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Visualizzazione dei post da luglio, 2008

Alvise, il campione che non andrà a Pechino

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L’atleta del secolo non andrà a Pechino. Perché c’è una nuova barriera che lo sport diversamente abile non può superare. Quella del business. Alvise De Vidi , da Olmi San Biagio., è tetraplegico dagli anni dell’adolescenza, per colpa di un maledetto tuffo calcolato male. Non si è mai adagiato, grazie alla sua forza di volontà e a una famiglia semplicemente fantastica che gli è sempre rimasta accanto. Ha trovato nello sport la risposta a domande complicatissime. Ha vinto sedici medaglie in cinque Paralimpiadi. Sette d’oro. La prima a Seul ’88, nel nuoto (25 delfino). L’ultima entrando da trionfatore della maratona allo stadio Panathinaiko di Atene, proprio come Stefano Baldini , pochi giorni dopo di lui. Il Coni lo ha premiato come uno dei migliori azzurri del Novecento, nel 2000 la Gazzetta lo ha eletto atleta del Secolo dello sport per disabili. Alvise avrebbe voluto chiudere la carriera a Pechino, per difendere il suo oro in maratona. Non potrà farlo. Il Comitato Paralimpico Internaz

Il secolo di Dorando

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"Io non sono il vincitore della maratona. Invece, come dicono gli inglesi, io sono colui che ha vinto ed ha perso la vittoria" Poco altro da aggiungere a una storia che è entrata nell'immaginario collettivo. Se non che davanti a quelle ottantamila persone Dorando , il garzone di pasticceria che aveva osato sfidare Pericle Pagliani qualche anno prima nella piazza di Carpi, aprì i cancelli della leggenda. E le si consegnò. Se non che quel giorno, 24 luglio 1908, trascinandosi, cadendo, rialzandosi, Dorando Pietri cambiò le regole della corsa di lunga lena italiana, facendola brillare agli occhi del mondo. Quello che fece dopo quella vittoria-non vittoria fu altrettanto epico. Le maratone al chiuso del Madison Squ are Garden e di altri palazzi d'America, vere imprese atletiche dipinte con i colori del circo, che incantavano le folle e che accelerarono il declino del suo cuore provato dagli sforzi. Dorando, e poi Gelindo, giusto ottant'anni dopo. Maratoneti col gerun

L'eredità di Giovannino

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Molti dei cappotti russi distribuiti ai meno abbienti hanno una piccola toppa sul petto o sulla schiena. Una piccola toppa rotonda che chiude il buco attraverso il quale entrò una pallottola e uscì un’anima. Il mio cappotto ha una piccola toppa proprio in corrispondenza del cuore. Ed è ben cucita e di passo spesso, ma – dal forellino che copre – entra un sottile soffio d’aria gelida anche quando non c’è il vento e il sole è tiepido. E il cuore duole, trafitto da quello spillone di ghiaccio. Diario Clandestino Quei libri sono ancora tutti lì. Quelli grandi della Rizzoli, con la sovracopertina plasticata e i disegni colorati del Mondo Piccolo. Erano di mio padre, a fine anni Sessanta furono tra le mie prime letture. Dopo, alle medie, arrivò l’infatuazione per John Steinbeck e i suoi emarginati dell’America più polverosa, più ancora che per Hemingway. E per Cesare Pavese, e Gadda, e Pasolini (così lontano, così vicino…). E al liceo Kerouac, maestro di vedute e memoria, e Ferlinghetti, Cor

Parole nel vento

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Il suo idolo era (è) Marco Pantani . Allora ascolti ancora una volta la voce del Pirata, Riccardo Riccò , e vada a rileggersi il suo testamento spirituale. L'ultima lettera. Le parole di un uomo che ha pagato davvero, fin troppo. Con la vita, perché la vita ormai gli si era stretta intorno. Prima di andarsene, Marco ha lasciato un messaggio in eredità a quei "ragazzi" che quando era il numero uno pendevano dalle sue labbra. Quelli che lui ha difeso con generosità, esponendosi in prima persona. Quelli che vivevano e vivono in gruppo, mentre lui cercava sempre di uscirne nel bene e nel male, nella corsa e nella vita. Quelli che dopo, a quanto pare, non lo hanno più ascoltato. Perdendo una grande occasione. "Ma andate a vedere cos’è un ciclista, e quanti uomini vanno in mezzo alla torrida tristezza per cercare di ritornare con i miei sogni di uomo che si infrangono con le droghe … E non sono un falso. Mi sento ferito e tutti i ragazzi che mi credevano devono parlare. Ci

Ciao Joe... ciao Joe...

