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Visualizzazione dei post da gennaio, 2022

"Sei della famiglia?"

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  “Sei della famiglia?” Il ristorante è murato, del resto si mangia bene il pesce e il prezzo è onesto. Poi, chissenefrega pensa lui, è il giorno dedicato alla scampagnata festiva, mica si sta lì a fare i contabili per una manciata di euro. Anche se a lui fare i conti non dispiace: la casa più grande, le spese da dividere, il futuro da scrivere prima che sia arrivato. Tutto sotto controllo. Insomma, bisogna trattarsi bene ogni tanto, e poi c’è anche il sole. “Sei della famiglia?” Niente, lei non sta proprio ascoltando, non è in sintonia. E’ da un po’ di tempo, che non è in sintonia. Lui lo sa che quei messaggi che arrivano in continuazione la portano altrove. Cioè, non è che ne abbia certezza, ma lo sa. Lo percepisce. Lei è lì e vorrebbe essere in quel mondo, quello che spunta da whatsapp. Tra quelle braccia, dentro quegli occhi. Si guarda intorno, le bambine non smettono di ridere, non c’è un tavolo intorno dove non ci sia qualcuno che sta ridendo. Del resto, sono tutti lì per lo

Occasioni sprecate

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  Non vai in cerca della felicità, come dici, e racconti anche a te stessa. Quello che cerchi è altro: scosse elettriche, che ti agitano dentro per un frammento di vita, ma poi ti lasciano spenta. Non vai in cerca di leggerezza. Essere leggeri non significa correre senza pensare mai, spostare macigni dall’anima e non curarsi di dove vanno a finire, o se con quelli schiacci altre vite. Non vai in cerca di nuovo. Hai solo bisogno di uscire da un buco per infilarti in un altro, di buttarti nella prossima storia banale. Mai messo in conto che possa esistere la parte migliore della solitudine, e magari qualcuno, in fondo, con una scatola di colori nuova di zecca. Non sai come usarli quegli occhi che sembrano avere dentro l’oceano e tutte le storie di avventurieri e pirati che esistono al mondo. Peccato, sarebbero la tua forza, sono soltanto l’apparenza a cui ti aggrappi. (mt)

Se vince Pepito Sbazzeguti...

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  Ma sì, Pepito Sbazzeguti sarebbe anche un nome che fa sorridere, rimanda a storie guareschiane, all’immagine di Peppone che sbianca scoprendo di aver vinto la lotteria, a quella di Don Camillo che scopre l’anagramma e l’imbarazzo del compagno tutto d’un pezzo, che vuole tenere per sé la vincita milionaria e non sa che dire ai compagni. Ma sì, è successo altre volte che alle prime votazioni uscissero nomi strampalati dalle urne. Fermo restando che Dino Zoff prenderebbe l’impegno in modo molto più serio di chi dovrebbe farlo per mestiere. Però provo un senso di fastidio. Da questi due anni di nebbia, di panico, di isolamento, di fatica anche psicologica, di morte, di paura dl futuro, di parole nel vento, nessuno “è uscito migliore”, come assicuravano i cori sui balconi dei primi tempi. In giro per le strade c’è gente che tira avanti a fatica, che è rimasta ferma con progetti e mestieri, che vive nell’incertezza del domani. Ci sono “nuovi poveri” che fanno anche più fatica di chi pove

Bisogna che me ne vada

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  I nostri vent’anni sono lontani abbiamo fatto a botte e sanguinato ma non importa, non è finita, possiamo cantare quando il bicchiere è pieno. Beviamo un’ultima volta all’amicizia, all’amore, alla gioia. E’ stata una festa, questo ritrovarci, ora mi fa male, ma devo andare. Ricordo quell’estate, la prima volta che ci abbiamo dato dentro col vino. Mi hai portato a casa cantando, abbiamo camminato all’indietro. Beviamo un’ultima volta all’amicizia, all’amore, alla gioia. E’ stata una festa, questo ritrovarci, ora mi fa male, ma devo andare. Sono salpato da un porto con la nave e volevo cambiare tutte le stelle, anche se ero solo un estraneo e non sapevo bene dove stesse andando. Ti ho parlato del mio matrimonio nel municipio di un paese sperduto, e quando il sindaco non azzeccava il mio nome facevo fatica a rimanere serio. Beviamo un’ultima volta all’amicizia, all’amore, alla gioia. E’ stata una festa, questo ritrovarci, mi fa male, ma devo andare. Non c

Lontano dal male

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  “No. Non ha capito”. “Veramente, dice che non hai capito tu”. “Credimi, il dolore non è nel non esserci più”. “Dove sta, allora?” “In tutto il prima che è stato cancellato. Nell’essere passato inutilmente”. “Non ci sei mai stato?” “Ci sono stato, eccome. Ha preso tanto, tutto. Per diventare più forte. E poi sì, ha resettato. E dunque, io non ci sono mai stato”. “E’ un destino cattivo”. “Dietro al destino cattivo, c’è la cattiveria delle persone”. “Dice che non accetti che le cose cambino”. “Lo so. E non è così. Sai cosa non accetto?” “Dimmelo”. “La falsità. Anche se so che serve per sopravvivere. Per autoassolversi”. “E’ come quando qualcuno muore. Si piange, ci si gira e si va avanti”. “Già. Ma a qualcuno riesce persino di non piangere”. “Non sono esattamente i migliori, a riuscirci”. “Sono quelli che vivranno più a lungo”. “Sulla fatica degli altri?” “Sì. Aggiungendo peso alla fatica” “Beh, lo sai come si fa a liberarsi dai macigni?” “No. Come?” “Caricandoli su

Per assistenza, chiamare questo numero...

