiere, non si renda conto del dolore che provoca nella vita” “Non si renda conto?” “O non se ne interessi più di tanto, non so. Il risultato non cambia” “E questo ti aiuta a trovare la parola?” “Alla fine sì. Ogni percorso ha un suo finale, e una parola che lo illustra perfettamente” “Come è stato questo percorso?” “Faticoso. Ma mi ci sono impegnato” “E il finale?” “Sudicio”. “E’ la parola?” “Ne servono altre?”

Alla salute

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  Ho intenzione di prendermi tutto il tempo del mondo, valutare ogni cosa per bene, anche i miracoli. E di stare in guardia, se possibile più attento, più guardingo, contro quelli che peccano contro di me, contro quelli che mi fregano la vodka, contro quelli che mi fanno male. Raymond Carver, estratto di “Alla salute”  

Il freddo, come arriva, poi va via...

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  “Ieri sei stato felice?” “Sai quanto dura, la felicità?” “C’erano tutti i tuoi amici, la gente a cui vuoi bene, che crede in te” “Sì, questo è vero. E’ il senso di quello che faccio. Lasciare un buon ricordo di me” “Come diceva Carver: essere amato su questa terra” “E cercare di non cadere nelle trappole della vita. Sai quali sono?” “Sono tante…” “Sono poche, invece. La falsità. L’arroganza. L’incapacità di guardare negli occhi quando si fa del male” “Dai, che ci voleva una serata così” “Questo è stato il lavoro più difficile. Fatto giorno dopo giorno con la fatica addosso, col fiato corto. E la fatica non è nello scrivere, lo sai” “Lo so. Scriveresti sui muri…” “La fatica è nella vita. Negli angoli ciechi, dove ti aspetta chi ti vuole pugnalare alle spalle. E’ vedere la gente cambiare, o peggio scoprire che è esattamente come ti si mostra all’improvviso. Che ti ha sfruttato, che ha giocato col tuo tempo…” “E ieri sei uscito dalla tua fatica in mezzo a quasi trecento amic

Elenco

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  Per fine anno mi ero dato un compito davvero semplice. Ho scritto su un foglio di bloc-notes a quadretti pochi nomi, ma tutti inaspettati. Quelli di chi ha fatto male, troppo male, a questo cuore che ancora non sa fingere e non accetta la finzione. Ma tanto a fine anno quel foglio non ci arriva. Al primo cestino dei rifiuti, all’angolo della via, l’ho fatto a pezzi e l’ho gettato. Del resto è lì che devono stare quei nomi, uno in fila all’altro. Tra i rifiuti. Non serve annotare tradimenti, elencare coscienze sporche: dietro ognuno c’è uno sguardo, una voce che si è fatta arrogante, su ognuno c’è un fardello, un peso che nemmeno sentirà ma si vedrà sempre da lontano, come una macchia di dolore, come una condanna.

Dal letame nascono i fiori

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  Il letame è nella vita. Nelle persone in cui credi e in cui cadi. Nella falsità, nei rapporti in cui hai speso tutto te stesso, e improvvisamente ti accorgi che hai buttato via il tuo tempo. Che hanno giocato con il tuo tempo. Nello schifo di chi passa la vita a colpire a tradimento, e poi ad autoassolversi. Nella gente che prima di convincere te, deve convincere sé stessa di essere nel giusto. In chi ti dice “ma guarda che l’errore sei tu, io non ho sbagliato niente” Nel fango da cui cerca, penosamente, di liberarsi. Nell’ingratitudine. Nell’arroganza. Nella pochezza delle vite banali in cui si specchia. Poi passi una giornata diversa. Hai costruito qualcosa. Ci sono amici che dicono che hai lasciato un segno importante. Basta, allora: cerca di essere contento, anche se non potrai più essere felice. Suona la tua armonica, appena puoi. Fosse l’unica cosa che sai fare, scrivi. Usa il cuore ogni volta che lo senti chiamare. Non rinunciare a niente. Non fare calcoli, co