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Magari è facile dirlo adesso, ma questo Joe Tacopina era proprio uno stereotipo di americano. Parlava largo, smanazzava pacche sulle spalle, faceva l'amicone. Poche ore dopo la sua proposta di acquisto del Bologna (sua e dei suoi partners più o meno usciti allo scoperto), parecchi già nutrivano dubbi. Cazzola forse no, ma è un fatto che aspettando il ritorno di questo signore dagli States anche lui si è affrettato a ricucire lo strappo con Menarini. Tanto per avere una rete pronta ad accogliere qualche acrobazia mal riuscita. Adesso che l'America è uno strano sogno svanito, mi viene in mente il testo di una vecchia canzone del mitico Fred Buscaglione (prima o poi ne parliamo), "Ciao Joe" . Il lato B di "Che Notte". Quando dice, nel finale: "Ehi, Joe, te lo dico adesso/perché accà nisciuno è fesso..." Saluto Joe Tacopina e la sua confraternita con le parole che mi sono uscite ieri, sul giornale per cui lavoro: Si era presentato in maniera molto i

Viola Giuseppe, detto Beppe

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Resto sul pezzo. E torno sull’argomento Viola Giuseppe , per gli amici Beppe. Perché da ventisei lunghi anni mi mancano la sua classe, la sua creatività, la sua ironia. La sua dannata voglia di scrivere, ufficialmente perché "el mesté l’è el mesté" , in realtà perché la passione non la imbrigli, il talento nemmeno. Uno che comunque "el mesté" sa insegnarlo ancora oggi, a chi ha voglia di fermarsi a rileggere i suoi colpi di genio. Adesso vi faccio l’esempio… Era uno che per sembrare un genio avrebbe dovuto essere completamente diverso "Secondo Lei Amintore Fanfani nello schieramento Dc sta a destra o a sinistra?". "Dipende dai giorni" (risposta data alla commissione presieduta da Enzo Biagi all'Esame di Stato per diventare giornalista) Lui era uno che in fatto di amore per gli animali batteva Noè 6-0 6-0 Rompersi una gamba col volley è come avere un infarto a Disneyland Il pugile: "Come vado?". L'allenatore: "Se l'amm

Se riaprisse l'Ufficio Facce

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Ripensandoci, è una delle tante eredità che mi ha lasciato mio padre. Giravano per casa certi long-playing che mi hanno acceso la curiosità per i maestri di un cabaret che valeva mille Zelig. Gli emarginati di Jannacci, la storia d'Italia rivisitata dai Gufi. Molta Milano, devo dire. Una Milano che non esiste più, che affrontava negli anni del "boom" la prima, vera integrazione sociale tutta italiana. Non ancora "Milano da bere". Piuttosto da vivere: quella delle latterie-trattorie coi tavolini di plastica, degli artisti di Brera, amata-odiata da Luciano Bianciardi. E infatti si conoscevano tutti: Bianciardi, Jannacci, Intra, Andreasi, i primi geniali Cochi e Renato, il figlio della guardarobiera del mitico Derby, Diego Abatantuono, che già iniziava a salire sul palco. E Beppe Viola , naturalmente. Che poi ho conosciuto meglio innamorandomi dei suoi servizi alla Domenica Sportiva, coi quali entrava in tackle nella sacralità di Mondo Calcio, sfottendo e sorridend

Nelle terre di Felix Pedro

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L’America a un’ora e mezzo da casa. Senza attraversare l’oceano, semplicemente seguendo la cadenza di qualche tornante d’Appennino. Da Rocca Corneta , spaziando con lo sguardo verso i Monti della Riva, il Cimone e il Corno alle Scale, scendi lungo i sentieri che portano sulla riva del Dardagna. Risali lungo questi boschi di frontiera tra due provincie, Bologna e Modena, e improvvisamente sei nel cuore dell’America. Quella dei pionieri, della leggenda. Alaska. Il paese si chiama Trignano , poche case sparse e la strada principale che si chiama via Fairbanks. Non a caso. Questa è la terra di Felix Pedro . Che in realtà si chiamava Felice Pedroni , e qui era nato in località Le Teggie, ultimo di sei fratelli, nel 1858. La sua è una storia di avventura, di viaggio. Intrapresi per bisogno, in tempi in cui si partiva verso "la ‘Mmerica" immaginandola come in un sogno. C’era da sudare, laggiù. Ma Felice conosceva la voce della fatica. In questa terra così bella e selvatica, e allor