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  Ho infilato i tre euro nell’apposita fessura e mi sono messo in posa cercando uno sguardo ammiccante, mia madre avrebbe detto furbetto. Perché ok, servono per le tessere ‘ste foto, ma possibile che su un documento che parla di me non possa esserci niente di me? Una volta poi si aspettava una vita, minuti interminabili, e invece adesso oplà, il tempo di uscire e risistemare lo sgabello. Però qualcosa è andato storto, avevo messo in posa, immobile, quello che sono oggi, tanto ho sempre pensato che scavare nel passato serva a poco, giusto a imbastirci qualche trama per il prossimo romanzo crepuscolare. E comunque per le tessere è controindicato. Niente, è andata così e non riavrò i miei soldi. Sulla cabina c’è il numero della manutenzione. Più tardi chiamo, che vengano a sistemare la faccenda, domattina. Mica si può impazzire per una macchina mangiasoldi.

Piccoli passi

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  Poi, una volta a casa ha ripensato alle parole del dottore. Non creda, gli ha detto, non creda sia facile, non lo è davvero nemmeno per me, non ci ho ancora fatto l’abitudine. E ha ripensato che poi si sono guardati in silenzio e niente, non c’era verso di far uscire un suono, si sentiva solo la voce metallica della sala d’aspetto, là fuori, che chiamava le persone per numero. Dopo si è seduto alla scrivania, ha guardato tutti quei libri pensando che è inutile correre contro il tempo, quella promessa di leggerli quasi tutti è persa, non c’è verso di venirne a capo. E poi quelle mille cose da riordinare, e il tempo passato a rimandare. Che buffo, adesso si è messo a correre veloce sto cazzo di tempo, e accidenti da che parte comincio, si è chiesto. Allora si è alzato, è andato in cucina, ha sbucciato una mela molto meglio del solito e l’ha assaporata, stavolta, perché suo nonno glielo diceva sempre, le golden non si buttano giù senza pensare, vanno assaporate. A

Lunga vita

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  Lunga vita a te, Dottoressa Stranamore. Tanto, come si dice, se ne vanno sempre i migliori. Credo significhi: quelli che riflettono, quelli che dialogano, quelli che non hanno paura di guardarti dentro gli occhi. Quelli che non pugnalano alle spalle. Quelli che non mentono. Quelli che quando dicono che non hanno nulla di cui vergognarsi, lo dicono perché è così, non per non nascondere sotto la sabbia la loro vergogna. Tutti gli altri hanno la scorza durissima. E vivono, dicono loro, con leggerezza. Il peso lo buttano addosso al prossimo. Tutto più facile. Chi usa il cuore, lo logora. Chi se ne frega, lo conserva meglio. Insomma, lunga vita a chi controlla il dolore per mestiere. Non ha nulla di cui preoccuparsi, se il mondo funziona così vivrà benissimo.

Planare dall'alto

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  E tu, dimmi, credi davvero di saper volare? Di avere questa forza, come dici, di planare dall’alto? Tu, che non sai chiudere una storia come si dovrebbe? Tu, che parli di “recriminazioni” se uno ti dice, semplicemente, che è stato qualcosa di diverso quello che hai vissuto, e che forse dovresti ricordartelo? Tu, che non conosci la parola "grazie", nè la parola "scusa"? I tuoi voli sono tentativi ridicoli di alzarti da terra. Vivi bene dentro tutta questa banalità, e per carità, probabilmente ci vivrai felice tutto il resto della tua vita. Perché è la tua dimensione. Perché è di questa banalità che fai parte. Vero, leggi parole profondissime, di gente che ti fa credere di essere qualcosa di unico e speciale. Gente che non sa il danno che provoca, in certe menti irrisolte. Però due parole, cazzo, due parole tue, autentiche, non ti escono. Non c’è verso. Vivi di frasi fatte, vivi di sponda. Altro che recriminare. Questo niente dove abito è una vetta himalayana,

La faccia del sole

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  I tori sono grandiosi come la faccia del sole e sebbene li uccidano per una folla apatica è il toro che attizza il fuoco, e sebbene ci siano tori codardi come esistono matadores codardi e uomini codardi, di solito il toro si erge puro e muore puro indifferente a simboli o a cricche o a falsi amori, e quando lo trascinano fuori nulla è morto. Se ne è andato qualcosa, e lo schifo finale è il mondo Charles Bukowski

Nuove tendenze

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  Non leggete i poeti da social, anche se vanno per la maggiore. Non fanno che parlare al cuore delle donne, ma non per farlo vivere, no, solo per fare i piacioni, i cascamorti avrebbe detto mio nonno. Non fanno che dare cattivi consigli, su come isolarsi dal mondo e sentirsi diversi e speciali, e nella rete si impigliano proprio tutti quelli che hanno da vivere le storie più banali. Ce n’è uno, addirittura, che scrive sei o sette poesie al giorno, copiando e incollando fremiti, ha rubato il soprannome a un Artista vero e una volta ha scritto pure “questo amore è tanta, tanta roba”, cristoddìo… Ma se li metti davanti a un bicchiere, a un marciapiede, a una vecchia credenza, non sanno che scrivere, si spengono; se gli racconti un tramonto per quello che è non ci trovano sponda per piacere e piacersi, allora restano senza frasi ad effetto. Se gli mostri mani che hanno scavato, occhi che hanno pianto di niente, anime che si sono spente in un letto sfatto tra