Disperso

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  Improvvisamente si accorse di aver seguito troppo a lungo una stella sbagliata. Sentì addosso tutta la stanchezza del viaggio, e tutto l’affanno nel petto. Le frasi che aveva speso, tutte, stavano lì, accartocciate in un cestino dei rifiuti, nel verde umido del parco. Trovò una panchina, fece fatica anche a sedersi, provò a scrollarsi di dosso tutto quel dolore, ma sapeva bene che certe ferite restano aperte. Non gli restava molto da fare: attese che il sole andasse giù e lasciò che quella nebbia della sera gli confondesse anche i ricordi. Pensò che si era perso, che forse qualcuno si sarebbe sorpreso non vedendolo arrivare, ma poi se ne sarebbero fatti una ragione, che di mirra e incenso non si vive. Del resto non aveva mai chiesto di essere un re, non voleva nemmeno trovare la strada, gli sarebbe bastato non essere dimenticato là dove aveva lasciato qualcosa della sua vita. (mt)

Richiamo

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  Ma poi cosa vuol dire credere, non credere? Di fatto si sparisce dai radar, e resta il poco che resta, appunti sparsi, progetti mai conclusi, anzi proprio sconclusionati. Sai, quelli che ci passi la vita sopra dicendo “uno di questi giorni parto, l’isola è sempre là, le onde le girano intorno ma lei non si muove”. E allora sai come la penso, il senso è questo, di qualcosa che si è perduto. Eppure - adesso ti faccio ridere - è successo che ho sentito la voce, come un sussurro, nemmeno ho capito quello che hai detto. Non posso sbagliare, l’ho sentita bene. Allora mi sono voltato e sulla mensola c’era quella foto, sarà lì da anni e non ci facevo nemmeno più caso. Ho pensato che mi avessi chiamato, e anche se la vita resta un mistero, beh, ti ho salutato. Come un cretino, da solo, nello studio, mentre fuori c’era tutto il buio dell’autunno, quello che ci fa sentire sempre in errore. (mt)

Il ritorno del Dottor Stranamore

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  “Eccoti, finalmente… ma possibile che ogni volta che ti cerco io debba scarpinare per ore?” “Non ti ho chiesto di venire fin qui” “Sempre complimentoso…. Non ti viene in mente che qualcuno possa chiedersi come stai?” “Bene, non vedi? Sai come diceva mio nonno? Mangia, beve, e non capisce un cazzo..” “Perché tuo nonno non andava a fondo. Mangi male, bevi troppo e capisci molto più di quello che vuoi far credere” “Per esempio?” “Dimmi del Dottor Stranamore. Cosa hai capito, alla fine?” “Cioè, cosa vuoi? Un identikit?” “Perché no.. In cinque parole, se riesci” “Vediamo… arrogante, insensibile, egoista, sbandato, adolescente...” “Adolescente non è una colpa” “Dipende da quanti anni hai, da quanta vita hai vissuto…” “Adultolescente?” “Già, adesso va di moda dire così” “Falso, non ce lo metti?” “Hai ragione. Solo che diventano sei, le parole” “Te la passo” “Falso, allora. Ma sai cosa?” “Sentiamo” “C’è falsità e falsità. C’è chi è falso anche con sé stesso. Ed è la cosa p

Contare gli anni

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  E c’era la torta, con il numero degli anni, e tutto quell’affetto intorno. Le sembrò che fosse tutto vero, certamente era tutto nuovo – del resto aveva dato fuoco al passato mettendoci dentro ogni cosa, il male ricevuto e il troppo male fatto, le parole ingiuste per liberarsi da ogni colpa, ma anche certi germogli di bene dimenticati per sempre. Si fa sempre così, pensò, bisogna passare semplicemente sopra a tutto, e non voltarsi indietro. Non ricordò se era la scena di un film, o magari un consiglio rubato in reparto durante il turno di notte, o ancora, ecco, forse il passaggio meno ardito di quel poeta da carta da cioccolatini. Si fa sempre così, si strappa e chi s’è visto s’è visto, e se poi esce sangue da qualche cuore più o meno grande, amen, così è la vita. Pensò così e sorrise, cercò gli occhi di una figlia, cercò quello che gli sembrò un abbraccio nuovo di zecca. Almeno questo poteva mostrarlo al mondo, si disse, e si fece anche bella per quel

