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Visualizzazione dei post da novembre, 2020

Non dimenticare

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  C’è sempre qualcuno o qualcosa che ti aspetta, qualcosa di più forte, più intelligente, più malefico, più resistente, più dolce, più grasso, più grande, più piccolo, e qualcosa con occhi di tigre e fauci di squalo, qualcosa di più pazzo della pazzia, di più furbo della furbizia, c’è sempre qualcuno o qualcosa che ti aspetta, mentre metti le scarpe o dormi o vuoti il bidone dell’immondizia o carezzi il gatto o lavi i denti o festeggi c’è sempre qualcuno o qualcosa che ti aspetta. Tienilo bene a mente cosicché quando succede sarai pronta, il più possibile. Nel frattempo, buona giornata a te se ci sei ancora. Io penso di esserci, mi sono appena bruciato le dita con l’ennesima sigaretta. Charles Bukowski (ph. MTar, 2001)

Commiato

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  "Si sa che la gente dà buoni consigli, se non può più dare cattivo esempio" Qualunque cosa possano dire, eccepire, confutare, giudicare, quelli che non sanno contemplare il bello in silenzio, adesso riposati davvero. A chiunque di noi servirebbero tre vite, per raccontare la tua. Sghemba e accartocciata su sé stessa, come tutte quelle degli artisti veri.  

Forestiero

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  E così adesso si è messo a lanciare piccoli segnali intermittenti – una poesia, una cover stonata, un frammento dall’ennesimo romanzo della vita – Un richiamo, come se all’improvviso sentisse i passi del tempo farsi più pesanti, decisi, come se ci fosse tutto da sistemare, e mille libri ancora da leggere, e i fiori del male da far sparire in fretta, e i piccoli inutili segreti da seppellire. Arriva e si appoggia sulla porta con la solita faccia, appena un poco più sgualcita, segnata da questi piccoli e immensi timori. Di lasciare troppe cose a mezz’aria, di non sentire più l’eco dei suoi stessi insensati discorsi. Guarda dentro, sorride, ma lo sguardo è rimasto appiccicato ad una notte senza sonno né gloria. Chi glielo dice che così spaventa i bambini? Prova ancora a gridare, ma niente. Non esce che quella sciocca cantilena, “non piangete, aspettate che il vento vi racconti le storie dell’oceano, e non portatevi dietro nulla di voi, nemmeno l’ombrello,

Domani

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  Il fumo della sigaretta aleggia nel salotto. Le luci della nave laggiù al largo s’affievoliscono. Le stelle, buchi bruciati nel cielo, s’inceneriscono, sì. Ma va bene, è quello che devono fare. Quelle luci che chiamiamo stelle. Bruciare per un po’ e poi morire. Io ho una fretta del diavolo. Vorrei fosse già domani. Ricordo che mia madre, Dio la benedica, diceva: Non desiderare il domani. Così sprechi la vita in desideri. Eppure, lo desidero tanto questo domani. Con tutti i suoi fronzoli. Voglio che il sonno venga e se ne vada, tranquillo. Come passare da una portiera di una macchina a un’altra. E poi svegliarmi! E trovarmi domani nella stanza. Ora sono più stanco di quanto riesca a dire. La mia scodella è vuota. Ma è la mia, capite? E io l’adoro. Ray Carver

Marionette

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  Adesso ho tolto l’audio. Semplice. Sfilano come prima, ma sembra il Muppet Show. Bocca larga, sguardo torvo. Ma niente più anatemi, teoremi, stilemi. Marionette che si agitano in silenzio. Crisanti Capua Galli Zangrillo Burioni Bassetti Ricciardi Palù… Così imparo, a lamentarmi degli chef. Sai che faccio? Quello che mi ha insegnato mio padre. Mi comporto eticamente, come uno che, felice o incazzato, prova a vivere dentro una comunità. Non posso fare diversamente. Io non ho la verità in tasca. Non l’hai tu. E guarda un po’, sorpresa: non l’ha nessuno. Nemmeno quello che ha già capito tutto della vita. Io non ho la verità in tasca, la differenza è che lo so. Allora dai, faccio così. Rispetto gli altri e parlo meno possibile di cose che non conosco. E dopo, aspetto. Senza la presunzione di essere immortale. Comunque vada, io sono di passaggio. L’immortalità mi fa paura. Tanto quanto a te fa paura l’idea di scomparire.  

Stai benone, Civ!

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  Oggi ho scritto di te, e devo dire grazie a chi me lo ha proposto. Perché non mi sembra vero che sia passato già un anno, mi sembra di sentire ancora quei borbottii da caffettiera indistruttibile, quei giudizi che spaccavano in due la platea. Condiviso o discusso, sempre uno spirito libero. Non ti ho mai chiamato “maestro”, perché anche se ti faceva piacere essere riconosciuto, quello era un termine che consideravi da “fine corsa”, per vecchi campioni parcheggiati in qualche angolo della vita. Non faceva per te, anche se in tanti ti dobbiamo parecchio, chi lo riconosce e chi vola già troppo alto per capirlo. Parlavi con voce e gesti da teatrante scafato, ma sapevi anche ascoltare. Non hai selezionato le compagnie, sapevi stare in mezzo ai vecchi compagni di avventura come tra i giovani, e se c’era qualche trucco del mestiere da condividere, beh, era di tutti e per tutti. Nessun segreto, nessuno spirito di corpo da rivendicare, nessuna invidia, nessuna rabbia da spendere. Ho amato

Solfanaio dell'arte

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  "Mo soppa, st'i brèv. Sei proprio un solfanaio dell'arte..." Solfanaio – Rigattiere, robivecchi. Il termine deriva dalla “solfa”, la cantilena ripetitiva con la quale il rigattiere annunciava la sua presenza per le strade, del tipo “donne, è arrivato l’arrotino!” (Dizionario bolognese) Centinaia di articoli scritti e perduti, qualcuno imprigionato dentro scatole di cartone che altri, un giorno, si preoccuperanno di gettare via, perché io proprio non ci riesco. Libri scritti, almeno una dozzina, ma niente di epocale. Balzi improvvisi tra tutte le pieghe del mestiere, e in diverse epoche: redazioni di giornali, studi televisivi e radiofonici, tipografie, case editrici, uffici stampa anche prestigiosi. E di notte, ma solo di notte, le poesie, la scoperta delle parole per il cinema, i racconti. Sessant’anni vissuti così, più o meno intensamente. Finché da un amico non arriva il complimento più bello che potessi ricevere. Solfanaio, sì. Uno che “tiene da conto” l