Professione poeta. Da social

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  Eccolo qui, il poeta da social. Proprio lui: quello che ha preso il posto degli scrittori di romanzi rosa. Stacci attenta. Intanto, è un uomo che ti parla come se ti avesse profondamente capito. Ne ha la certezza. E pensaci bene, in fondo sei la prima che dice che non può essere così: non hai sempre detto di essere un mondo intraducibile? Poi, andiamo, prova a smascherarlo: è lì per piazzare il libro. Uno che scrive cinque poesie al giorno, beh, non è un poeta. E’ un produttore seriale di aforismi per carta da cioccolatini. Gli va bene, perché non paga nulla per i danni che produce. Nei cuori semplici, dico. Ti dice “okay, decidi e cambia, impazzisci” . Ma non te la racconta tutta. Manca l’ultima frase, quella dopo “non pensare, vola via”. Quella che dice “e sii pronta, ricordati sempre che se ti sei buttata nella storia sbagliata, poi devi ripartire dal via” . Niente da dire: il poeta da social è un eroe dei nostri tempi. Sogna di stare su un palco, bersagliato dalle mutand

La cameretta

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  C’era stata una gran resa dei conti. Parole fischiavano come sassi dalle finestre. Lei gridava a più non posso, come l’angelo del Giudizio. Poi il sole s’è alzato di colpo, e una scia bianca è apparsa nel cielo del mattino. Nell’improvviso silenzio, la cameretta è diventata stranamente desolata mentre lui le asciugava le lacrime. È diventata come tutte le camerette del mondo in cui la luce trova difficoltà a penetrare. Camere dove la gente urla e si ferisce a vicenda. E poi soffre di rimorso e di solitudine. Prova incertezza e il bisogno di confortare. Raymond Carver (nell’immagine, “Stanza a Brooklyn”, Edward Hopper) 

Ubriacatevi

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  Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l'unico problema. Per non sentire l'orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi tiene a terra, dovete ubriacarvi senza tregua. Ma di che cosa? Di vino, poesia o di virtù : come vi pare. Ma ubriacatevi. E se talvolta, sui gradini di un palazzo, sull’erba verde di un fosso, nella tetra solitudine della vostra stanza, vi risvegliate perché l’ebbrezza è diminuita o scomparsa, chiedete al vento, alle stelle, agli uccelli, all'orologio, a tutto ciò che fugge, a tutto ciò che geme, a tutto ciò che scorre, a tutto ciò che canta, a tutto ciò che parla, chiedete che ora è; e il vento, le onde, le stelle, gli uccelli, l'orologio, vi risponderanno: "È ora di ubriacarsi! Per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo, ubriacatevi, ubriacatevi sempre! Di vino, di poesia o di virtù, come vi pare. Charles Baudelaire, Paris Spleen  

Oddìo

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  E gli occhi rivolti al cielo nella sera non aiutano a capire. Uno crede di esserci, e invece ecco, poteva esserci chiunque, quella è soltanto la ricerca spasmodica di qualcosa che mai hai trovato, che forse non troverai mai. La ricerca di te, passando sull’anima, sulla pelle, sul cuore di qualcuno che dimenticherai con un’alzata di spalle. Una domenica di nebbia, una tuta e un giaccone buttati addosso per uscire di fretta, per trovare un angolo nuovo - apparentemente - da cui ascoltare la pioggia e sospirare “oddìo”, ancora, a chiunque altro. Per andare a squilibrare un’altra vita in cerca della pace che mai troverai. E anche questo è un mestiere, in fondo. Un modo di anestetizzare il tempo.

Capolinea

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  Steso stecchito dimenticato sul marciapiede Lui e la sua storia lui e le sue fìsime i viaggi, i foglietti di carta piegati nelle tasche Steso stecchito dimenticato perché il mondo perché l’universo perché tutto il fottuto ben di dio che ci riempie la vita deve andare avanti in nome di in nome del re in nome del buon governo in nome del padreterno in nome del cosi è e non fatevi troppe domande Steso stecchito dimenticato un buco in fronte un buco nero come la notte nero come il vuoto che ora gli riempie il cervello che gli cola dal cuore steso e freddo e inchiodato lui che amava la vita lui che ti guardava dritto negli occhi e sorrideva per strapparti un sorriso lui che sapeva che voleva che parlava e parlava - anche al contrario - cuore erouc vita ativ cielo oleic Steso stecchito dimenticato brutta pubblicità maledizione, brutta storia con il Natale alle porte (mt)

Faldoni

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  Non ho fatto che scrivere. Ci ho passato la vita, anche quando il sole mi chiamava fuori e avevo solo voglia di perdermi tra le pieghe nascoste dei colli. Di sparire, ecco, in qualche modo. Ho scritto pagine e pagine e ho cominciato a metterle da parte quando non riuscivo più a leggerle, quando tutti continuavano a lodare questa memoria di ferro, e invece sentivo che si aprivano piccoli fori, come proiettili del tempo, e poi sono diventati falle, voragini. Adesso sono tutte lassù le cose che ho scritto, proprio là, vedi, sul ripiano più alto della libreria, prendi la scala se vuoi sfogliare un po’ di pensieri, la sedia potrebbe non reggere. Intanto io ho l’ho persa tutta, quella famosa memoria di cui andavo fiero, e ogni tanto dico parole che nemmeno capisco, a volte non so più dove sono, sto davanti al mare e non riconosco più le onde. Un giorno ci riuscirò a sparire tra le pieghe dei colli, verranno a cercarmi ma solo per qualche ora, poi diranno a

Medici. E altri medici

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  Ero rimasto a quelli che ti salvano la vita. Il primo, con un’intuizione che risolve anche il caso clinico che sei diventato; il secondo, con un’operazione delicata da cui ti fa uscire senza danni. Insomma: quelli che salvano la mia, di vita. Poi, negli stessi ambienti, negli stessi ospedali, ci sono anche gli altri. Quelli che ti visitano, ti prospettano un futuro da incubo, e poi ti spiegano che sì, comunque c’è l’operazione ma le liste d’attesa, uh, le liste d’attesa… due, tre anni. Però, pensandoci: ma lei, ce l’ha un’assicurazione? No, perché… E tu ti guardi attorno, perché è normale che l’esperto sia quello che hai davanti, e tu il coglione. Sei smarrito, l’infermiera ti ha appena parlato di una situazione drammatica. L’infermiera, prima ancora del medico. Qualcosa non torna. Sei smarrito, perché sei dentro una struttura pubblica, anche se hai appena fatto due esami in libera professione, belli invasivi anche. Ma una domanda te la fai: come, qui mi parlate di urgenza, di ris

Cantatina per i miei morti

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  Suonate campane per i miei morti, suonate per uno che camminava con le gambe a cavalletta, magro, senza un polmone, e un altro, un marinaio morto per acqua e per fuoco contro gli Inglesi. E i mille che mi sono dimenticato, che quando suonava da morto io ero allegro e mi piaceva ballare e chiacchierare con gli amici. Suonate campane per i miei morti, non abbiate paura, suonate tra quei silenzi che stanno tra voce e voce. Suonate campane per i miei morti non abbiate paura, suonate, che quando è il giorno dei morti è il giorno della vita. Nino Pedretti

Benvenuti al circo

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  Il mondo è pieno di pagliacci. Di gente finta, che crede di fregarti con le parole e non sa nemmeno usarle. Di persone che si credono furbe e sono solo patetiche. Di vite che si danno una mano di vernice, per sembrare presentabili. Di cuori di seconda mano, inservibili. Il mondo è pieno di pagliacci. Qualcuno, neppure memorabile.

Aforismi per la notte. Con dedica

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  Ci sono persone che godono solo quando non si accontentano Ci sono persone che meritano tutto il nostro disprezzo. Altre invece se lo devono guadagnare Le merde che si incontrano a volte si pestano e a volte si salutano Molti dicono che non sanno come fanno ad andare avanti e non si accorgono che stanno andando indietro C'è chi è pieno di sé pur essendo completamente vuoto Da giovane, lei era un tipo insignificante. Ma con l'età riuscì a coprirsi di ridicolo Al mondo ci sono molti maschi e pochi uomini Eros Drusiani

Di cieli, stanze e stelle da buttare

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  Adesso dentro quella camera - proprio ora - ascolti ogni respiro gli occhi buttati indietro cercando in un soffitto un firmamento. E’ la storia del cielo in una stanza, hai presente? Quella libertà che rincorri incespicando, quasi sempre troppo in fretta per riuscire a fermarla. E in quell’angolo, vedi? Quella è la stella che inseguivi scappando col buio da quattro mura, e ti sembrava la più luminosa di tutte, aveva un sentiero che ti sembrava infinito. Buffo: è proprio la stessa luce che adesso vuoi rimuovere come fosse un incubo o una colpa, anche se non fa altro che illuminare lo stesso angolo di cielo. Come prima, come sempre. Adesso senza cambiare niente, tutto è cambiato in te. Il tempo che scorre fa questi scherzi, stravolge prospettive, futuro, e solo a fine corsa ti dirà se hai trovato la quiete o hai perso l’ultimo treno della notte, della vita. (mt)

Gente piccola e piccola gente

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  Il mondo è pieno di esseri spregevoli. Qualcuno è più bravo degli altri. Sa fingere umanità e profondità. Ma di fatto, quello che spende in sedute di psicanalisi dovrebbe aprirci gli occhi. Ma non sempre è facile, capire. Il mondo è pieno di persone false. Che ascoltano soltanto sé stesse. Che sanno solo prendere. Che non sanno dire grazie, non sanno chiedere scusa. Che vivono di sotterfugi, e non ammettono la loro meschinità. Nemmeno quando l’evidenza le condanna. Che hanno un vuoto dentro, da sempre. Forse gliel’ha provocato qualcuno, ma loro lo fanno pagare a chiunque li affronti disarmato. E sono le prime a credere alle loro bugìe. Poi, per il resto, niente da dire. Bravi professionisti, ci mancherebbe. A volte salvano vite, a volte le sotterrano. Capaci anche di travestirsi da persone con un cuore. Capaci di passarci una vita, in compagnia della loro miseria interiore. Convinti di essere nel giusto. Per fortuna, ci sono anche gli altri. Quelli che spesso vivono in di

Del rianimare

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  Professionista esemplare. Ma come ci si può fregiare del titolo di “rianimatore”, se non si ha un cazzo di idea di dove sia l’anima delle persone, se non ci si sbatte per cercarla? Soprattutto, come si fa se la propria, di anima, è infangata da far schifo? Così, niente di che. Sono domande nella notte, che non cercano risposte.

Il poeta come uccello immortale

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  Un attimo fa il battito del mio cuore è sparito e ho pensato “Sarebbe un pessimo momento per avere un infarto e morire, nel bel mezzo di una poesia”, poi mi sono rincuorato all’idea che non ho mai sentito di qualcuno che sia morto mentre scrive una poesia, proprio come gli uccelli non muoiono mai in volo. Credo. Ron Padgett

These foolish things

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  La notte che non porta in nessun posto. L’anima inchiodata proprio qui, sopra lo stomaco, - un pugnale freddo nel petto, da non credere – Sono stato all’ospedale, pronto prontissimo soccorso, niente, non era pronto a soccorrermi e io non pronto a crepare e c’era troppa gente, occhi liquidi nel vuoto, odore di vomito e muffa, colori al neon, volgari e troppo accesi. Così eccomi qui piccola mia, aspetto che il cuore vada a pezzi -se crede - in questa notte fetida, diversamente lasciamo che sia, vedrò di organizzare il prossimo risveglio. Ho voglia di qualcosa di fresco, qualcosa di pulito che lavi via lo sporco della vita, succo d’arancia o vino rosso, vedi tu, ho voglia di sapori buoni, niente plastica niente neon, niente puttane stanche sui marciapiedi né pioggia fredda sul collo, niente sigarette al veleno, ho voglia di scopare bene, ho voglia di uscire di qui, da questa notte da questo buio, da tutto questo dannato dolore (mt)

Il male

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  Il male non è dentro le cose, nel tempo che ci scorre, ci rincorre o in come lo sprechiamo. Non è un lavoro perduto, una   febbre improvvisa, un cammino in salita. Non è pioggia ne dolore, che se vuoi vivere la vita devi starci sotto, devi starci dentro. Il male è nelle persone. Come cambiano, come dimenticano, come imparano ad essere ciniche, come giocano indifferenti su più tavoli, assolvendosi a forza di bugie. Il male è tutto qui. Occhi di ghiaccio, cuori inariditi, e quella ignobile, stupida arroganza che è come una droga per chi ha bisogno, sempre, di liberarsi la coscienza, di sentirsi immacolato dopo ogni esecuzione. (mt)  

Tempo buttato

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  Abbiamo costruito la notte pezzo dopo pezzo, ora dopo ora, cercando di mascherare la stanchezza, regalando sorrisi e frasi e qualche taglio di luna, prendendo a calci le inquietudini. Sì, questa notte che viene l’abbiamo costruita noi, con queste mani con questa dannata fatica, ed ora qualche goffo predone dovrà soltanto respirarla intensamente, convinto che sia sua. (mt)

Come hai detto che ne usciamo?

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  Ma se davvero ne stiamo uscendo migliori, come da slogan urlati a squarciagola dalle finestre un anno e mezzo fa, può essere che capiti solo a me di incrociare la strada di gente falsa, irrisolta, incattivita, cinica, opportunista, arrogante, insomma uscita malissimo dal lockdown? Non ho amici per cui chiedere, sono tutti informati. E’ proprio una curiosità mia, personale.

Indicazioni sbagliate

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  Così mi è venuto in mente quel pomeriggio a Pinarella, avrò avuto nove anni e finalmente era arrivato mio padre, e mi portava passeggiando in spiaggia. Era sempre una festa, quando arrivava, perché succedeva di rado e per poco tempo. Incontrammo quella donna anziana che ci chiese indicazioni per andar a Tagliata, e ci stava andando a piedi. Le spiegammo tutto nei dettagli, molto bene, forse troppo bene. Si incamminò con quel passo lento, e noi riprendemmo la via del mare. Ma poi ci venne il dubbio di averle incasinato le idee, e che si sarebbe smarrita da qualche parte, che avrebbe camminato fino a sera. Giuliano, mio babbo, guardava avanti senza più parlare, ma si vedeva che non era convinto, si capiva da come si era messo a camminare, svogliato. Io sentivo un peso dentro, pensavo a quella donna, mi fissavo in testa l’immagine del viso, come faccio sempre quando so che ho negli occhi qualcuno che non rivedrò più. Come se ci si potesse tenere stretti alla vita degli altri. Eravamo

Brutto

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  Eh beh, sai, i brutti, che anch’io ero poco bello, però poi con gli anni, che dovrebbe essere peggio, invece cambi in meglio, davvero. Io mi sono anche innamorato. Raffaello Baldini

Fuori posto, solito posto

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  “Lo sapevo che ti avrei trovato qui” “Hai scommesso? Che si vinceva?” “Non fare il cretino. Sai che mi preoccupi, a volte?” “Perché? Non mi hai visto alla presentazione? Hai visto che roba? Citazioni, acrobazie con le parole, risate aperte” “Già, molto aperte…” “E non va bene?” “Sì, sì… va bene…” “Dai allora, fatti un giro di questo rosso…” “Senti…” “Eccomi, che c’è?” “Cosa c’è dietro tutti quei sorrisi?” “Oltre, dici? O dopo?” “Fai tu…” “Vuoi saperlo davvero? E’ una roba strana, sai…” “Perché strana?” “Perché adesso ho bisogno di stare immerso in cose così. Avere molto da fare. E’ come perdersi, capisci? Aiuta ad andare avanti. Ma improvvisamente, e quasi allo stesso tempo..” “Allo stesso tempo?” “Niente. Ho bisogno di mollare tutto e scappare qui” “E’ un’altra situazione. Dal rumore al silenzio, dalla luce al buio. Non c’è nessuno, qui” “Proprio questo, cerco. Essere qui, con nessuno. Insieme a nessuno…” “Per?...” “Non lo so. Per scavare dentro. Per ricordare l

Paradossi

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  L’odio è una roba potente, una roba brutta che nasce da qualcosa di magnifico e questo è il paradosso che rende tutto incomprensibile. Perché l’odio non può esistere se alla base non c’è l’amore. Ma non un amore qualunque: per odiare davvero bisogna avere amato totalmente, essersi spesi, essersi dedicati. L’odio è una roba cattiva che nasce da un fiore, da un tramonto, da un abbraccio male interpretati o completamente, colpevolmente dimenticati. L’odio, che fatica dirlo, nasce dall’amore più grande. (MT)

L'uomo è un animale feroce

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  (...) L’uomo è un animale feroce. Non lo diresti vedendolo molle sulle gambe e la pancia come un fico, e poi così brutto, cariato e pieno di mali. E’ feroce perché non ha imparato a parlare con le formiche, perché domina il cavallo di lui tanto più nobile è feroce perché ha paura di morire e allora ammassa ammassa gemme e cadaveri in templi di morte, e l’unica cosa che ha, la parola, la usa per mentire. (…) Nino Pedretti